Santena – 15 maggio 2011 – Di seguito, alcune proposte di riflessione per i giorni dall’ 15 al 21 maggio tratte dalla liturgia del giorno, con spigolature dal quarto capitolo degli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020 “Educare alla vita buona del vangelo” e omelia domenicale della Comunità di Sant’Egidio.
Domenica 15 maggio 2011
Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza
In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».”
Gv 10,1-10
Enorme distanza tra il nostro comportamento e quello di Dio
“Sappia con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!” (At 2,14). Queste parole risuonano decise anche oggi, alle nostre orecchie. Pietro non scarica le accuse su qualcuno o su qualche gruppo in particolare; non accusa solo i giudei (talora queste parole sono state usate in modo distorto a sostegno dell’avversione verso gli ebrei); l’apostolo accusa tutti, cominciando da sé, e poi gli altri, anche i romani e coloro che erano presenti a Gerusalemme, nessuno dei quali si è opposto all’ingiustizia che si stava perpetrando contro quel giusto. Tutti erano stati corresponsabili, chi per paura, chi per indifferenza, chi per tradimento, chi per distrazione. E tutti, in fondo, per lo stesso motivo: salvare se stessi e la propria tranquillità. L’unico che non ha salvato se stesso è stato Gesù, per questo Dio è intervenuto e lo ha strappato dalla morte. La resurrezione è tutta di Dio. Nostra è invece la responsabilità per la morte di quel giusto; nostra è anche la responsabilità per la morte di tanti innocenti ancora nei nostri giorni. Ecco perché – notano gli Atti – gli ascoltatori di Pietro al sentire il Vangelo della resurrezione “si sentirono trafiggere il cuore”. Anche ai loro occhi apparve infatti l’enorme distanza tra il loro comportamento e quello di Dio. Prima di loro già Pietro stesso si era sentito trafiggere il cuore nel petto quando aveva udito il canto del gallo che gli ricordava il tradimento. Ugualmente i due tristi discepoli di Emmaus si sentirono “ardere il cuore nel petto” mentre quello straniero, aggiuntosi nel cammino, spiegava loro le Scritture. Il Vangelo tocca il cuore e lo “riscalda”, ma non quando ci sentiamo buoni, sensibili, religiosi, bensì quando avvertiamo la nostra distanza da Dio, l’unico buono, quando sentiamo il bisogno di aiuto. In un mondo in cui si è fatto più raro il senso della grandezza di Dio e più frequente invece il senso della buona considerazione di se stessi, l’ascolto del Vangelo ci fa scoprire il nostro vero volto. Ed è proprio la coscienza della propria debolezza e della propria cattiveria che spinge a chiedere: “Cosa dobbiamo fare?”. Non è una domanda formale; anzi è piena di disponibilità a cambiare il proprio cuore. Non dicono: “Cosa debbono fare gli altri”, bensì cosa ognuno di loro deve fare. La risposta è nel Vangelo: seguire Gesù, il pastore buono. Il Vangelo parla di un recinto per le pecore. C’è chi vi entra per vie traverse: costui si insinua come un ladro e un brigante nella notte della paura e della debolezza, per portarsi via il cuore dei discepoli, per fiaccare la loro vita. Può trattarsi di un discorso, di una persona, di un’abitudine o di una qualsiasi altra cosa che però rapina il cuore dei discepoli. C’è invece chi entra nel recinto per la porta: è il pastore delle pecore, il “guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce”. Nelle prime apparizioni Gesù ha trovato le porte del cuore dei discepoli chiuse per la paura e l’incredulità. Ora la porta si apre, il pastore entra e chiama le sue pecore una per una: è la parola del Risorto che chiama per nome Maria mentre sta piangendo davanti al sepolcro; è la parola che chiama Tommaso perché non sia più incredulo ma credente; è la parola che chiede a Pietro, “Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?”, per tre volte. È una voce diretta che chiede una risposta altrettanto diretta. Non è una voce estranea. È la voce dell’amico. Essa non conduce in un altro recinto, magari più bello e confortevole; toglie invece ogni recinzione, ogni barriera per porre davanti ai nostri occhi l’orizzonte illimitato dell’amore. Dice Paolo: voi siete liberi da tutto per essere schiavi di una cosa sola, dell’amore. Verso tale amore Gesù ci conduce. Egli cammina innanzi a noi e ci porta verso questo pascolo verde: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Chi lo segue sarà salvo, troverà pascolo e “non soffrirà mai la fame… non soffrirà mai la sete” (Gv 6,35).
Comunità di Sant’Egidio
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Lunedì 16 maggio 2011
Ho altre pecore, anche quelle io devo guidare
In quel tempo, Gesù disse:«Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».”
Gv 10,11-18
La società diventi sempre più terreno favorevole all’educazione
La comunità cristiana offre il suo contributo e sollecita quello di tutti perché la società diventi sempre più terreno favorevole all’educazione. Favorendo condizioni e stili di vita sani e rispettosi dei valori, è possibile promuovere lo sviluppo integrale della persona, educare all’accoglienza dell’altro e al discernimento della verità, alla solidarietà e al senso della festa, alla sobrietà e alla custodia del creato, alla mondialità e alla pace, alla legalità, alla responsabilità etica nell’economia e all’uso saggio delle tecnologie.
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Martedì 17 maggio 2011
Io e il Padre siamo una cosa sola
Ricorreva, in quei giorni, a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».”
Gv 10,22-30
Preziose opportunità per una proposta educativa integrale
(L’educazione) richiede il coinvolgimento non solo dei genitori e degli insegnanti, ma anche degli uomini politici, degli imprenditori, degli artisti, degli sportivi, degli esperti della comunicazione e dello spettacolo. La società nella sua globalità, infatti, costituisce un ambiente vitale dal forte impatto educativo; essa veicola una serie di riferimenti fondamentali che condizionano in bene o in male la formazione dell’identità, incidendo profondamente sulla mentalità e sulle scelte di ciascuno. Inoltre, i vari ambienti di vita e di relazione – non ultimi quelli del divertimento, del tempo libero e del turismo – esercitano un’influenza talvolta maggiore di quella dei luoghi tradizionali, come la famiglia e la scuola. Essi offrono perciò preziose opportunità perché non manchi, in tutti gli spazi sociali, una proposta educativa integrale.
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Mercoledì 18 maggio 2011
Sono venuto per salvare il mondo
In quel tempo, Gesù esclamò:«Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».”
Gv 12,44-50
I processi mediatici intervengono sull’esperienza
Agendo sul mondo vitale, i processi mediatici arrivano a dare forma alla realtà stessa. Essi intervengono in modo incisivo sull’esperienza delle persone e permettono un ampliamento delle potenzialità umane. Dall’influsso più o meno consapevole che esercitano, dipende in buona misura la percezione di noi stessi, degli altri e del mondo. Essi vanno considerati positivamente, senza pregiudizi, come delle risorse, pur richiedendo uno sguardo critico e un uso sapiente e responsabile.
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Giovedì 19 maggio 2011
Siete beati se le mettete in pratica
[Dopo che ebbe lavato i piedi ai discepoli, Gesù] disse loro: «In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica. Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma deve compiersi la Scrittura: “Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno”. Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io sono. In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».”
Gv 13,16-20
Educare alla conoscenza dei mezzi e linguaggi mediatici
Il loro ruolo nei processi educativi è sempre più rilevante: le tradizionali agenzie educative sono state in gran parte soppiantate dal flusso mediatico. Un obiettivo da raggiungere, dunque, sarà anzitutto quello di educare alla conoscenza di questi mezzi e dei loro linguaggi e a una più diffusa competenza quanto al loro uso.
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Venerdì 20 maggio 2011
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me».”
Gv 14,1-6
Tutelare l’infanzia
Il modo di usarli (i mezzi mediatici) è il fattore che decide quale valenza morale possano avere. Su questo punto, pertanto, deve concentrarsi l’attenzione educativa, al fine di sviluppare la capacità di valutarne il messaggio e gli influssi, nella consapevolezza della considerevole forza di attrazione e di coinvolgimento di cui essi dispongono. Un particolare impegno deve essere posto nel tutelare l’infanzia, anche con concreti ed efficaci interventi legislativi.
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Sabato 21 maggio 2011
Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.”
Gv 14,7-14
L’impresa educativa richiede un’alleanza
Pure in questo campo, l’impresa educativa richiede un’alleanza fra i diversi soggetti. Perciò sarà importante aiutare le famiglie a interagire con i media in modo corretto e costruttivo, e mostrare alle giovani generazioni la bellezza di relazioni umane dirette. Inoltre, si rivela indispensabile l’apporto dei mezzi della comunicazione promossi dalla comunità cristiana (tv, radio, giornali, siti internet, sale della comunità) e l’impegno educativo negli itinerari di formazione proposti dalle realtà ecclesiali.
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