Santena, Premio Cavour 2011, l’intervento di Gian Carlo Caselli

Santena –  20 settembre 2011 – Tra le autorità intervenute in città per la consegna del Premio Camillo Cavour, edizione 2011,  conferito dall’Associazione Amici di Cavour alla memoria di Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, assassinato dalla camorra, c’era Gian Carlo Caselli, uno dei più noti magistrati italiani, Procuratore Capo della Repubblica presso il Tribunale di Torino. Di seguito, il testo del suo intervento.

«Buonasera a tutti e grazie innanzitutto alla Fondazione Cavour per l’onore, senza retorica, che mi è stato fatto, nel prevedere anche la mia partecipazione a questa giornata che vi vede presenti così massicciamente, così numerosi»: Giancarlo Caselli ha cominciato così il suo intervento.

«Prima di tutto, una parola per il dolore – ha aggiunto Caselli –. Il dolore che pesa sulle famiglie che ancora oggi pagano il prezzo di lutti insensato. I familiari delle vittime; oggi i familiari di Angelo Vassallo. Uomini e donne che vivono un continuo dolore dell’anima. Un dolore che non lascia respiro. Uomini e donne però che molto spesso hanno saputo trasformare il dolore da fatto privato in testimonianza pubblica, dignitosa, forte. Che hanno avuto la forza di elaborare l’enormità di quanto accaduto, lottando coraggiosamente, riuscendo  a costituire, per tutti, un monito a non dimenticare. Un punto di riferimento forte, nell’impegno. Anche vincendo l’oblio, l’imbarazzo, l’indifferenza di un Paese che, per molti versi, da l’impressione, spesso, di voler rimuovere ciò che è stato».

Gian Carlo Caselli ha proseguito: «Ricordati i familiari, guardiamo a coloro che sono morti per mano di violenza, originata da bande, gruppi, organizzazioni criminali le più diverse, le mafie in modo particolare. Guardiamo a coloro che hanno dato la vita per il nostro Paese, in segno d’amore, come testimonianza della loro fede, laica o religiosa. L’elenco di questi morti, da Bruno Caccia fino a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, don Pino Puglisi, fino a Vassallo, è lunghissimo. Falcone, Borsellino, don Puglisi, Vassallo. E se hanno dovuto morire è stato certamente perché lo Stato, ma anche noi, non siamo stati fino in fondo quello che avremmo dovuto essere: Stato, cristiani, cittadini. E se essi sono morti è perché tutti noi non siamo stati vivi, nel senso che non abbiamo vigilato. Non ci siamo scandalizzati dell’ingiustizia. O se lo abbiamo fatto, non lo abbiamo fatto abbastanza. Non lo abbiamo fatto abbastanza nella professione, nella vita civile, in quella politica, in quella religiosa».

«I morti e noi. Caccia, Falcone, Borsellino, don Puglisi, Vassallo e noi – ha continuato la sua riflessione Gian Carlo Caselli –. Questi uomini sono un segno di riscatto civile, morale, religioso. Ma sono anche, come dire, una condanna. Una condanna a provare a imitarli. Essi non hanno visto nel loro tempo quello in cui speravano. Hanno visto il loro prossimo e la realtà circostante. Hanno visto la sopraffazione, la ricchezza facile e ingiusta, l’illegalità, la compravendita della democrazia, lo scialo di morte e violenza, il mercato delle istituzioni, di bambini e i giovani per strada. Vassallo, il sindaco pescatore, ha visto il territorio – il suo territorio, quello dei suoi concittadini – devastato, violentato e lo ha difeso, essendo il territorio bene comune per eccellenza, come l’aria che respiriamo e l’acqua che beviamo. Ha visto i tentativi di oltraggio, gravi, pericolosi a questo bene comune, appunto per eccellenza. A questo fondamentale diritto di tutti i cittadini: un ambiente sano, un territorio rispettato e rispettoso dei diritti. Questo hanno visto coloro che sono morti. Questo ha visto anche Vassallo. Vassallo e le altre vittime di violenza criminale, mafiosa e non, hanno avuto fame e sete di giustizia, per questo, per questo sono morti. E noi quante volte invece, invece di vedere il nostro prossimo, invece di avere fame e sete di giustizia, ci siamo accontentati. Ci siamo accontentati di una specie di ipocrisia civile. Quante volte abbiamo subito, praticato, invece di spezzarlo, il gioco delle mediazioni, il giogo degli accomodamenti».

Gian Carlo Caselli ha chiuso così: «Vassallo e le altre vittime di violenza criminale, mafiosa e non, hanno pagato anche per la scelta di essere coerenti. Di essere se stessi di fronte ai propri doveri, di mantenere le posizioni che loro competevano. Con normalità, ci ha ricordato l’attuale sindaco di Pollica che ha parlato poco fa.  Le posizioni che loro competevano, anche se altri che avrebbero dovuto essere al loro fianco, accanto a loro, se ne stavano qualche passo indietro. Prudentemente. O vilmente. O per bieco calcolo di convenienza. Hanno pagato la scelta di non scendere a patti o compromessi, o forme di comoda convivenza con l’illegalità e il potere criminale. Ricordare Vassallo – e tutti coloro che sono morti sotto i colpi della violenza criminale – significa anche operare perché le loro morti non siano state inutili e non si ripetano. E’ possibile. Stando insieme uniti, possiamo farcela. E questo tributo oggi, alla memoria di Vassallo è un momento importante. Grazie».

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