SANTENA – 27 aprile 2008 – La città ha celebrato il 25 aprile, festa della Liberazione. Dopo una breve sfilata nella piazza centrale, il sindaco Benny Nicotra ha preso la parola davanti a duecento persone, tra esponenti delle associazioni, musici della filarmonica, autorità e cittadini.
Buongiorno a tutti. Grazie a tutte le persone che sono oggi presenti a commemorare: dalle associazioni ai carabinieri, agli alpini, alla croce rossa ai vigili del fuoco, a tutte le associazioni qui presenti
…si sente? Ok?
Allora, ringrazio tutti della vostra presenza a commemorare, come dice il parroco don Nino i nostri caduti. Cari concittadini, la ricorrenza del 25 aprile 1945 ci ricorda una circostanza lieta; la liberazione dall’occupazione tedesca e l’inizio del processo che portò – il due giugno dell’anno successivo – alla costituzione e poi, il 1° gennaio del 1948, alla nascita della Repubblica italiana e al ritorno alla democrazia.
E’ da rammentare il fatto che la elaborazione della Costituzione, della quale in questo periodo si celebra il sessantesimo anno, avvenne – come ha ricordato recentemente il Presidente della Repubblica – in spirito di collaborazione fra le principali politiche che avevano animato la resistenza e il comitato di liberazione nazionale, quelle di estrazione marxista ma anche cattolici e i liberali.
Con l’occasione vorrei anche ricordare il ruolo fondamentale delle potenze alleate, sia nel processo di liberazione, sia soprattutto nella fase immediatamente successiva, nel sostegno economico alla nascente democrazia italiana, ancora abbastanza fragile dopo vent’anni di dittatura.
La resistenza è stata un moto di popolo, frutto di una reazione spontanea, largamente diffusa, che si espresse in modi e categorie diverse. La resistenza attiva di chi prese le armi in pugno, come i partigiani, i soldati, i militari, che seguirono l’impulso della propria coscienza. La resistenza silenziosa della gente, dei cittadini che aiutarono e soccorsero i feriti, i fuggiaschi e i combattenti, esponendosi a rischi elevati. La resistenza dolorosa dei prigionieri nei campi di concentramento in Germania e in Polonia, di chi rifiutò di collaborare.
La lotta militare, contro le truppe naziste, da parte dei movimenti della resistenza è stata una condizione necessaria per potere aprire una pagina nuova per il nostro Paese, dopo i disastri della guerra. Ma se non fosse stata successivamente accompagnata e sostenuta dall’appoggio economico dei principali Stati democratici dell’occidente, l’Italia di oggi non sarebbe certamente compresa – come è – tra le prime sette o otto potenze economiche del pianeta. In questo senso, penso in particolare agli Stati Uniti e al piano Marshall che, dal 1947 al 1951, consentì all’Europa, e in particolare all’Italia, di rinascere dalle rovine della guerra e porre così le basi per il suo futuro formidabile sviluppo economico degli anni cinquanta e sessanta.
Come ci insegna la storia il vero progresso, inteso come condizione migliore di vita per i cittadini, non si raggiunge con la sola creazione di ricchezza ma in essa trova un fondamento essenziale. La vera civiltà si raggiunge soltanto con uno stretto e armonioso abbinamento fra democrazia politica parlamentare ed economica di mercato. La democrazia formale senza una base economica solida dovuta a una economia di mercato competitiva non offre molti vantaggi ai cittadini, d’altra parte un forte sviluppo economico senza diritti civili risulta inaccettabile, come ci dimostrano le vicende dell’estremo Oriente in questo periodo.
Il nostro Paese attualmente non attraversa un momento favorevole. Sull’economia si addensano molte nubi, per effetto di una situazione internazionale pesante in cui emergono Paesi nuovi che, da un lato determinano una salita inarrestabile dei prezzi delle materie prime e dall’altro una competizione sui costi che – lo dico da imprenditore – è perdente in partenza su molti dei prodotti che costituiscono il Made in Italy. Oggi per molte aziende industriali il rischio di trovarsi fuori dal mercato è concreto.
Alle difficoltà economiche si aggiungono quelle derivanti dall’emigrazione di stranieri verso il nostro Paese, con i relativi pesanti problemi di criminalità che possiamo constatare tutti i giorni. Si tratta di flussi di popolazione, motivati dalla disperata ricerca di condizioni migliori di vita e quindi in parte inarrestabili e certamente non facili da governare. Ma per la risoluzione di questi problemi credo che sia importante soprattutto la chiarezza di idee, cioè la volontà di agire con fermezza e con costanza, senza falsi buonismi e abbandonando ogni sbagliata concezione della solidarietà.
I problemi non mancano, ma sono convinto che la capacità e la forza di reagire ci siano. E credo che l’Italia potrà, nei prossimi anni, ritornare a crescere e risolvere i suoi purtroppo antichi problemi riconquistando il ruolo che gli compete per la sua storia per la sua credibilità dei suoi cittadini.
Da questo punto di vista recuperare lo spirito di quegli anni, per quel periodo magico e irripetibile, fra il 1945 e il 1951 – in cui da una situazione ben più difficile di quella attuale, l’Italia è riuscita a porre le premesse per entrare a far parte del ristretto gruppo dei maggiori Paesi industriali – non può che farci bene. Se siamo riusciti a farcela in quel contesto tragico, di distruzione, di guerra civile, di una miseria quale oggi è difficile persino comprendere, a maggiore ragione possiamo farcela anche in questi travagliati anni del terzo millennio. Grazie.
Dopo un applauso di sette secondi la filarmonica cittadina ha suonato Bella ciao e poi l’inno di Mameli. Poi tutti casa, non prima di un ennesimo ringraziamento e saluto del sindaco.