SANTENA – 15 novembre 2009 – Proposte di riflessione per i giorni dal 15 al 21 novembre 2009.
Domenica 15 novembre 2009
Sappiate che egli è vicino
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In quei giorni, dopo quella tribolazione,il sole si oscurerà,la luna non darà più la sua luce,le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo. Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».
Mc 13,24-32
Vigilare ogni giorno e ogni ora
Avvicinandosi la fine dell’anno liturgico, la chiesa propone alla nostra meditazione l’ultima parte del grande discorso escatologico di Gesù (cf. Mc 13). Prima di andare verso la sua passione, morte e resurrezione (cf. Mc 14-16), Gesù rivolge ai discepoli un parola autorevole sulla fine dei tempi, istruendoli sull’evento che ricapitolerà tutta la storia e le darà un senso pieno: la parusia, cioè la venuta nella gloria del Figlio dell’uomo.
Servendosi di alcuni versetti tratti dai libri profetici, Gesù afferma che “in quei giorni il sole si oscurerà, la luna non darà più il suo splendore, gli astri cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”. Egli non vuole spaventare coloro che lo ascoltano, ma fa uso del linguaggio apocalittico, proprio della tradizione ebraica, per esprimere una realtà fondamentale: questo mondo e questa creazione vanno verso una fine, verso quel “Giorno del Signore” già invocato dai credenti di Israele, giorno di salvezza e di giudizio. E ciò avviene per un preciso disegno del Dio che è Signore della storia e del tempo, il quale desidera instaurare il suo Regno di pace e di giustizia, dando così inizio ai cieli nuovi e alla terra nuova da lui preparati (cf. Is 65,17; 2Pt 3,13; Ap 21,1).
Tutto questo coinciderà con la venuta gloriosa del Figlio dell’uomo, il Signore Gesù Cristo: “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria” (cf. Dn 7,13-14). Spesso i cristiani leggono il tempo in maniera mondana, come un continuo omogeneo che esclude ogni attesa, un eterno presente in cui tutto può avvenire tranne la venuta gloriosa del Signore Gesù. Di fronte a questo atteggiamento rassegnato e fatalistico occorre testimoniare che la parusia del Signore fa parte integrante del mistero cristiano, perché egli ne ha parlato con chiarezza. Sì, il Figlio dell’uomo, cioè Gesù che è già venuto nella fragile carne umana, nato da Maria e morto in croce, Risorto e Vivente, verrà nella gloria, come egli stesso ha dichiarato con un’autorevolezza frutto della sua assiduità con Dio: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”.
Tutta la creazione geme e soffre nelle doglie del parto aspettando la sua trasfigurazione (cf. Rm 8,19-22), e la venuta finale del Signore esaudirà in pienezza anche questa supplica, di cui i cristiani si fanno voce quando invocano: “Vieni, Signore Gesù! Maranà tha!” (Ap 22,17.20; 1Cor 16,22)… Davvero la venuta del Signore non nega la storia, ma vuole trasfigurare il nostro mondo. Si spiega in questo modo la quotidianità dell’immagine utilizzata da Gesù per ammonire i discepoli: “Dal fico imparate la parabola: quando il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l’estate è vicina; così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il Figlio dell’uomo è vicino, alle porte”. L’annuncio della venuta del Signore non aliena il credente dall’oggi, anzi gli chiede la capacità di aderire al presente, di amare la terra in cui vive. Cercare le cose dell’alto restando fedeli alla terra: così si declina la vigilanza, quell’atteggiamento di consapevole attesa della venuta del Signore richiesto con insistenza da Gesù a conclusione del suo discorso (cf. Mc 13,33-37).
Vigilanza motivata anche dall’umile ammissione dello stesso Gesù: “Quanto a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre”. Il Figlio dell’uomo verrà in un’ora che è nascosta in Dio, dunque occorre essere sempre pronti. Gesù ci ha infatti avvertiti: “Se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi state pronti, perché nell’ora che non immaginate il Figlio dell’uomo viene” (Mt 24,43-44). Insomma, non è il “quando” che conta, bensì la fiduciosa certezza di un futuro orientato dalla promessa del Signore: “Io vengo presto!” (Ap 22,20)…
I cristiani sono “coloro che amano e attendono la manifestazione gloriosa del Signore Gesù Cristo” (cf. 1Cor 1,7; 2Cor 4,8) e affrettano con la loro attesa perseverante tale evento (cf. 2Pt 3,12). Questo è il loro tratto specifico nella storia e nella compagnia degli uomini. Ecco perché un grande padre della chiesa, Basilio, ha scritto con profonda intelligenza spirituale: “Che cosa è proprio del cristiano? Vigilare ogni giorno e ogni ora, sapendo che nell’ora che non pensiamo il Signore viene”.
Enzo Bianchi
La “fine del mondo” deve avvenire ogni giorno
Ci stiamo ormai avviando verso la conclusione dell’anno liturgico. Il brano evangelico fa parte del “discorso escatologico” (ossia quello sulle “realtà ultime”), che in Marco comprende tutto il capitolo 13. Gesù è appena uscito dal tempio, dove ha fatto l’elogio di una povera vedova che aveva gettato nel tesoro tutto quanto aveva per vivere. Con i discepoli si dirige verso il monte degli ulivi da dove si può ammirare lo splendore del tempio. I discepoli, guardando questa incredibile costruzione, ne restano colpiti e uno di loro dice a Gesù: “Maestro, guarda che pietre e che costruzione!”. Ed in effetti si trattava di un complesso architettonico che suscitava le meraviglie di chiunque lo vedesse. Nello stesso Talmud si legge: “Chi non ha visto ultimato il santuario in tutta la sua magnificenza, non sa cosa sia la sontuosità di un edificio” (Sukka 51b). Gesù, quasi interrompendo le affermazioni di meraviglia del discepolo, dice a tutti che di quella costruzione non sarebbe rimasta pietra su pietra. I discepoli restano ovviamente stupiti e increduli di fronte a tali parole; i tre più intimi, cui si aggiunge Andrea, subito chiedono quando tale disastro sarebbe dovuto accadere. Gesù risponde con un lungo discorso di cui abbiamo ascoltato il punto culminante. Dopo aver parlato della “grande tribolazione” di Gerusalemme, Gesù annuncia che seguiranno sconvolgimenti cosmici: “Il sole si oscurerà e la luna non darà più chiarore; le stelle precipiteranno giù dal firmamento e le forze del cielo saranno sconvolte”. E aggiunge: “Allora si vedrà il figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria”.
Il testo evangelico suggerisce che il “figlio dell’uomo” non viene nella stanchezza delle nostre abitudini e neppure si inserisce nel naturale sviluppo delle cose. Quando egli verrà porterà un cambiamento radicale sia nella vita degli uomini che nella stessa creazione. Per esprimere questa trasformazione profonda – una sorta di violenta interruzione della storia – Gesù riprende il linguaggio tipico della tradizione apocalittica allora molto diffusa e parla di un crollo cosmico, di uno vero e proprio scardinamento del sistema planetario. Già il profeta Daniele aveva preannunciato: “Vi sarà un tempo di angoscia, come non c’era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro”. I testi della Scrittura non avallano, però, una sorta di “teoria della catastrofe”, secondo la quale deve esserci prima l’inabissarsi del mondo in un completo fallimento per poter quindi attendere finalmente Dio che volgerà al bene ogni cosa. No, Dio non arriva alla fine, quando tutto è perduto. Egli non rinnega la sua creazione. Nel libro dell’Apocalisse leggiamo: “Tu hai creato tutte le cose, e per la tua volontà furono create e sussistono” (4,11).
La Scrittura, in tutte le sue pagine, esorta piuttosto ad operare (e ad invocare) per instaurare una creazione nuova secondo l’immagine della città futura descrittaci nelle pagine finali dell’Apocalisse: “Vidi un cielo nuovo ed una terra nuova, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (21,1-2). Lo sconvolgimento del creato, che c’è e ci sarà, è finalizzato alla instaurazione di questa “Gerusalemme” ove tutti i popoli della terra saranno radunati. Se del tempio che vedevano gli apostoli non sarebbe rimasta pietra su pietra è perché nella futura Gerusalemme non ci sarà tempio, perché appunto come sta scritto: “Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio e l’Agnello sono il suo tempio” (Ap 21,22). Gesù parla di “ultimi giorni”, ma dice anche che tali rivolgimenti avverranno in “questa generazione”, ossia nel tempo che coinvolgeva i suoi ascoltatori. Del resto era la stessa presenza di Gesù a realizzare lo sconvolgimento del corso normale della vita del mondo. Basti pensare a quanto accadeva con la sua predicazione e a quanto accadde con la resurrezione. L’irruzione del “figlio dell’uomo” era ormai avvenuta e sarebbe continuata per tutte le generazioni che si sarebbero succedute lungo la storia. Il “giorno del Signore”, prefigurato da Daniele e dagli altri profeti, irrompe in ogni generazione, anzi in ogni giorno. È suggestiva l’espressione usata da Gesù sulla prossimità degli “ultimi giorni”. Egli dice: “Sappiate che ciò è alle porte”. Questa immagine è usata anche altre volte dalle Scritture per esortare i credenti ad essere pronti per accogliere il Signore che passa. “Ecco, il giudice è alle porte”, scrive Giacomo nella sua lettera (5,9). E l’Apocalisse: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (3,20). Alle porte di ogni giornata della nostra vita c’è il Signore che bussa, c’è il “giorno ultimo” che attende di essere accolto, c’è il giudizio di Dio che intende trasformare il tempo che già ora viviamo.
La “fine del mondo” deve avvenire ogni giorno. Ogni giorno dobbiamo far finire un piccolo o un grande pezzo del mondo cattivo e malvagio che non Dio ma gli uomini costruiscono. Del resto i giorni che passano finiscono inesorabilmente. Di essi non resta più nulla se non il loro bagaglio di bene o, purtroppo, di male che noi realizziamo. La Scrittura ci invita ad avere davanti agli occhi questo futuro verso cui siamo diretti: la fine del mondo non è la catastrofe, ma l’instaurazione della città santa che scende dal cielo. Si tratta di una città, ossia di una realtà concreta, non astratta, che raccoglie tutti i popoli attorno al loro Signore. Questo è il fine (e, in certo modo, anche la fine) della storia. Ma questa città santa deve essere seminata già da ora nei nostri giorni, perché possa crescere e trasformare la vita degli uomini a sua immagine. Non si tratta di un innesto automatico e facile, ma della fatica quotidiana che ogni credente deve compiere, ricordando quanto dice il Signore: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”.
Comunità di Sant’Egidio
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Lunedì 16 novembre 2009
Che cosa vuoi che io faccia per te?
Mentre Gesù si avvicinava a Gèrico, un cieco era seduto lungo la strada a mendicare. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli annunciarono: «Passa Gesù, il Nazareno!». Allora gridò dicendo: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». Quelli che camminavano avanti lo rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù allora si fermò e ordinò che lo conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato». Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo glorificando Dio. E tutto il popolo, vedendo, diede lode a Dio.
Lc 18,35-43
Da Caritas in veritate 56
La ragione ha sempre bisogno di essere purificata dalla fede, e questo vale anche per la ragione politica, che non deve credersi onnipotente. A sua volta, la religione ha sempre bisogno di venire purificata dalla ragione per mostrare il suo autentico volto umano. La rottura di questo dialogo comporta un costo molto gravoso per lo sviluppo dell’umanità.
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Martedì 17 novembre 2009
Lo accolse pieno di gioia
In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
Lc 19,1-10
Da Caritas in veritate 57
Il dialogo fecondo tra fede e ragione non può che rendere più efficace l’opera della carità nel sociale e costituisce la cornice più appropriata per incentivare la collaborazione fraterna tra credenti e non credenti nella condivisa prospettiva di lavorare per la giustizia e la pace dell’umanità. Nella Costituzione pastorale Gaudium et spes i Padri conciliari affermavano: «Credenti e non credenti sono generalmente d’accordo nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all’uomo, come a suo centro e a suo vertice».
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Mercoledì 18 novembre 2009
Ti sei mostrato fedele nel poco
In quel tempo, Gesù disse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro. Disse dunque: «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d’oro, dicendo: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”. Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: “Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi”. Dopo aver ricevuto il titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate dieci”. Gli disse: “Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città”. Poi si presentò il secondo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate cinque”. Anche a questo disse: “Tu pure sarai a capo di cinque città”. Venne poi anche un altro e disse: “Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato”. Gli rispose: “Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi”. Disse poi ai presenti: “Toglietegli la moneta d’oro e datela a colui che ne ha dieci”. Gli risposero: “Signore, ne ha già dieci!”. “Io vi dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”». Dette queste cose, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme.
Lc 19,11-28
Da Caritas in veritate 57
Per i credenti, il mondo non è frutto del caso né della necessità, ma di un progetto di Dio. Nasce di qui il dovere che i credenti hanno di unire i loro sforzi con tutti gli uomini e le donne di buona volontà di altre religioni o non credenti, affinché questo nostro mondo corrisponda effettivamente al progetto divino: vivere come una famiglia, sotto lo sguardo del Creatore.
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Giovedì 19 novembre 2009
Non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata
In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa dicendo: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi. Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».
Lc 19,41-44
Da Caritas in veritate 58
Il principio di sussidiarietà va mantenuto strettamente connesso con il principio di solidarietà e viceversa, perché se la sussidiarietà senza la solidarietà scade nel particolarismo sociale, è altrettanto vero che la solidarietà senza la sussidiarietà scade nell’assistenzialismo che umilia il portatore di bisogno. Questa regola di carattere generale va tenuta in grande considerazione anche quando si affrontano le tematiche relative agli aiuti internazionali allo sviluppo. Essi, al di là delle intenzioni dei donatori, possono a volte mantenere un popolo in uno stato di dipendenza e perfino favorire situazioni di dominio locale e di sfruttamento all’interno del Paese aiutato. Gli aiuti economici, per essere veramente tali, non devono perseguire secondi fini.
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Venerdì 20 novembre 2009
I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire
In quel tempo, Gesù, entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo loro: «Sta scritto: “La mia casa sarà casa di preghiera”. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri». Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popolo; ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo.
Lc 19,45-48
Da Caritas in veritate 58
Resta vero che la maggior risorsa da valorizzare nei Paesi da assistere nello sviluppo è la risorsa umana: questa è l’autentico capitale da far crescere per assicurare ai Paesi più poveri un vero avvenire autonomo.
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Sabato 21 novembre 2009
Dio non è dei morti, ma dei viventi
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.
Lc 20,27-40
Da Caritas in veritate 58
…è pertanto necessario aiutare tali Paesi a migliorare i loro prodotti e ad adattarli meglio alla domanda. Inoltre, alcuni hanno spesso temuto la concorrenza delle importazioni di prodotti, normalmente agricoli, provenienti dai Paesi economicamente poveri. Va tuttavia ricordato che per questi Paesi la possibilità di commercializzare tali prodotti significa molto spesso garantire la loro sopravvivenza nel breve e nel lungo periodo. Un commercio internazionale giusto e bilanciato in campo agricolo può portare benefici a tutti, sia dal lato dell’offerta che da quello della domanda. Per questo motivo, non solo è necessario orientare commercialmente queste produzioni, ma stabilire regole commerciali internazionali che le sostengano, e rafforzare il finanziamento allo sviluppo per rendere più produttive queste economie.
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