Santena – 20 giugno 2010 – Di seguito, alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 20 al 26 giugno 2010.
Domenica 20 giugno 2010
Se qualcuno vuole venire dietro a me rinneghi se stesso
Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».
Lc 9,18-24
Gesù chiede di essere amato sopra ogni cosa
“Chi sono io secondo la gente?”. È la domanda che Gesù rivolge ai suoi discepoli a Cesarea di Filippo (Lc 9,18-24). L’evangelista non riporta il luogo ma precisa la situazione in cui Gesù si rivolge con queste parole ai discepoli, ossia “mentre egli si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui” (v. 18). Non si tratta di una sorta di sondaggio elettorale da parte di Gesù; anche se gli evangeli, in varie circostanze, fanno emergere la diversità delle opinioni e degli atteggiamenti della gente verso questo singolare profeta di Nazareth. Luca pone in bocca ai discepoli alcune delle opinioni più comuni: “Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto” (v. 19). A ognuna di queste attribuzioni corrispondeva un grado più o meno elevato di popolarità o comunque di adesione. Tuttavia, a Gesù non sembra interessare più di tanto il parere della gente; quel che davvero gli sta a cuore è cosa pensino di lui i discepoli. E il motivo si comprende dal seguito del racconto evangelico. Gesù sta per intraprendere un cammino davvero difficile verso Gerusalemme. Egli ha ormai chiaro lo scontro che avverrà tra la sua predicazione e le autorità religiose (gli anziani e i principi dei sacerdoti) e spirituali (gli scribi) che dominano Israele. E certamente gli tornano in mente i numerosi brani dell’Antico Testamento ove si parla del servo sofferente o del giusto “trafitto” , come abbiamo ascoltato dalla lettura del profeta Zaccaria. Ma se per lui è chiaro quel che gli accadrà, non lo è affatto per i discepoli. Per questo, Gesù, senza commentare le opinioni della gente, chiede immediatamente ai discepoli: “Ma voi chi dite che io sia?” (v. 20). È la domanda centrale del brano evangelico. Essa chiede certamente chiarezza di idee, ma soprattutto adesione del cuore. E Pietro, a nome di tutti, risponde: “Il Cristo di Dio”. È una risposta che se non è del tutto chiara nella mente di Pietro, certamente è piena e limpida sul piano della sua adesione affettiva ed esistenziale. È ormai chiaro che Gesù per i discepoli non è solo un maestro di dottrine, è l’amico, è il confidente, è la loro vita, è il loro salvatore. La conversazione che si instaura tra Gesù e i discepoli, perciò, non assomiglia a quelle che si possono fare all’interno di una qualsiasi organizzazione, è piuttosto un dialogo familiare, confidente. Gesù apre il suo cuore e confida ai suoi più intimi quello che gli accadrà a Gerusalemme. Del resto è venuto sulla terra per compiere non la sua ma la volontà del Padre, qualunque cosa essa comporti. L’annuncio “confidenziale” della sua passione, morte e resurrezione, certamente sciocca il piccolo e sparuto gruppo di discepoli. Ma Gesù sa bene che questa è l’essenza del suo Vangelo e per nessuna ragione al mondo può rinunciarvi. Anzi, chiunque vuole seguirlo deve accoglierla. Continua, perciò, a parlare proponendo alcune indicazioni sulla sequela. La prima e fondamentale condizione, comunque, è un’adesione piena e totale a lui. Gesù vuole che i discepoli siano tali non solo esteriormente ma con il cuore; non a metà, ma interamente. E proprio all’inizio del suo viaggio verso Gerusalemme – siamo ancora in Galilea – dice a coloro che lo ascoltano: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. Più avanti, ancora più’ decisamente, dirà: “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14,26). Il legame richiesto è forte, più forte del vincolo naturale che ognuno di noi ha con i propri genitori, i figli, il marito o la moglie; e più forte del legame che ognuno ha con se stesso, i propri affari e i propri interessi. L’espressione è molto energica e certo va compresa con attenzione; ma resta comunque alquanto esigente. E non può essere altrimenti. Non va, perciò, sminuita nella sua forza. Gesù chiede perentoriamente di essere amato sopra ogni cosa; esige di venir prima di ogni affetto e di ogni affare. O, se si vuole, pretende di essere il primo affetto e il primo affare. Tutto ciò comporta tagli e divisioni da operare su ciascuno di noi, iniziando appunto dal cuore. Qui è il luogo ove si sceglie a chi affidare la propria vita: se a se stessi, alla propria carriera, a tanti altri idoli, oppure al Signore. È ovvio che ogni taglio, ogni divisione, richiede sforzo e sacrificio; talvolta, una vera e propria lotta. Essa va combattuta da ogni discepolo. Le parole del Signore non riguardano una particolare categoria di persone (preti, religiosi, suore) ma tutti i cristiani, tutti coloro che scelgono di seguire Gesù. La sequela, come dicevo, è un fatto anzitutto affettivo: Gesù lo si segue con il cuore, ossia volendogli bene, pensandolo, parlando con lui, avendolo davanti agli occhi, cercando di mettere in pratica quello che dice. In tal senso la sequela è il cuore del messaggio morale del Vangelo. L’esperienza di Gesù e il suo stile di vita costituiscono l’inderogabile norma di vita di ogni cristiano. Seguire Gesù significa essere disponibili a percorrere il suo cammino, a prendere su di sé il rifiuto del mondo, l’incomprensione e anche la diffamazione. Ma il termine sarà la resurrezione, la pienezza della vita. Gesù lega il discepolo al suo destino personale. Sembra direi: “Il cammino che sto per intraprendere è anche il vostro cammino”. E chiude con una frase davvero strana per noi, ma è la sintesi della sua vita: “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà” (v. 24). Chi “perde” la vita, ossia chi la spende al seguito di Gesù, l’ha davvero salvata. Non l’ha persa dietro cose vane e illusorie.
Dall’omelia domenicale della Comunità di Sant’Egidio
Perdere la nostra vita per amore di Gesù Cristo
Il brano evangelico odierno è composto di due parti strettamente collegate tra loro, che possono essere sintetizzate da due domande: chi è Gesù? Chi è il suo discepolo?
Nella prima parte Pietro, in risposta a un interrogativo posto da Gesù, lo acclama quale «Cristo di Dio», quale Messia. E Gesù, dopo aver imposto ai Dodici il silenzio su questa identità, precisa immediatamente quale sia la sua messianicità: quella del «Figlio dell’uomo che deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Su questi versetti la chiesa ci invita a meditare anche nell’annata B, offrendoci il brano parallelo del vangelo secondo Marco (Mc 8,27-35: XXIV domenica del tempo Ordinario, annata B) e ricordandoci che con questo «deve» Gesù non allude a un destino crudele impostogli da Dio, bensì innanzitutto a una necessità umana: in un mondo ingiusto il giusto può solo essere osteggiato fino a essere ucciso se se ne presenta l’occasione (cfr. Sap 2). Gesù avrebbe potuto passare dalla parte degli ingiusti, allora l’ostilità verso di lui sarebbe cessata. Ma se egli affronta questa situazione continuando a vivere come giusto, ossia restando fedele a Dio, ecco che la necessità umana può anche essere letta come necessità divina: nel senso che la libera obbedienza alla volontà di Dio, che chiede di vivere l’amore fino all’estremo, esige una vita di amore, anche a costo di una fine ignominiosa. Ma il brano odierno ci consente anche di sostare più approfonditamente sulle richieste fatte da Gesù a chi vuole seguirlo, ovvero sulle esigenze che dalla sua particolarissima messianicità discendono per i suoi discepoli. Gesù – annota Luca – non indirizza il suo sguardo solo alla sua piccola comunità, ma lo estende a «tutti»; rivolge delle precise richieste a tutti coloro che vogliono andare dietro a lui, mettendoli in guardia con chiarezza, anche a costo di scoraggiarli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua». Sono parole a prima vista dure, che richiedono a noi una comprensione intelligente: non vanno intese in senso fondamentalista, alla stregua di «un programma di morte» (Bruno Maggioni) o di una chiamata all’auto-annientamento, né d’altra parte vanno edulcorate, come se fossero una semplice metafora…
Rinnegare se stessi significa smettere di voler affermare se stessi, lottare contro l’egoismo che sempre ci minaccia, contro quella terribile malattia che la tradizione cristiana ha definito philautía, «amore di sé»: una brama perseguita a ogni costo, anche contro e senza gli altri; una preoccupazione esclusiva per sé che induce a considerare il proprio io come misura della realtà. Chi vince questo egoismo mortifero cessa di essere ripiegato sui propri interessi e diventa libero di vivere per gli altri, di generare pensieri, parole e azioni finalizzate alla comunione fraterna. Allora può anche farsi carico della propria croce ogni giorno – precisazione solo lucana –, con faticosa perseveranza. Portare la croce è caricarsi dello strumento della propria esecuzione, rinunciando a difendersi e ad autogiustificarsi; è mostrare con la nostra vita quotidiana che niente e nessuno potrà mai impedirci di vivere il Vangelo, che è possibile trasformare anche l’ingiusta violenza che si scarica contro di noi in un’occasione per amare i nostri nemici. In questo stile di vita c’è chi ci ha preceduti, Gesù Cristo. Si tratta di seguirlo sempre, ovunque egli vada (cfr. Ap 14,4), certi che egli ha vissuto il cammino della croce come segno ultimo di una vita piena d’amore: non bisogna infatti leggere la vita di Gesù a partire dalla croce, bensì la croce a partire dalla vita di chi vi è salito, Gesù, colui che ha trasformato uno strumento di esecuzione capitale nel luogo della massima gloria!
Queste tre istanze rimangono valide in tutta la loro radicalità, oggi come allora, e disegnano un cammino di vita piena e felice. La miglior interpretazione a esse la fornisce Gesù stesso, commentandole con quelle parole che costituiscono il vero fulcro della differenza cristiana: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà». Ecco l’intima verità del Vangelo: perdere la nostra vita per amore di Gesù Cristo è ciò che può giustificare ogni nostra rinuncia, è la vera beatitudine possibile già qui e ora. Ma se non comprendiamo questo, possiamo ancora dirci cristiani?
Enzo Bianchi
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Lunedì 21 giugno 2010
Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non giudicate, per non essere giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? O come dirai al tuo fratello: “Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio”, mentre nel tuo occhio c’è la trave? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».
Mt 7,1-5
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Martedì 22 giugno 2010
Entrate per la porta stretta che conduce alla vita
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi. Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti. Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!».
Mt 7,6.12-14
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Mercoledì 23 giugno 2010
Dai loro frutti li riconoscerete
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li riconoscerete».
Mt 7,15-20
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Giovedì 24 giugno 2010
La mano del Signore era con lui
Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante si aprirono la sua bocca e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui. Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.
Lc 1,57-66.80
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Venerdì 25 giugno 2010
Signore, se vuoi, puoi purificarmi
Quando Gesù scese dal monte, molta folla lo seguì. Ed ecco, si avvicinò un lebbroso, si prostrò davanti a lui e disse: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi». Tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio: sii purificato!». E subito la sua lebbra fu guarita. Poi Gesù gli disse: «Guàrdati bene dal dirlo a qualcuno; va’ invece a mostrarti al sacerdote e presenta l’offerta prescritta da Mosè come testimonianza per loro».
Mt 8,1-4
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Sabato 26 giugno 2010
Egli ha preso su di sé le nostre infermità
In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò». Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa». Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti». E Gesù disse al centurione: «Va’, avvenga per te come hai creduto». In quell’istante il suo servo fu guarito. Entrato nella casa di Pietro, Gesù vide la suocera di lui che era a letto con la febbre. Le toccò la mano e la febbre la lasciò; poi ella si alzò e lo serviva. Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: “Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie”.
Mt 8,5-17
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