SANTENA – 15 ottobre 2008 – “L’importanza dell’informazione nella resistenza della società civile alla mafia”. Questo il titolo della serata organizzata nell’aula magna delle scuole medie dall’associazione culturale Europa e dai Presidi di Libera di Chieri e Santena. Sono intervenuti don Tonio Dell’Olio, responsabile area internazionale di Libera e Pino Maniaci, direttore di Telejato. Di seguito gli interventi di: Andrea Rusco, coordinatore del presidio di Libera di Santena; Davide Mattiello, referente regionale di Libera Piemonte; Pino Maniaci; don Tonio Dell’Olio.
-prima parte-
Andrea Rusco, coordinatore del presidio cittadino di Libera.
Vi porto il saluto di Libera Santena, presidio molto giovane, nato il 31 maggio di questo anno. L’idea dei presidi arriva da Libera per poter contrastare la mafia sul suo terreno, sul territorio tutto là dove questo cancro è capillarmente diffuso. In questi mesi Libera si è mossa per coprire l’intero territorio italiano e non solo. Nel Piemonte sono nati molti presidi, alcuni, come il nostro sono nati proprio negli ultimi mesi.
Il presidio di Santena è dedicato a Graziella Campagna; una ragazza di 17 anni, della provincia di Messina, che lavorava in una tintoria. Nel dicembre del 1985 viene assassinata per aver trovato in una camicia portata nella sua lavanderia un documento che non avrebbe mai dovuto vedere. Non era un giornalista o un magistrato, due categorie di persone che possono costituire un pericolo per la mafia, era una giovane come tante, che lavorava in una tintoria, trovare un biglietto in una camicia le è stato fatale. La sua figura ci ha colpito molto, perché ci fa capire come la mafia uccida anche persone normali, ragazzi, giovani, minorenni. E’ stata uccisa con cinque colpi di lupara.
L’obiettivo principale dei presidi di Libera è quello di diffondere il concetto della legalità, perché solo con la cultura della legalità si riesce a combattere l’illegalità.
Davide Mattiello, referente regionale di Libera Piemonte
Il senso della carovana credo si scoprirà ascoltando Toni e Pino, perché Libera noi abbiamo imparato a farla incontrandoci e tessendo relazioni profonde, amicali, non facendo spettacolo. E dunque non incontrando personaggi ma facendo riunioni e incontrando persone. Libera, ma più generalmente il nostro Paese, ha bisogno di una rete di umanità capace di incontrarsi e di resistere, insieme.
La carovana ha il senso, la speranza, l’obiettivo di fare incontrare questa umanità. Io credo che domani mattina ci sveglieremo tutti un po’ diversi, perché incontrando Toni e Pino, mescolandosi con le loro esperienze, i loro spaventi, le loro speranze, domattina ci sveglieremo diversi. Ci svegliamo con un pezzo di consapevolezza in più. Ci svegliamo con un pezzo di storia in più. Ci svegliamo con un pezzo di sguardo in più. E da domani fare Libera o essere comunque cittadini attenti qui a Santena sarà un po’ più diverso.
E a forza di carovane, e a forza di girare questo Paese, incontrandoci tra persone, speriamo di essere capaci di tessere una rete resistente, capace di scrivere una storia diversa; non sono parole retoriche. Perché sappiamo che da questi incontri nascono proposte, progetti e impegni. E gli impegni, un po’ per volta, cambiano la storia. Pino questo l’ha detto in tanti incontri; i giorni della carovana sono stati pochi ma gli incontri sono stati tantissimi. Abbiamo girato in lungo e in largo. Pino ha detto diverse volte: quando un popolo si ribella cambia la storia. La storia è nostra se ce la vogliamo prendere e in questa frase io ci ho sentito la frase di Giovanni Falcone, che tante volte aveva detto quella banalità rivoluzionaria: la mafia è un fenomeno umano, non è magia, non è metafisica. Le mafie sono un fenomeno umano, la mafiosità in certi ambienti anche settentrionali, sono fenomeni umani. Hanno avuto una origine, potranno avere una fine, anzi avranno una fine. Basta volerlo noi pensiamo che con le carovane questa fine si avvicini un po’. Speriamo che con queste carovane la lotta trovi più vigore, la vittoria si avvicini un po’. Con queste carovane un po’ per volta tessiamo questa rete di persone resistenti che non si dimenticano più.
Non siamo qui questa sera per fare spettacolo e commozione, ma per prendere appunti, qualcuno per iscritto, qualcuno mentale, qualcuno nel cuore. Per fissarci queste esperienze, questi percorsi, farli diventare nostri. E allora la carovana antimafia non si fermerà mai. Anzi, la carovana non si ferma più. Non è un solo evento. Non è una sola iniziativa, anche se Libera concentra in alcuni momenti queste iniziative. Noi siamo in carovana, sempre. Perché dopo avere conosciuto Tonio ti vengono in mente delle idee, allora come presidio, poi magari come coordinamento, poi magari con il Comune di Santena ci si ritrova, si progetta. Si buttano giù delle idee. Poi senti parlare Pino e ti viene in mente di andarlo a trovare in Sicilia.
Occhio nel fare Libera; quando si comincia si va avanti fino a che avremo vinto e speriamo un giorno di finire. Saremo disoccupati. Speriamo di finire un giorno; non vediamo l’ora di finire. Non si fa antimafia per il gusto di fare antimafia, ma per il gusto di smetterla, di fare antimafia. Si fa per il gusto di vincere la mafia e di essere finalmente disoccupati come antimafia. Non vediamo l’ora che tutto ciò finisca. Sappiamo che finirà, perché Giovanni Falcone non era un fesso e non siamo ipocriti quando lo diciamo. E allora le carovane sono questo; un modo per accelerare il momento in cui arriverà quella fine e avremo scritto una storia diversa, da popolo capace di ribellarsi e non di rassegnarsi. Siamo qui anche per questo e credo che le parole di Tonio e Pino ci aiuteranno a fare un passo serio, concreto, non retorico, un passo in più. Grazie a Santena che ci accoglie. Grazie al presidio che è nato e speriamo abbia polmoni importanti e gambe Valenti e andiamo avanti.
Pino Maniaci, direttore di Telejato
Telejato è una piccola emittente locale, come credo ce ne siano tante qui al nord. Emittente locale situata in quella che io continuo a definire il triangolo delle Bermude: là si risucchiavano gli aerei, da noi si risucchiano i morti, si parla di persone scomparse e anche parecchie.Il territorio che Telejato copre come diffusione va da Corleone, a Partinico, Cinisi, il paese di Peppino Impastato, Terrasini, Montelepre, San Giuseppe Jato, paese di Brusca e anche una serie di comuni del trapanese. Terre dove vivono un bel po’ di latitanti. Proprio oggi un altro terribile mafioso è tornato libero dopo avere scontato la condanna. Tra le altre cose mi sono dimenticato di dirvi che ci sono quaranta mafiosi che, tra qualche mese, avranno scontato la loro pena e potranno uscire dal carcere. Sono mafiosi del maxiprocesso che hanno avuto solo 20 anni di pena e non l’ergastolo. Oggi hanno fatto venti anni di quella che loro chiamano “università”, usciranno laureati e li avremo presenti nel territorio. Anche se sono tanti e buoni i risultati delle forze dell’ordine con gli arresti, da Provenzano a Rina, ed è stata sgominata la cupola mafiosa, la riorganizzazione della malavita continua perché i mafiosi trovano terreno fertile in quello che è il problema della Sicilia, che non è, come dice Benigni, il traffico. Il problema della Sicilia è la disoccupazione, la gente non sa come vivere. C’è una certa politica che ha voluto mantenere sotto scacco un’isola che ha risorse economiche, veramente enormi.
Telejato è una piccola emittente che oltre ad essere comunitaria – e io continuo a chiamarla extracomunitaria – a differenza delle televisioni commerciali manda in onda poca pubblicità e molta autoproduzione. Telejato può funzionare perché è a conduzione familiare. In Sicilia la famiglia è sempre tutto; nella mafia e contro la mafia. Ho mia moglie che mi segue e mi fa da guardia del corpo, ho tre figli che sono rimasti lì perché Telejato non si ferma in questi tre giorni in cui io sono qui al Nord. Andiamo avanti grazie ad una ragazza – ne parlo con orgoglio – che oggi ha 23 anni e a 20 anni ha vinto il premio nazionale Maria Grazia Cutuli e sapete perché? Noi a Partinico abbiamo un problema che è la più grande distilleria d’Europa all’interno del centro abitato, è classificata come industria insalubre, di prima classe. Da trenta anni inquina impunemente, è la Bertolino, ditta che mi ha omaggiato di 200 querele. Sino a qualche anno fa non sapeva cosa sono i filtri di depurazione, sapeva invece praticare la collusione con la politica locale per avere permessi e concessioni e quant’altro, per poter lavorare. Non sapeva nemmeno cosa era il decreto Ronchi. Oggi, a causa dell’inquinamento originato da questa ditta, tanti partinicesi si ritrovano al Niguarda e non si capisce il perché. A parte la puzza ha bruciato impunemente, per decenni, tonnellate e tonnellate di rifiuti, lanciandoli in atmosfera, rifiuti tossici che i partinicesi hanno respirato. Questo distilleria, per dirvi il calibro della signora proprietaria, il suo papà era l’autista di Al Capone. Tra le altre cose è la cognata di Angelo Siino, che sarebbe il ministro dei Lavori pubblici di Totò Riina, perché anche la mafia ha i ministri. Contro questa ditta abbiamo iniziato una lotta enorme, come Telejato, i giornali ci hanno definiti Davide contro Golia. Da tre anni la distilleria Bertolino è chiusa dalla magistratura perché abbiamo provato che inquina. La proprietaria me l’ha giurata vuole vedermi in carcere ….vedremo se ci riuscirà.
Questo per dire che piccole comunità che fanno rete, che si uniscono possono vincere quelli che sono i potentati economici, i potentati mafiosi. Perché a Dal sud, visto che c’è la globalizzazione, si esporta ‘ndrangheta, mafia, usura, pizzo. Fate rete, mettetevi insieme. Questa sera mi fa molto ma molto piacere vedere qui un po’ tutte le fasce di età. Giovani con anziani, dai giovani ai meno giovani, significa che si è percepito il problema, che è un problema dell’intera comunità. L’infiltrazione è terribile.
La nostra piccola emittente va avanti e abbiamo deciso di fare lotta alla mafia senza se e senza ma. Siamo abituati a fare nomi e cognomi dei mafiosi. Questo ci ha comportato un poco di problemi, perché tra le altre cose, siamo anche abituati a sfotterli i mafiosi. E noi li chiamiamo per soprannomi. Dire a Toto Riina che è Totò “o curto”, nel senso che è bassino …eh, lui se la prende. Dire a Pietro Provenzano che lo chiamano o “tratture”, se la prende. Dire a Giovanni Brusca che lo chiamano “u verru”, lui se la prende. Noi ci divertiamo a chiamarli per i soprannomi, ci divertiamo e continuiamo a divertirci anche se sono liberi. Ci sono i mafiosi liberi e gli arrestati. C’è chi è dentro, chi è fuori, chi passeggia e ancora comanda. In questi anni ci hanno scassato la macchina e ripetutamente minacciati: l’importante è che camminiamo ancora. Ovviamente c’è stato un crescendo delle minacce e intimidazioni. Vedendo che non ci fermavamo ci hanno tagliato i freni, poi ci hanno sparato alla macchina ma noi non eravamo sopra. Poi hanno cercato di strozzarmi. Mi hanno anche bruciato la macchina. Noi non ci siamo fermati con le minacce, con le legnate. E ho detto, retoricamente, che non ci fermano manco se mi ammazzano. Ma è così. Non ci fermeranno. La mafia è un problema che ci tocca tutti. E’ un problema anche internazionale. Ci tocca tutti perché oggi c’è l’usura, domani ci sarà il pizzo. L’usura c’è perché il capitale della mafia si forma dal pizzo, dal racket. Se voi qua a Santena avete un problema con qualche sindaco, quelli scusate non sono c… miei
Don Tonio dell’Olio, referente area internazionale di Libera
Ci sono molti motivi a sostegno dell’importanza dell’informazione nella resistenza della società civile alla mafia. Per rima cosa io penso che l’importanza dell’informazione si respiri addirittura dalla testimonianza dell’esperienza che ci ha portato Pino. L’importanza dell’informazione nasce soprattutto dal fatto che non si rincorrono le emergenze; questa sera noi parliamo a Santena di questo non perché ieri c’è stato l’ennesimo attentato non so dove o perché c’è stato un fatto particolarmente clamoroso. Le mafie rappresentano una emergenza continua nel nostro Paese e noi dobbiamo contribuire a debellarle a partire da una informazione corretta.
Come seconda cosa mi sembra che questa informazione debba avere una qualità. Colpire nel mucchio; fare accuse e denunce generiche, non serve. Dire parole che, tutto sommato, non toccano nessuno perché riguardano tutti non serve. Quando invece si arriva, come fa Pino Maniaci a ritagliarsi un pezzetto di territorio, a analizzarlo bene, ma non con la mentalità del cattedratico dell’accademia universitaria – scusate ho molto rispetto per chi fa quel tipo di elaborazione – però l’informazione è altra cosa. Ritagliarsi un territorio e analizzarne la quotidianità, accompagnarlo, vivendoci dentro quelle contraddizioni e respirare la cultura della mafia e, soprattutto, quella mafiosità che è la mentalità mafiosa. La mafia è l’organizzazione armata che diffonde e spaccia la droga, che organizza i traffici… La mafiosità è ancora più pervicace, non ti fa rendere conto di quello che sta avvenendo, perché tu la respiri questa mafia, ma non ti rendi conto di quando sta condizionando la tua vita. E allora poi uno comincia a fare nome e cognomi – ed è un po’ triste – ma di questo c’è bisogno. E’ triste perché questo dovrebbero farlo le istituzioni. L’informazione però deve sostenere esattamente questo percorso.
Poi c’è un terzo aspetto che diventa importante, è il ruolo educativo dell’informazione. Educativo significa che in noi non potrà crescere quella prima fase del percorso dell’antimafia sociale se innanzitutto non c’è l’indignazione. L’indignazione; che cosa è l’indignazione? E’ il disgusto per il linguaggio mafioso, per gli strumenti mafiosi, per il sistema mafioso. Occorre riconoscerlo non soltanto quando ammazza qualcuno, quando arriva all’estrema decisione, all’omicidio. Occorre riconoscerlo anche quando cammina con passo felpato. Anche quando ha i colletti bianchi. Anche quando è la mafia borghese. Anche quando la mafia è costituita dal sistema delle concessioni, di favori, delle amicizie, delle pacche sulle spalle, degli ammiccamenti, del voltarsi dall’altra parte. Quelle sono situazioni che vanno denunciate perché possano far nascere e creare il disgusto e l’indignazione. Soltanto se ci indignano rispetto a questo noi riusciremo a cominciare il percorso per debellare e vincere definitivamente le mafie.
L’ultimo aspetto, a mio avviso assolutamente importante, è che l’informazione deve andare di pari passo con la conservazione della memoria, con il tenere viva, il riproporre la memoria. Noi ci ricordiamo, e facciamo bene, dei grandi omicidi, Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino. Però ci sono tante altre storie minori che come Libera in questi anni abbiamo imparato a scoprire e accompagnare, a riconoscere a far riconoscere. Guardate, mettetevi nei panni di chi ha perso il marito perché era un poliziotto o un giornalista o di chi si è trovato nel posto sbagliato nel momento sbagliato; è la storia delle tante vittime inconsapevoli, che non se la cercata. Provate a entrare nei panni dei figli dei sindacalisti uccisi dalla mafia. Di queste persone ve ne sono state tante. Il 21 marzo noi leggiamo tutti i loro nomi; è un elenco interminabile. Sono davvero tanti. Dimenticarli – tante volte ho sentito riportare questa frase dai familiari – dimenticarli è come ucciderli due volte. Dimenticarli è ucciderli una seconda volta. Per questo noi, in qualche modo, dobbiamo riuscire a tenere viva la memoria. E l’informazione fa e deve fare anche questo.
Noi come Libera stiamo compiendo un percorso anche come società civile, perché riteniamo che essa abbia avuto un ruolo insostituibile per raggiungere il traguardo della legge sui beni confiscati che permette l’uso sociale di essi. Con Libera memoria, libera internazionale abbiamo avviato percorsi di educazione alla legalità, abbiamo creato un altro settore, che è Libera informazione. Organizziamo seminai per giornalisti, per operatori dell’informazione, dove cerchiamo di fare un minimo di giornalismo di inchiesta, su alcuni territori, non necessariamente quelli che sono più toccati dalla presenza storica e tradizionale delle mafie. Cerchiamo di mettere in luce alcuni aspetti sui quali troppo spesso passiamo oltre e di cui non ci rendiamo conto. E’ come se il corpo sociale avesse metabolizzato la mentalità mafiosa: il sopruso, l’arroganza, la prepotenza, l’uso della violenza o della forza. Oppure quasi non facciamo più caso all’illegalità. Ecco, io penso che l’informazione debba svolgere esattamente questo compito. E, invece, ci rendiamo conto che c’è un’informazione fin troppo piegata ai poteri. Una informazione che non riesce a tenere la schiena dritta. Un’informazione che, a volte, in cambio di favori, di privilegi da garantire o in nome non so di quali cose da preservare, non sempre riesce a essere efficace, puntuale, precisa nelle denunce. Sempre di più oggi abbiamo bisogno di quel giornalismo di inchiesta. Occorre riuscire a seguire le storie, a dare un volto alle situazioni, a dare dei nomi alle responsabilità.
Ecco, io penso che la cosa più interessante che come presidi di Libera si sia realizzato, sia stato il riuscire a rendere concreto il discorso e il percorso dell’antimafia. Io ricordo una canzone, di Giorgio Gaber, che diceva “Un pensiero, un’idea, finché resta un’idea è soltanto un’illusione. Se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione”. Ora, essere riusciti nel 1996 a far approvare la legge che finalmente che sottraeva i patrimoni ai mafiosi, i beni ai mafiosi e, soprattutto, li rendeva segno di riscatto, di riabilitazione, di liberazione di un territorio di una popolazione, e poi li trasformava in prodotti è stato fondamentale. Oggi è possibile, ed è bello, pensare che in una città tanto importante come Santena ci sia un presidio di Libera, perché davvero ci deve essere questa capacità di essere presente in modo diffuso un po’ dappertutto: Anche qui si può promuovere il consumo di questi prodotti coltivati nelle terre confiscate alla mafia. Il fatto che noi oggi riusciamo a mangiare la pasta prodotta dalla cooperativa sociale che si chiama Placido Rizzotto, che era un sindacalista che voleva il ritorno delle terre ai contadini e che purtroppo è morto per questo, perché quella terra doveva rimanere ai mafiosi. E insieme alla pasta ci sono l’olio, il vino, i legumi, la passata di pomodoro. E’ un’antimafia che si può mangiare; non è più soltanto una teoria. Quella legge non si sarebbe potuta ottenete se l’informazione non avesse svolto anche in quella occasione un minimo di questo ruolo. Perché guardate che l’informazione corretta è efficace davvero. Come cappellano ho avuto un’esperienza di carcere abbastanza lunga in un carcere di massima sicurezza, e lì tu vedi, lo Stato come risponde alla criminalità organizzata: con il carcere, con la detenzione. E se uno non entra nelle pieghe della mentalità mafiosa non si accorge di quello che significa. Uno non capisce come viene vissuta la detenzione. Il carcere viene vissuto dai boss come un segno di virilità di forza, di potenza. I mafiosi dicono: –“Io mi sono fatto dodici anni di carcere”, e ancora chiedono –“Che uomo è uno che non ha fatto neanche un giorno di galera?”. Uno gli risponde –“E’ un uomo onesto”.Il carcere dai mafiosi viene vissuto come un gioco a scacchi con lo Stato in cui uno vince e uno perde: E anche in carcere sono pronti a ri-fregare ancora lo Stato. Io ho visto i boss, gli esponenti di spicco della malavita davvero incazzati quando ha cominciato a entrare in vigore questa legge che toglieva loro i beni che si erano procurati con il malaffare. Sentivo i boss che dicevano –“Che c’entrano i miei beni. Io il mio conto con lo Stato lo pago con il carcere”. E io a spiegare, ma guarda che forse i beni li hai avuti con le azioni criminali. Nell’ultimo incontro che ho avuto con trenta detenuti, in un carcere di massima sicurezza, all’interno di un percorso di educazione alla legalità, loro mi hanno lasciato parlare fino a che non ho citato la legge 109 del 1997, lì si sono scatenati. Mi hanno detto che come Libera noi siamo dei parassiti perché speculiamo sui beni degli altri, speculiamo sulle loro ricchezze. Lo sapete che Libera promuove la legge ma non usufruisce direttamente di questi beni, se non per la sede di Roma, che è un bene sequestrato alla banda delle Magliana. Mi hanno detto che siano i professionisti dell’antimafia e che la mafia non esiste e noi l’abbiamo creata per lucrare. Un boss catanese mi ha detto che noi di Libera facciamo la mafia dell’antimafia.Le mafie non nascono per andare a uccidere un po’ di persone in giro per l’Italia e per il mondo, ma nascono per arricchirsi e quindi reagiscono se si agisce sul loro patrimonio. Se poi i beni che erano sottratti dalla malavita alla collettività li fai gestire socialmente, ci metti dentro una scuola, una casa famiglia, una casa per disabili, un centro culturale, persino una caserma dei carabinieri e della finanza, dai un segnale preciso per quel territorio. Di fronte a coloro che ostentano i segni del poteri tu opponi il potere dei segni e niente come la criminalità organizzata è sensibile alla simbologia. Così facendo gli viene sottratto il controllo del territorio oltre che il patrimonio. Proprio questo si sta rivelando una chiave di volta vincente nel contrasto alle mafie. E tutto questo non sarebbe possibile senza il concorso dell’informazione.
Poi c’è anche tutto il ruolo che possono giocare il mondo dell’economia, della politica, dell’educazione, della scuola: tutti devono fare il proprio mestiere, ma l’informazione sicuramente svolge un ruolo chiave all’interno di questa lotta senza quartiere che combattiamo quasi quotidianamente contro le mafie. Una lotta che dovremo portare avanti tutti.
Dopo questi interventi si è svolto il dibattito.
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