Santena – 30 ottobre 2011 – Di seguito, alcune proposte di riflessione per i giorni dal 30 ottobre al 5 novembre 2011, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.
Domenica 30 ottobre 2011
Siete stati d’inciampo a molti con il vostro insegnamento
Io sono un re grande – dice il Signore degli eserciti – e il mio nome è terribile fra le nazioni. Ora a voi questo monito, o sacerdoti. Se non mi ascolterete e non vi darete premura di dare gloria al mio nome, dice il Signore degli eserciti, manderò su voi la maledizione. Voi invece avete deviato dalla retta via e siete stati d’inciampo a molti con il vostro insegnamento; avete distrutto l’alleanza di Levi, dice il Signore degli eserciti. Perciò anche io vi ho reso spregevoli e abietti davanti a tutto il popolo, perché non avete seguito le mie vie e avete usato parzialità nel vostro insegnamento. Non abbiamo forse tutti noi un solo padre? Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l’uno contro l’altro, profanando l’alleanza dei nostri padri?
Ml 1,14- 2,2.8-10
Avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio
Fratelli, siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli. Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari.
Voi ricordate infatti, fratelli, il nostro duro lavoro e la nostra fatica: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi, vi abbiamo annunciato il vangelo di Dio. Proprio per questo anche noi rendiamo continuamente grazie a Dio perché, ricevendo la parola di Dio che noi vi abbiamo fatto udire, l’avete accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti.
1Ts 2,7-9.13
Dicono e non fanno
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati rabbì dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare rabbì, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate padre nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare guide, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
Mt 23,1-12
Trasmettere la Parola di Dio e non la propria
Il Vangelo che abbiamo ascoltato riporta un brano dell’ultimo discorso pubblico di Gesù prima della sua passione. È una durissima requisitoria contro i rappresentanti ufficiali del giudaismo, “gli scribi e i farisei”, ritenuti da Gesù responsabili di corrompere il popolo e di allontanarlo dal retto cammino. Erano i falsi pastori denunciati dai profeti. Malachia, rivolto ai capi religiosi del suo tempo, diceva: “Voi invece avete deviato dalla retta via e siete stati d’inciampo a molti con il vostro insegnamento” (2,8). Gesù voleva smascherarli nella loro pretesa di essere “pastori”; al contrario, ingannavano il popolo. Per questo andavano destituiti. Gesù, accusando i farisei di essere falsi pastori, indicava se stesso come il vero pastore. Lo scontro era inevitabile e il brano del Vangelo di oggi ne riporta il momento conclusivo.
“E questo discorso lo tenevi proprio nella città santa il mercoledì santo: no, tu non potevi non essere ucciso! Sarà sempre così difficile annunciare il Vangelo, Signore? Signore, aiuta i profeti!”. Così commentava padre Davide Turoldo il brano del Vangelo che abbiamo ascoltato. Gesù stava nel tempio, ove erano organizzate quattro sinagoghe per l’ascolto della legge; gli esperti leggevano i testi e poi li spiegavano. Nella sinagoga vi era un apposito seggio per chi spiegava le Scritture, chiamato “cattedra di Mosè”, per suggerire che Mosè era presente in colui che spiegava la legge. La prima affermazione di Gesù verte appunto su questa cattedra, occupata dagli esperti di tendenza farisaica. Quando costoro spiegano la Scrittura, asserisce Gesù, la loro dottrina è giusta e va custodita, ma altra cosa è il loro comportamento. In questo non vanno seguiti. Gesù stigmatizza la distanza tra i princìpi asseriti e la vita che si conduce, iniziando con la critica all’allargarsi dei “filatteri” (piccole teche di cuoio a forma cubica che contengono dei rotolini di pergamena con passi biblici, e che si legano al braccio sinistro e sulla fronte). La loro origine è suggestiva: la Parola di Dio deve essere ricordata (quella posta sulla fronte) e messa in pratica (quella posta sul braccio). Ma tutto ciò era divenuto pura esteriorità. Gesù evoca poi il gesto di “allungare le frange” delle vesti. “Quando le guarderete, vi ricorderete di tutti i comandi del Signore e li eseguirete; non andrete vagando dietro il vostro cuore e i vostri occhi, seguendo i quali vi prostituireste”, è scritto nel libro dei Numeri (15,39). Anche Gesù portava vesti munite di lunghe frange e forse stava recandosi così in sinagoga quando l’emorroissa si propose di “toccare le sue vesti” per essere guarita (Mc 5,27-28). Non basta “allungare le frange” se non si mettono in pratica i comandamenti. Da ultimo Gesù polemizza con i “titoli” che gli scribi e i sacerdoti esigevano dal popolo. Tra questi ne sottolinea il più noto: “rabbì”, ossia “mio maestro” (divenuto poi il nostro termine “rabbino”). Gesù non respinge la missione di insegnare, al contrario la esige, ma deve consistere nel trasmettere la Parola di Dio e non quella propria. Tutti i credenti sono sottoposti al Vangelo: solo questa è la Parola che sempre e dovunque dobbiamo annunciare e vivere. Essa è l’unica nostra ricchezza. Come abbiamo una sola Parola, così abbiamo un solo Padre, quello del cielo. Solo a Lui dobbiamo obbedienza. La tentazione di avere tante parole da dire e la tentazione di sottomettersi a tanti padroncini sono forti nella vita di ognuno di noi. Il Vangelo ci ricorda che uno solo è il “maestro” ed uno solo è il “padre”. A lui dobbiamo la vita e la salvezza.
Comunità di Sant’Egidio
Essere fidabili e credibili
All’invettiva profetica contro i sacerdoti infedeli nella prima lettura risponde l’invettiva profetica di Gesù rivolta a scribi e farisei nel vangelo. Entrambi i testi denunciano non solo l’ipocrisia e la doppiezza, ma anche il potere che può essere esercitato da chi detiene un’autorità. Ai sacerdoti il profeta rimprovera la scissione del loro insegnamento dall’ascolto della Parola di Dio, l’unica che può dare fondamento, contenuto e autorevolezza alla loro parola. Senza la Parola di Dio, il sacerdote non ha nulla da dire, essendo il suo ministero un servizio della Parola di Dio. L’accusa contro “l’agire perfido” (Ml 2,10) colpisce il tradimento della fiducia. Chi riveste una responsabilità religiosa non può non essere cosciente della valenza simbolica della sua persona: egli deve pertanto essere fidabile e credibile. Se tradisce la fiducia che altri ripongono in lui, diviene responsabile anche dell’eventuale allontanamento da ciò egli rappresenta nel suo ministero. Intendere la pagina di Matteo come antigiudaica e le parole di Gesù come rivolte esclusivamente a scribi e farisei, significa non comprendere l’intenzione del testo (che dal v. 8 ha di mira i discepoli e dunque i cristiani) e cadere nell’ipocrisia denunciata da Gesù stesso. Commentando i versetti 5-7 Gerolamo ha scritto: “Guai a noi, miserabili, che abbiamo ereditato i vizi dei farisei”. Le parole di Gesù colpiscono il clericalismo cristiano e riguardano vizi religiosi, non giudaici. Le situazioni denunciate da Gesù in Mt 23 sono nostre, tutte, “nessuna esclusa: da quelle ridicole, ma non per questo meno pericolose – i paludamenti, i titoli, i posti d’onore – a quelle ancor più gravi: l’intellettualismo, il verbalismo, il proselitismo, la casistica, il ritualismo, la persecuzione dei profeti vivi e la strumentalizzazione dei profeti morti” (Vittorio Fusco). Le parole dure di Gesù, che non sono maledizioni ma invettive e lamenti al tempo stesso, parole piene di collera e di sofferenza – le due facce dell’amore tradito –, svolgono una sorta di terapia d’urto nei confronti di una distorsione del magistero e dell’autorità religiosa che occorre definire patologica.. Gesù denuncia l’irresponsabilità della parola. Irresponsabilità che consiste nel dire senza fare, quasi che il parlare di Vangelo dispensi dal viverlo o equivalga al metterlo in pratica. Irresponsabilità che è imposizione agli altri di pesi schiaccianti (l’immagine sottostante è quella dei mercanti che caricavano pesi immensi sulle loro bestie da soma perché li portassero per loro), dunque come comando che vale per l’altro e non per sé e dunque è ignorante del peso che l’altro deve portare e della sua fatica. Dovremmo anche interrogarci sull’esibizionismo religioso (cf. Mt 23,5-6), sullo scialo di titoli onorifici (cf. Mt 23,7-10) rivolti a personalità ecclesiastiche (l’episcopale “Eccellenza” è di derivazione fascista ed è stato applicato ai vescovi per attribuire loro una dignità non minore di quella riservata da Mussolini ai suoi prefetti), sulla fastosità e ricercatezza barocca di vesti liturgiche (cf. Mt 23,5). Se il Crisostomo criticava chi onorava Cristo all’altare con “vesti di seta” mentre fuori di chiesa vi era chi moriva di freddo per la nudità, Bernardo di Clairvaux scriveva a papa Eugenio III dicendogli che “Pietro non si presentò mai in pubblico bardato di gemme o in cappe di seta o coperto d’oro” e che “sotto questo aspetto, tu non sei il successore di Pietro ma di Costantino” (De consideratione IV,3,6). Titoli, vesti, onori: trattandosi di cose esteriori, vale la pena di perder tempo a criticare queste cose? Mi limito a citare le parole di p. Yves Congar: “Si può beneficiare ordinariamente di privilegi senza arrivare a pensare che sono dovuti? O vivere in un certo lusso esteriore senza contrarre certe abitudini? E essere onorati, adulati, trattati in forme solenni e prestigiose, senza mettersi moralmente su un piedistallo? È possibile comandare e giudicare, ricevere uomini in atteggiamento di richiesta, pronti a complimentarci, senza prendere l’abitudine di non più veramente ascoltare? Si può trovare davanti a sé dei turiferari senza prendere un po’ il gusto dell’incenso?”.
Luciano Manicardi
Comunità di Bose
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Lunedì 31 ottobre 2011
Non invitare i tuoi amici, ma poveri, storpi, zoppi e ciechi
In quel tempo, Gesù disse al capo dei farisei che l’aveva invitato:
«Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
Lc 14,12-14
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Martedì 1 novembre 2011
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
Mt 5,1-12
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Mercoledì 2 novembre 2011
Io lo so che il mio redentore è vivo
Rispondendo Giobbe prese a dire: «Oh, se le mie parole si scrivessero, se si fissassero in un libro, fossero impresse con stilo di ferro e con piombo, per sempre s’incidessero sulla roccia! Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro».
Gb 19,1.23-27a
L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori
Fratelli, la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione.
Rm 5,5-11
Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; e lo risusciterò nell’ultimo giorno
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
Gv 6,37-40
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Giovedì 3 novembre 2011
Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Lc 15,1-10
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Venerdì 4 novembre 2011
I figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare. L’amministratore disse tra sé: Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: Tu quanto devi al mio padrone?. Quello rispose: Cento barili d’olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta. Poi disse a un altro: Tu quanto devi?. Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce».
Lc 16,1-8
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Sabato 5 novembre 2011
Se non siete fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera?
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza». I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui. Egli disse loro: «Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole».
Lc 16,9-15
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