Santena, Emanuele Arduini racconta un anno in Camerun

SANTENA – 2 novembre 2009 – Emanuele Arduini, santenese – borgata Carolina –, racconta un anno di servizio civile internazionale trascorso in Africa, nel Camerun.

Emanuele Arduini Africa

Emanuele Arduini come è nata l’idea di investire un anno della tua vita in Camerun?

«Tutto è cominciato con il desiderio di mettermi in gioco e incontrare altre culture. Dopo una ricerca attraverso internet, ho visto che avrei potuto usufruire dello strumento del servizio civile internazionale. Sempre navigando sono arrivato al COE – Centro Orientamento Educativo, di Milano. Ho preso contatto con la presidente Rosella Scandella. A luglio 2008 ho partecipato al bando di concorso e tre mesi dopo – in ottobre – sono partito per l’Africa, con destinazione Camerun. I primi sei mesi li ho trascorsi a Mbalmayo a 40 km a sud della capitale Yaoundé; successivamente mi sono trasferito al Nord a Garoua e negli ultimi due mesi sono ritornato a Yaoundé».

Che tipo di servizio hai svolto?

«Ho lavorato principalmente nel settore socio educativo: all’interno di scuole nell’ambito di progetti di formazione realizzati a fianco delle insegnanti locali. Il mio intervento si inseriva nell’ambito delle attività culturali e della sensibilizzazione su problematiche sociali. Al Nord ho lavorato nel progetto “Ragazzi in difficoltà”, in un centro culturale per i giovani e nell’attività educativa all’interno del carcere cittadino. Ho utilizzato la lingua francese; il Camerun è bilingue, inglese e francese, ma quest’ultima è dominante».

Della tua esperienza cosa vorresti trasmettere ai ragazzi di Santena?

«Più di tante mie parole consiglierei ai ragazzi di vivere un’esperienza simile. Invito i giovani a organizzare un viaggio nei Paesi del Sud del Mondo, eliminando i villaggi turistici e i viaggi organizzati dagli operatori turistici. Un ottimo strumento è l’inserimento all’interno dei progetti delle molte Ong – Organizzazioni non governative – che operano in questi Paesi Sono esperienze uniche che ti permettono di immergerti in un’altra società non tanto come turista, ma come cittadino del mondo».

Che cosa si può segnalare della tua esperienza?

«Naturalmente sono davvero tante le cose che mi sono rimaste impresse. La più significativa è l’incontro con uno stile di vita lontano anni luce dalla nostra mentalità. Si tratta di una società profondamente diversa da quella europea. Non è stato semplice entrare e inserirmi nel contesto sociale camerunese. Subito c’è curiosità, ma poi ti rendi conto di osservare tutto con gli occhi di un occidentale. Il rischio è la continua comparazione tra le due società, giudicando gli aspetti positivi e quelli negativi. La difficoltà più grande è mettere da parte le proprie sicurezze e scoprire un nuovo atteggiamento per affrontare le situazioni della vita; questo affascina profondamente.

Dopo un anno che cosa ti è rimasto impresso dentro?

«Sicuramente un anno in Camerun mi ha permesso di accrescere la mia flessibilità mentale. Vivendo lontano dalle proprie convinzioni sei costretto a mettere in gioco il tuo modo di vivere. Appena superato lo shock iniziale comprendi che il mondo può essere visto da un’altra prospettiva e che non esistono Paesi di serie A e Paesi di serie B. Dodici mesi in Africa sono sufficienti per maturare un sano spirito critico nei confronti di alcuni aspetti della nostra società. Si tratta di una esperienza che ti porta a ragionare su tante cose che ci accadono ogni giorno e che spesso accettiamo supinamente senza riflettere troppo.  E’ un anno che fa bene».

Come hai intenzione di continuare questa tua esperienza?

«Ora l’anno è terminato e sono tornato in Italia. Lavoro come educatore nel mondo della scuola e in alcuni progetti sociali. L’idea che coltivo è ripartire, magari già l’anno prossimo. Mi sto organizzando per andare due mesi in Sud America. Vedremo».

Che bilancio si può fare dell’anno in Africa?

«Va detto che sicuramente non è stato semplice: dodici mesi sono lunghi e la distanza a volte pesa. Detto questo comunque vorrei comunicare che ne è valsa la pena. E’ stata una esperienza positiva e ricca di una forte carica emozionale. Mi ha cambiato profondamente anche a livello professionale: sono tornato con nuovi strumenti per affrontare le situazioni dove ho ripreso a operare».

C’è qualche episodio che merita di essere segnalato?

«La cosa più toccante è il fatto di percepire la “diversità”. In Camerun sei definito il bianco – le blanc: tutti ti chiamano così. Questo succede sia quando cammini nelle stradine dei piccoli villaggi sia quando ti perdi all’interno dei mercati della grande città. E’ ovvio che in un anno ho vissuto anche esperienze non molto positive: in alcuni momenti il colore più chiaro è una differenza che non aiuta. Ma questi sporadici episodi non cancellano la buona accoglienza che ho ricevuto. Le ore trascorse a parlare con la gente, comunicando reciprocamente la propria storia, le infinite partite di calcio, le numerose riunioni per organizzare formazioni e incontri, il cibo gustato in buona compagnia, le serate musicali, le magnifiche danze, i viaggi per conoscere il Camerun, le lunghe discussioni di politica, religione e filosofia: sono ricordi che non potranno mai essere cancellati».

Il mal d’Africa ti ha contagiato?

«Direi proprio di no. Scherzando potrei dire che in genere è una patologia che colpisce chi frequenta i villaggi turistici e i safari. Durante l’anno ho vissuto situazioni difficili e di profonda ingiustizia: al Nord ho visto scene di povertà assoluta e di mancanza di cibo. Tengo a sottolineare, però, che l’Africa non è solo “la fame e le guerre”. Ci sono molti aspetti bellissimi e affascinanti: le tradizioni ancestrali ancora molto presenti nella società, l’arte, la danza, la musica,la visione mistica della natura e del mondo, il passaggio orale della cultura da padre in figlio, la solidarietà all’interno della grande famiglia africana, il rispetto e l’accoglienza dello straniero».

Manu che cosa ti sei portato via?

«I tanti volti dei bambini, dei ragazzi, di uomini e donne che ho incontrato e conosciuto, anche solo per qualche minuto. Le persone che mi hanno raccontato le loro speranze per il futuro, i sogni ma anche i problemi e le difficoltà della loro esistenza. Coloro i quali mi hanno comunicato la loro vita e abbiamo fatto un pezzo di strada insieme. Ecco, ho portato con me questi pensieri perché sono rimasti impressi nel mio cuore».

Cosa è cambiato in te ora che sei tornato in Italia?

«Probabilmente ora vivo ancora più sulle nuvole di quanto non lo fossi prima di fare questa esperienza. Nel senso che devo ancora capire dove mi trovo adesso. Qualcuno dice che il ritorno è una strada da ritrovare: è impossibile, però, riprendere il percorso che avevi lasciato. Sono stato via dall’Italia un anno appena, ma le cose che nel frattempo si sono modificate mi sembrano davvero parecchie. O forse l’anno in Africa mi ha cambiato più di quanto non mi aspettassi».

Come intendi comunicare agli altri questa tua esperienza in Africa?

«Ci sto pensando da un po’. Non è semplice raccontare quello che si è vissuto. Ho paura che foto e parole si rivelino non sufficienti a trasmettere il senso di questa mia bella esperienza. Mi piacerebbe raccontare il mio anno con musiche, filmati e testimonianze di persone che hanno vissuto esperienze simili. Per ora: “lavori in corso”».

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INFO

Centro Orientamento Educativo

Il Centro Orientamento Educativo è un’associazione di laici volontari cristiani impegnati in Italia e in altri Paesi del mondo nella formazione di uomini validi per una società più libera e solidale, rinnovata nella cultura. Riconosciuto Organismo idoneo alla cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, attiva e sostiene progetti di volontariato internazionale e opera in Italia per la formazione a una nuova mentalità interculturale e alla solidarietà.

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