Santena – 5 settembre 2010 – Di seguito, alcune proposte di riflessione per i giorni dal 5 all’11 settembre tratte dalla liturgia del giorno con commento tratto dall’omelia domenicale della comunità di Sant’Egidio.
Chi di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Lc 14,25-33
Rinunciare a tutto per scegliere Gesù
Tutti i pellegrini in Terra Santa sanno bene che leggere il Vangelo in quei luoghi facilita la comprensione di molte sue pagine a motivo dei contorni più precisi che esse assumono. Il Vangelo di questa domenica rientra tra queste. L’evangelista Luca ci presenta il viaggio di Gesù verso Gerusalemme, e possiamo immaginare le strade polverose e assolate, talora in mezzo a un deserto sassoso come quello di Giuda, che salgono verso il monte Sion, agognata meta per ogni pio ebreo. Gesù era appena uscito dalla casa di uno dei capi dei farisei, ove aveva partecipato a un banchetto, durante il quale non erano mancate parole decise e taglienti. Riprendeva il cammino seguito da molta folla. Accorgendosi che tanti lo seguivano, Gesù “si voltò” per rivolgere loro la parola. Non è una semplice notazione di cronaca. In quel “voltarsi” c’è tutta la passione di Gesù per la gente. Quante volte ha ripetuto a coloro che lo seguivano che non era venuto per se stesso, ma per loro! Da allora Gesù non cessa di “voltarsi” verso le folle stanche e sfinite di questo mondo. Le folle di ieri e quelle di oggi. E tra esse, anche noi.
Ogni volta, infatti, che ci viene annunciato il Vangelo, particolarmente nella liturgia eucaristica domenicale, si attua nuovamente questo “voltarsi” di Gesù. La sua parola è detta per noi; è proclamata per raggiungere e commuovere il nostro cuore. Il “voltarsi” di Gesù è un voltarsi serio, come serio è il suo amore. Egli si è assunto a tal punto la nostra causa da dare la sua stessa vita per noi. Ma pretende da noi altrettanta serietà nel seguirlo: “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la propria vita, non può essere mio discepolo” (v. 26). Sono le condizioni per seguire Gesù. In nessun altro punto del Vangelo si parla con tanta serietà della sequela. A differenza del brano analogo di Matteo (10,37), Luca enumera dettagliatamente i vari rapporti di parentela, sembra non volerne escludere nessuno; e tutti sottostanno all’imprescindibile esigenza di dover scegliere chi amare di più. Per essere miei discepoli, dice Gesù, non basta venire dietro a me fisicamente e affrontare anche qualche sacrificio, ma è necessario riconsiderare complessivamente tutti i propri legami col passato, sino a giungere ad amare il Cristo più di quanto si ami il padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino se stessi! Non c’è dubbio che si tratta di parole a prima vista molto severe, tanto da sembrarci impossibile che siano uscite dalla bocca di Gesù. Eppure sono lì, chiare e inequivocabili. È certamente vero che si tratta di espressioni da collocare nel contesto linguistico semitico che manca del comparativo relativo, per cui l’essenza dell’espressione contraria ad “amare di più” sembrerebbe diventare, quasi automaticamente, “odiare”. Questa è l’interpretazione comune di questo brano. Tuttavia, l’espressione non va neutralizzata con troppa facilità. La pretesa di Gesù è e resta estremamente dura in se stessa. Una interpretazione semplicemente etica della parola (rifiuto del comandamento dell’amore, oppure critica nei confronti del quarto comandamento del decalogo) non coglie l’essenza della richiesta evangelica. Gesù e il regno di Dio esigono l’annullamento di tutti gli ordinamenti di vita valevoli fino a quel momento, per crearne di nuovi. È a partire dalla scelta radicale per Gesù che debbono rinascere i rapporti, anche quelli familiari. Chi volesse amare Gesù alla pari di altri affetti, non amerà in modo serio nessuno dei due. La radicalità della scelta per il Signore è quindi la sostanza di questo brano evangelico. Il versetto seguente lo chiarisce: “Colui che non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo” (v. 27). Gesù pronuncia questa frase mentre cammina verso Gerusalemme, ove lo attende, appunto, la croce. Ebbene, “andare dietro a Gesù” vuol dire partecipare al suo destino, essere una cosa sola con lui. Non è cosa facile e a poco prezzo. Nell’intraprendere questa strada è necessario riflettere con cura e valutare le proprie scelte. Gesù chiarisce questo concetto con due esempi tratti dalla vita quotidiana. L’uomo che vuole costruire un fabbricato calcola con cura se le sue disponibilità finanziarie sono sufficienti per realizzare l’impresa; così pure un re, prima di fare una guerra, valuta se con le sue forze potrà sconfiggere il nemico, altrimenti negozia le condizioni di pace prima che sia troppo tardi. Non si tratta qui di calcoli da fare quasi ci fosse un’alternativa nel seguire il Signore. Tutt’altro. Gesù chiude affermando: “Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (v. 33). Sembra che l’unico calcolo da fare sia, appunto, rinunciare a tutto per scegliere Gesù ed essere suoi discepoli. E questo non è un fatto banale; è la cosa più tremendamente seria della nostra vita.
Comunità di Sant’Egidio
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Lunedì 6 settembre 2010
è lecito fare del bene in giorno di sabato?
Un sabato Gesù entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C’era là un uomo che aveva la mano destra paralizzata. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato, per trovare di che accusarlo.
Ma Gesù conosceva i loro pensieri e disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati e mettiti qui in mezzo!». Si alzò e si mise in mezzo.
Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano!». Egli lo fece e la sua mano fu guarita. Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù.
Lc 6,6-11
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Martedì 7 settembre 2010
Passò tutta la notte pregando Dio
In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore.
Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.
Lc 6,12-19
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Mercoledì 8 settembre 2010
Emmanuele che significa Dio con noi
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa Dio con noi.
Mt 1,18-23
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Giovedì 9 settembre 2010
Benedite coloro che vi maledicono
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».
Lc 6,27-38
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Venerdi 10 settembre 2010
Togli la trave dal tuo occhio
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».
Lc 6,39-42
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Sabato 11 settembre 2010
Ogni albero si riconosce dal suo frutto
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda. Perché mi invocate: Signore, Signore! e non fate quello che dico?
Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene. Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande».
Lc 6,43-49
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