Santena – 29 maggio 2011 – Di seguito, alcune proposte di riflessione per i giorni dal 29 maggio al 4 giugno 2011 tratte dalla liturgia del giorno, con spigolature dal quinto capitolo degli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020 “Educare alla vita buona del vangelo” e omelia domenicale della Comunità di Sant’Egidio.
Domenica 29 maggio 2011
Il Padre vi darà lo Spirito della verità
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».”
Gv 14,15-21
Nel presente dobbiamo già coltivare il futuro che desideriamo
In questo tempo, mentre continuiamo a vivere il mistero della Pasqua, la Santa Liturgia ci raccoglie in preghiera perché ci prepariamo, come gli apostoli, a ricevere il dono dello Spirito Santo. Il brano degli Atti degli Apostoli che abbiamo ascoltato ci narra di Pietro e Giovanni che scesero in Samaria tra coloro che avevano aderito al Vangelo, per invocare su di essi lo Spirito Santo: “non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo” (Atti 8,16-17). È la prima testimonianza di quella che noi chiamiamo la “Cresima”. Oggi, la Parola di Dio, come Pietro e Filippo, è scesa in mezzo a noi per preparare il nostro cuore a ricevere questo mirabile dono. Domenica prossima celebreremo l’Ascensione di Gesù al cielo. Da quel giorno i discepoli non vedranno più con i loro occhi quel maestro che avevano seguito, ascoltato, toccato, per tre interi anni. Il Vangelo, continuando la lettura di domenica scorsa, ci riporta alla sera dell’ultima cena, quando Gesù parlò della sua dipartita da loro e li vide subito rattristarsi. Le sue parole subito si vestirono di consolazione e speranza; quegli uomini, che con gran fatica aveva tenuti assieme, erano suoi, gli appartengono. Non voleva che si disperdessero; tanto meno che si perdessero. Egli stava per “partire”. E non era scontato che avrebbero continuato a stare insieme; e non era affatto pacifico che pur restando insieme avrebbero continuato ad annunciare il Vangelo sino agli estremi confini della terra. “Non vi lascerò orfani: verrò da voi”, disse Gesù.
Senza dubbio nei pensieri di Gesù era dominante la preoccupazione per il futuro di quel piccolo gruppo che aveva radunato. Una preoccupazione che aveva fin dall’inizio, ma in quella sera appariva in tutta la sua chiarezza e drammaticità. Da questo sentimento, non privo di tratti drammatici, nascevano le parole che disse all’inizio della cena: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi”. Il desiderio di incontrare i discepoli si sostanziava nel voler consegnare loro il suo testamento, la sua eredità, che sarebbe dovuta perpetuarsi nel tempo. Quella cena era il momento alto di questa consegna. Ed ogni liturgia domenicale fa rivivere anche a noi tale momento. Anzi, in quella cena erano già presenti tutte le sante liturgie che sarebbero seguite in ogni parte della terra e in ogni tempo. Anche quella che stiamo celebrando oggi. Non a caso Gesù, rivolgendosi al Padre prega non solo per quel piccolo gruppo di discepoli “ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola” (Gv 17,20). C’è un tratto della nostra spiritualità e della nostra pastorale che va più chiaramente recuperato: la preoccupazione per il futuro delle comunità. Per essere discepoli del Signore non basta lasciarsi assorbire dal lavoro quotidiano nella sua immediatezza. Nel presente dobbiamo già coltivare il futuro che desideriamo. È quanto insegna Gesù in quella sera. Egli ha davanti ai suoi occhi un gruppo di poche e fragili persone; li guarda con affetto e sogna l’umanità intera radunata attorno a quella mensa. Certo è ingenuo confidare l’eredità del Vangelo in quelle povere mani. Ma è l’ingenuità di Dio che si fida e si affida ai piccoli e ai deboli. Gesù dice che non li lascerà soli, come degli orfani abbandonati. Il termine ha forti connotazioni veterotestamentarie, ove l’orfano è il prototipo di colui che è alla mercé dei potenti, colui nei cui confronti si commettono non poche ingiustizie. Gesù non lascerà i suoi indifesi. E annuncia la vicinanza di un “consolatore” (alla lettera un “soccorritore”), che è lo “Spirito di verità”. Il termine “soccorritore”, applicato allo Spirito Santo, sta a significare colui che aiuta in qualunque circostanza, soprattutto in quelle più difficili. Finché è stato con i suoi, Gesù stesso li ha aiutati, istruiti e difesi. “Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione” (Gv 17,12), dice Gesù nella preghiera al Padre. D’ora in poi sarà lo Spirito il loro soccorritore permanente. Egli – dice Gesù – rimarrà con voi per sempre. C’è bisogno dello Spirito di Gesù, perché nel mondo non si trova; è uno Spirito che il mondo né vede né conosce; è estraneo alle logiche di questo mondo, alle ideologie di menzogna, a quei sistemi perversi che opprimono gli uomini e perpetuano la violenza. Ma lo Spirito di Gesù è estraneo anche ai tanti spiriti che posseggono i nostri cuori e i nostri pensieri. Mi riferisco allo spirito di indifferenza, allo spirito dell’amore solo per se stessi, allo spirito di orgoglio, di inimicizia, di invidia, di menzogna, di arroganza. E quanti altri ancora! Non c’è bisogno di ricorrere ad una vetero-demonologia, che poi viene facilmente rimossa dalla nostra razionalità, per parlare di spiriti, e neppure c’è bisogno di credere con una facilità che sconcerta, se non fosse così dannosa, a possessioni diaboliche. Si tratta piuttosto di riconoscere, con maggiore realismo, che di spiriti cattivi ne circolano davvero molti. Ma tali spiriti non sono strani. Essi si vestono di normalità. Le esagerazioni sono un furbesco espediente, per poter vivere tranquilli. In realtà ognuno di noi dovrebbe riconoscere di essere posseduto, e tranquillamente, senza troppo contrastarli, da questi spiriti cattivi. Sono essi che fanno danno, che moltiplicano le violenze, le solitudini, le ostilità, le guerre. Tutte queste cose nascono da cuori intristiti e incattiviti. Non andiamo a esaminare i casi eccezionali. Certo fanno preoccupare, ma sono solo la punta di una realtà ben più vasta. Quel che davvero rende infernale la nostra vita sono questi spiriti di egoismo ordinario che soggiogano i nostri cuori e guidano i nostri comportamenti in maniera distorta. Ecco perché c’è bisogno ancora oggi della Pentecoste. Abbiamo bisogno che lo Spirito del Signore scenda e faccia tremare, in uno spirituale terremoto, le pareti rigide e chiuse del nostro cuore; c’è bisogno che una nuova fiamma si posi sul capo di ciascuno e scuota dalla pigrizia e dalla paura. All’alba del terzo millennio ci è chiesto di rivivere, per noi e per il mondo, il miracolo di quella prima Pentecoste che trasformò il cuore e la vita dei discepoli. Ma da dove inizia il miracolo della Pentecoste? Non è particolarmente complesso. Il miracolo inizia dall’amore per Gesù, dall’amore per il Vangelo. È questo amore la prima fiammella che si posa sul capo dei discepoli e scalda il loro cuore. L’amore per Gesù è perciò l’avvio di ogni esperienza religiosa cristiana. Gesù, nell’ultima cena, rivolto ai discepoli disse loro: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”. È la prima volta nel Vangelo che Gesù chiede ai discepoli di amarlo. Sino ad allora aveva chiesto che amassero il Padre, i poveri, i piccoli, che si amassero a vicenda tra loro. Ora, poco prima di morire, chiede che amino lui. Certo vi è una domanda di affetto; ma l’amore per Gesù non termina a lui, si riversa con abbondanza su di noi. Dice Gesù: “Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”. Questa fiammella d’amore che lo Spirito depone nel cuore di ognuno di noi è la forza interiore che ci sostiene nel cammino della vita e ci fa crescere ad immagine del Signore Gesù. È l’energia che rigenera il mondo.
Comunità di Sant’Egidio
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Lunedì 30 maggio 2011
Vi scacceranno
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma vi ho detto queste cose affinché, quando verrà la loro ora, ve ne ricordiate, perché io ve l’ho detto».”
Gv 15,26-16,4
Sia annunciato il Vangelo della vita buona, bella e beata
Ogni ambito del vissuto umano è interpellato dalla sfida educativa.
Tra i processi di accompagnamento alla costruzione dell’identità personale, merita particolare rilievo l’educazione alla vita affettiva, a partire dai più piccoli. È importante che a loro in modo speciale sia annunciato «il Vangelo della vita buona, bella e beata che i cristiani possono vivere sulle tracce del Signore Gesù».
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Martedì 31 maggio 2011
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo
In quei giorni, Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre». Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.”
Lc 1,39-56
Motivare la bellezza dell’insegnamento evangelico
È urgente accompagnare i giovani nella scoperta della loro vocazione con una proposta che sappia presentare e motivare la bellezza dell’insegnamento evangelico sull’amore e sulla sessualità umana, contrastando il diffuso analfabetismo affettivo. Particolare cura richiede la formazione al matrimonio cristiano e alla vita familiare. Il rinnovamento di tali itinerari è necessario per renderli cammini efficaci di fede e di esperienza spirituale. Questo percorso dovrà continuare anche mediante gruppi di sposi e di spiritualità familiare, animati da coppie preparate e testimoni di unità e fedeltà nell’amore.
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Mercoledì 1 giugno 2011
Lo Spirito vi guiderà a tutta la verità
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».”
Gv 16,12-15
La capacità di vivere il lavoro e la festa
La capacità di vivere il lavoro e la festa come compimento della vocazione personale appartiene agli obiettivi dell’educazione cristiana. È importante impegnarsi perché ogni persona possa vivere «un lavoro che lasci uno spazio sufficiente per ritrovare le proprie radici a livello personale, familiare e spirituale», prendendosi cura degli altri nella fatica del lavoro e nella gioia della festa, rendendo possibile la condivisione solidale con chi soffre, è solo o nel bisogno. Oltre a promuovere una visione autentica e umanizzante di questi ambiti fondamentali dell’esistenza, la comunità cristiana è chiamata a valorizzare le potenzialità educative dell’associazionismo legato alle professioni, al tempo libero, allo sport e al turismo.
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Giovedì 2 giugno 2011
La vostra tristezza si cambierà in gioia
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete». Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?». Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire». Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia».”
Gv 16,16-20
L’esperienza della fragilità umana
L’esperienza della fragilità umana si manifesta in tanti modi e in tutte le età, ed è essa stessa, in certo modo, una “scuola” da cui imparare, in quanto mette a nudo i limiti di ciascuno. Per queste ragioni il tema della fragilità entra a pieno titolo nella dinamica del rapporto educativo, nella formazione e nella ricerca del senso, nelle relazioni di aiuto e di accompagnamento. Pur nella particolarità di tali situazioni, che non si lasciano rinchiudere in schemi e programmi, non possono mancare nelle proposte formative la contemplazione della croce di Gesù, il confronto con le domande suscitate dalla sofferenza e dal dolore, l’esperienza dell’accompagnamento delle persone nei passaggi più difficili, la testimonianza della prossimità, così da costruire un vero e proprio cammino di educazione alla speranza.
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Venerdì 3 giugno 2011
Il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla».”
Gv 16,20-23a
La Chiesa esiste per comunicare
La Chiesa esiste per comunicare: è essa stessa tradizione vivente, trasmissione incessante del Vangelo ricevuto, nei modi culturalmente più fecondi e rilevanti, affinché ogni uomo possa incontrare il Risorto, che è via, verità e vita. Nel suo nucleo essenziale, la tradizione è trasmissione di una cultura – fatta di atteggiamenti, comportamenti, costumi di vita, idee, conoscenze, espressioni artistiche, religiose e politiche – e di un patrimonio spirituale all’interno del quale crescono e si formano le persone nel volgere delle generazioni. Nell’ampio ventaglio di forme in cui la Chiesa attua questa responsabilità, un aspetto particolarmente importante è l’educazione alla comunicazione, mediante la conoscenza, la fruizione critica e la gestione dei media.
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Sabato 4 giugno 2011
Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena. Queste cose ve le ho dette in modo velato, ma viene l’ora in cui non vi parlerò più in modo velato e apertamente vi parlerò del Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome e non vi dico che pregherò il Padre per voi: il Padre stesso infatti vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che io sono uscito da Dio. Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre».”
Gv 16,23-28
Educare alla cittadinanza responsabile
Avvertiamo infine la necessità di educare alla cittadinanza responsabile. L’attuale dinamica sociale appare segnata da una forte tendenza individualistica che svaluta la dimensione sociale, fino a ridurla a una costrizione necessaria e a un prezzo da pagare per ottenere un risultato vantaggioso per il proprio interesse. Nella visione cristiana l’uomo non si realizza da solo, ma grazie alla collaborazione con gli altri e ricercando il bene comune. Per questo appare necessaria una seria educazione alla socialità e alla cittadinanza, mediante un’ampia diffusione dei principi della dottrina sociale della Chiesa, anche rilanciando le scuole di formazione all’impegno sociale e politico. Una cura particolare andrà riservata al servizio civile e alle esperienze di volontariato in Italia e all’estero. Si dovrà sostenere la crescita di una nuova generazione di laici cristiani, capaci di impegnarsi a livello politico con competenza e rigore morale.
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