SANTENA – 25 aprile 2010 – Di seguito, alcune proposte di riflessione per i giorni dal 25 aprile al 1° maggio 2010.
Domenica 25 aprile 2010
Ascoltano la mia voce e mi seguono. Io do loro la vita eterna
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Gv 10,27-30
Difficoltà a svelare la sua identità a quanti non credono in lui
Stiamo vivendo il tempo pasquale con una speciale contemplazione di Gesù risorto da morte: egli è l’Agnello che sulla croce è stato sgozzato (cf. Ap 5,6.9.12; 13,8), ma con la resurrezione è diventato il Pastore, e come tale guida ancora la sua comunità, nutre le sue pecore attraverso nuovi pastori da lui voluti e donati al suo gregge. Sì, Gesù è il Signore vivente che, come «Pastore dei pastori» (1Pt 5,4) sta tra il Padre, di cui è Figlio, e i credenti in lui, il suo «piccolo gregge» (Lc 12,32). Gesù rivela questo nel tempio di Gerusalemme, nei giorni in cui si celebra la festa di Hanukkah o della Dedicazione, quella in cui gli ebrei ricordano la ri-santificazione del tempio che era stato profanato da Antioco IV Epifane. Nel tempio Gesù aveva già fatto un gesto significativo: l’aveva purificato, scacciando da esso i venditori e gli animali destinati al sacrificio (cf. Gv 2,13-22). Allora era sorta la domanda: «Con quale autorità fai queste cose?». Ora, analogamente, i capi dei Giudei gli chiedono: «Fino a quando terrai il nostro animo in sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente» (Gv 10,24). Ma Gesù risponde loro mettendo in evidenza la difficoltà a svelare la sua identità a quanti non credono in lui, a quanti non vogliono vedere le sue azioni come azioni di Dio: insomma, a quelli che non sono sue pecore (cf. Gv 10,25-26)… E così emergono la figura di Gesù come Pastore e quella dei credenti in lui come pecore. Qual è il rapporto, il legame tra Gesù e i credenti in lui? Egli stesso lo dice con chiarezza: le pecore ascoltano la sua parola fino a riconoscere la sua voce, quindi si affidano a lui e lo seguono con fiducia e sicurezza, dovunque lui le conduca. Ascolto e sequela sono ciò che è essenziale per diventare credenti in Gesù, per essere coinvolti nella sua vita, per far parte della sua comunità: solo attraverso un ascolto obbediente e una sequela perseverante si può avere con Gesù una comunione di vita profonda e duratura. Ma questo legame delle pecore con il Pastore si interseca con la conoscenza che Gesù ha delle pecore: egli le conosce una ad una, le chiama per nome (cf. Gv 10,3) e, precedendole, apre loro il cammino verso pascoli abbondanti (cf. Gv 10,9). Non solo, ma questo Pastore che è Gesù dà la sua vita per le pecore (cf. Gv 10,11.15.17), in modo che esse abbiano la vita eterna, non siano strappate dalla sua mano e non vadano mai perdute. Questo esercizio pastorale – si noti bene – avviene nella relazione del Pastore con l’intero gregge e con ciascuna delle pecore. Dovrebbero ricordarlo i pastori della chiesa: se infatti il loro ministero non è vissuto come la relazione quotidiana di chi sta «in mezzo» (Lc 22,27) alla comunità, essi finiscono per diventare dei funzionari… Purtroppo ciò accade sempre di più nella chiesa, e così i credenti, le pecore, si sentono sempre di più organizzati in gregge, impegnati in svariati servizi, trattati come «militanti», ma soffrono in realtà di mancanza di rapporto e di comunicazione con il pastore. Ogni relazione autentica, invece, si nutre innanzitutto di presenza, poi di ascolto, comunicazione, amore, cura e dedizione, fino al dono della vita. Sono questi gli atteggiamenti con cui va vissuta la pastorale, se non si vuole che essa scada a mera burocrazia, a un impegno da funzionari. Se il pastore ha con le pecore la relazione vissuta e insegnata dal «Pastore grande delle pecore» (Eb 13,20), allora egli sarà anche capace di aprire loro il rapporto con Dio, colui che lo ha voluto come pastore a immagine di Gesù. Gesù ha ricevuto le pecore nella sua mano, e queste possono gridare: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo?» (Rm 8,35), certe di essere da lui poste nelle mani del Padre. Ecco in fondo a cosa servono i pastori nella chiesa, i vescovi, i presbiteri: ad aiutarci ad essere consapevoli che noi siamo custoditi nella mano di Gesù Cristo, il quale ci vuole collocare nella mano di Dio, da cui niente e nessuno ci può strappare.
Enzo Bianchi
Essere fedeli vuol dire ascoltare la sua voce e seguirlo ogni giorno
In quel giorno di sabato, nella sinagoga di Antiochia di Pisidia, antica città situata nel cuore dell’Asia Minore (l’attuale Turchia), avvenne un fatto che non appartiene solo alle origini della storia della comunità cristiana: è l’uscita della Chiesa dall’ebraismo. C’erano in quella sinagoga donne pie di alto rango e uomini abituati a incontrarsi tra di loro; era un gruppo ben formato e amalgamato, tutti credenti nell’unico Dio; cosa, ovviamente, bella e singolare in una terra di increduli e di pagani. In quella riunione di gente religiosa e credente entrarono Paolo e Barnaba e con loro “quasi tutta la città”, desiderosa di ascoltare l’annuncio evangelico. “Quando videro quella moltitudine” – scrive l’autore degli Atti degli apostoli – i giudei furono presi da gelosia e cominciarono a contraddire le parole di Paolo, bestemmiando.
Questa vicenda, apparentemente lontana, si ripete in verità lungo le generazioni, anche se con modalità diverse. Infatti i credenti della sinagoga di Antiochia sono quei credenti di ogni ora, di ogni generazione, per i quali la parola evangelica è qualcosa di già posseduto, di già conosciuto, al punto che non solo non sentono più il bisogno di ascoltare ma, quando lo fanno, non ascoltano con il cuore e con la disponibilità a cambiare. Quando la Parola li strappa dalla sapienza della loro legge o dalla concentrazione su loro stessi; oppure quando il Vangelo rompe i confini del gruppo, del clan, della razza, della nazione, costoro reagiscono contraddicendo. La vicenda accaduta ad Antiochia è un’ammonizione per ogni singolo credente, per ogni comunità ecclesiale, e perché no, anche per quella mentalità individualista che sottolinea il proprio particolare, che sempre più si sta affermando. Credere di conoscere già il Signore e di possederlo, bloccando così la continua chiamata alla conversione del cuore che ogni giorno ci invita a superare i nostri confini, è contraddire il Vangelo, e al fondo, bestemmiarlo. La vita alla sequela di Gesù e al suo Vangelo non è la sicurezza di un’appartenenza e neppure la tranquilla acquisizione di una predilezione antica. C’è una fatica nell’ascolto e un’urgenza di cambiamento del nostro cuore nella sequela. Nel Vangelo Gesù dice: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono” (Gv 10,27). Essere fedeli al Signore vuol dire ascoltare la sua voce e seguirlo ogni giorno, ovunque egli ci conduca. È l’esatto contrario dello stare seduti pigramente e orgogliosamente nella sinagoga di Antiochia. A chi lo ascolta e a chi lo segue (l’unico modo per seguirlo è ascoltarlo mentre parla e cammina per le vie del mondo) promette la vita eterna: nessuno dei suoi andrà perduto, dice Gesù con la sicurezza di chi sa di avere un potere più forte persino della morte. E aggiunge: “nessuno le strapperà dalla mia mano”. Si tratta di un pastore buono, forte e geloso delle sue pecore. La vita di quelli che lo ascoltano è nelle mani di Dio; mani che non dimenticano e che sanno sostenere sempre.
L’Apocalisse apre davanti ai nostri occhi la visione di “una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide” (v. 9). È l’immagine della fine della storia, ma anche del fine di essa: quella moltitudine è ciò verso cui ci conduce il Buon Pastore. Ed è proprio questa visione che i credenti e gli uomini di buona volontà sono chiamati a realizzare già oggi, in particolare in questo momento storico, nel quale assistiamo a un mondo in cui i singoli e le nazioni (compresi i gruppi etnici) sono tesi, più che alla comunione, alla rivendicazione dei propri diritti. Tuttavia quello che resta spesso sottaciuto è proprio questa visione dell’unità del genere umano che è, al fine, la missione storica di Gesù. L’Apocalisse rappresenta il contrario di quello che accadde ai giudei di Antiochia di Pisidia; la predicazione ruppe i confini angusti di quelle persone religiose e si proiettò verso il vasto mondo degli uomini. Il Vangelo allarga il cuore di ogni credente, perché scardina radicalmente la radice amara dell’individualismo egoista e violento. Nel cuore di ogni singolo membro di quella “moltitudine” di cui parla l’Apocalisse (ne fanno parte anche coloro che, senza saperlo, sono animati dallo spirito di Dio), si coglie il respiro universale che sorregge il cuore stesso del Buon Pastore. In questa domenica la Chiesa invita a pregare per i sacerdoti e per il loro compito pastorale. È una preghiera che ci coinvolge ben sapendo che tutti, ma loro in particolare, debbono vivere il respiro di quella carità universale caratteristica del Vangelo.
Comunità di Sant’Egidio
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Lunedì 26 aprile 2010
Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza
In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
Gv 10,1-10
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Martedì 27 aprile 2010
Voi non credete perché non fate parte delle mie pecore
Ricorreva, in quei giorni, a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente».Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Gv 10,22-30
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Mercoledì 28 aprile 2010
Chiunque crede in me non rimane nelle tenebre
In quel tempo, Gesù esclamò: «Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».
Gv 12,44-50
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Giovedì 29 aprile 2010
Le sagge , insieme alle lampade, presero anche dell’olio
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: “Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano per comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”.
Mt 25,1-13
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Venerdì 30 aprile 2010
Chi ha visto me, ha visto il Padre
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.
Gv 14,7-14
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Sabato 01 maggio 2010
Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?
In quel tempo, Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: “Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?”. E si scandalizzavano per causa sua. Ma Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua”.
E non fece molti miracoli a causa della loro incredulità.
Mt 13,54-58
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