SANTENA – 28 novembre 2008 – Aborto e diritti dell’uomo. A trent’anni dalla legge 194 che ha legalizzato l’aborto e a sessanta dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”: questo il titolo del convegno organizzato dal Centro aiuto alla vita di Santena Il convegno si è svolto la sera di venerdì 28 novembre, nella sala comunale Visconti Venosta, a Santena. Di seguito l’intervento del sindaco Benny Nicotra al convegno.
Buonasera a tutti. Grazie non potevo che non essere sensibile a questo convegno perché è una cosa che mi fa tornare indietro, quando ero in Parlamento, quando c’era un referendum per quanto riguardava la parte della fecondazione; se sappiamo davvero di cosa si parla. E io e altri parlamentari, ci siamo dati da fare perché tutto ciò non accadesse. Avevamo fatto una scelta, nel dire che la vita non può essere messa ai voti. Ed era una cosa che io, come altri parlamentari come Rosso e Lupi… persone che hanno dei valori cattolici, avevamo creato l’adesione del comitato politico per l’astensione al referendum. Ci eravamo battuti perché tutto ciò non si verificasse. Però eravamo in pochi, ma non smentisco mai quei momenti un po’ particolari. E lo ripeto la vita non può essere messa ai voti.
E ora do’ lettura della mia relazione.
Il tema dell’aborto è fra i più importanti e la mia posizione al riguardo è chiarissima. Quando tre anni fa si è tenuto il referendum per l’abrogazione delle legge 40 mi sono impegnato attivamente, insieme ad altri esponenti e colleghi politici, per la costituzione di un comitato che si battesse per l’astensione al voto. Ognuno di noi è incominciato così: embrione, feto, bambino, giovane, adulto, anziano; sono la stessa persona in diversi momenti del proprio sviluppo e questo è un momento di grande attenzione. Sono convinto infatti che sia necessario non perdere di vista su questo tema i valori antichi della tradizione italiana, che sono poi sostanzialmente quelli cristiani. In alternativa, rischiamo di perderci in avventure, tra virgolette, scientifiche, che non portano da alcuna parte, o conducono addirittura a scenari direi preoccupanti. Per farmi capire vorrei fare riferimento a un esempio concreto e recentissimo: la legge britannica sulla fecondazione in vitro, la ricerca sugli embrioni umani e, appunto, l’aborto, che è entrata in vigore qualche mese fa.
Lo considero un esempio significativo, perché mi pare che esso evidenzi in modo chiaro la filosofia di fondo che sta sotto certe posizioni filo abortistiche. Quella legge prevede che non ci sia più bisogno del padre per accedere alle tecniche di riproduzione assistita. Per la legge inglese sarà sufficiente un supporto parentale. Il padre diventa quindi un semplice – scusatemi – fornitore di seme. Sarà poi possibile creare “bambini farmaco”, cioè far nascere bambini da una selezione di embrione nella quale si scelgono quelli geneticamente compatibili con fratelli o sorelle malati e vengono scartati gli altri. Scusatemi, ma i nati con questi metodi potranno fornire i propri tessuti o cellule ai famigliari malati. La legge precedente permetteva queste operazioni, solo in presenza di malattie mortali, mentre la nuova normativa allarga le sue possibilità.
Ho citato questa normativa per far capire che certi punti di vista eccessivamente liberali su aborto e sulla manipolazione genetica fanno parte di una cultura che tiene davvero in poco conto il rispetto della vita umana, delle persone. Basti considerare un altro punto. Nella legge suddetta la interruzione volontaria della gravidanza viene concessa fino alla 24 settimana di vita dell’embrione, quando si sa che a 22-23 settimane – come è stato fatto rimarcare da quotidiani di oltremanica – già sono stati salvati bambini inglesi nati molto prematuri e ora cresciuti sani e in salute. Ecco, questo fatto mi pare fondamentale. In sostanza, così come con l’eutanasia, è evidente che il destino della singola persona non lo si può conoscere in anticipo né tantomeno possiamo decidere noi. L’uomo ha un potere superiore; un malato che sembra in condizioni disperate può inaspettatamente riprendersi; il bambino che sembra nascere con un triste futuro, già segnato da miseria o dalla solitudine, magari diventa un grande uomo che darà un contributo importante nella nostra società. Questo può dare fastidio a chi ha una concezione materialistica della vita, ma resta comunque un fattore reale che non si può contestare. Mi viene in mente, a questo proposito, l’esempio di Angelo Rizzoli o di Leopardo del Vecchio: entrambi nati orfani e soli al mondo, che sono diventati, tutte e due, grandissimi imprenditori, che hanno poi dato lavoro a migliaia di persone.
Le posizioni pro aborto e quelle collegate e favorevoli allo sperimentalismo biologico che vengono proposte come difesa dello spirito scientifico e del progresso, anche quando sembrano mosse dal desiderio di aiutare le donne, nascono – perdonatemi – da un concezione del mondo profondamente cinica, pessimista e senza speranza, propria di chi non ha fede nella vita.
E’ in questo tipo di cultura, parliamoci chiaro, che spesso si insinua chi vuole usare le tecniche genetiche per fare business, intravedendo un mercato molto promettente. Si pensi a quanto ha detto recentemente il papa Benedetto XVI, in merito ad alcuni scienziati che cercano il facile guadagno o, peggio ancora, sono animati dall’arroganza di sostituirsi al Creatore. Le parole del santo padre ultimamente sono state illuminanti anche sulla questione specifica dell’aborto. La posizione della Chiesa in questa materia viene, infatti, descritta come volontà di proibire, soltanto in base a principi moralistici, rigidi e astratti, senza tenere conto poi della vita pratica. Il santo padre invece, osservando che anche molti fedeli trovano difficoltà a comprendere bene la bellezza dell’amore coniugale, ha evidenziato che quella cattolica è una proposta positiva, che nasce da una visione ottimista della vita e da un modo responsabile di concepire l’amore nell’ambito del matrimonio, inteso come un impegno serio e per la vita, non come relazione casuale, precaria. Ha osservato il pontefice che la soluzione tecnica, anche nelle grandi questioni umane, appare spesso la più facile, ma essa in realtà nasconde la questione morale di fondo, che non è affatto tecnica ma etica, riguarda il senso della sessualità umana e della vita.
Credo dunque che, nel dibattito di oggi, su questo tema invece di fare dibattiti astratti in termini di progresso o conservazione e proporre allargamenti delle briglie nella interruzione della gravidanza, credo sarebbe più opportuno operare con spirito di concretezza, in positivo, lavorando sull’assistenza sociale nei riguardi delle donne. E solo migliorando la situazione femminile, con un aiuto concreto nei casi di bisogno, che possono venire meno i problemi di vita che possono portare alla decisione, sempre molto dolorosa per le donne, di abortire.
In Italia lo Stato, fino a oggi, è stato incapace di sostenere la famiglia e di assisterla in modo che cessi o si riduca al minimo l’esigenza di liberarsi dei nuovi nati per chi è in condizioni di grave difficoltà economica. Su quel che si può e si deve fare gli esempi sono molti: provvedimenti fiscali con il quoziente famigliare; assistenza domiciliare per anziani; asilo nido in numero sufficiente; aiuti fiscali per famiglie numerose. La via giusta e costruttiva per risolvere questi problemi è dunque quella di creare un ambiente sempre più favorevole per le donne, invece di lasciarle sole e di costringere all’aborto, quando non sono in grado di mantenere il nascituro. L’aborto, più o meno facilitato, non risolve i problemi delle donne e, soprattutto, non è una vittoria; è una sconfitta per chi lo pratica e per la nostra società.