Santena – 13 novembre 2011 – Di seguito, alcune proposte di riflessione per i giorni dal 13 al 19 novembre 2011, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.
Domenica 13 novembre 2011
In lei confida il cuore del marito
Una donna forte chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore. In lei confida il cuore del marito e non verrà a mancargli il profitto. Gli dà felicità e non dispiacere per tutti i giorni della sua vita. Si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani. Stende la sua mano alla conocchia e le sue dita tengono il fuso. Apre le sue palme al misero, stende la mano al povero. Illusorio è il fascino e fugace la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare. Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani e le sue opere la lodino alle porte della città.
Pr 31,10-13.19-20.30-31
Fratelli, vigiliamo e siamo sobri
Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.
1Ts 5,1-6
Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti».
Mt 25,14-30
Il regno dei cieli inizia quando ognuno di noi non si chiude nell’avarizia
La parabola dei talenti inizia parlando di un uomo che, prima della partenza, convoca i tre dipendenti e consegna loro i suoi beni. La sua fiducia in loro è assoluta, tanto che ad ognuno affida una grossa somma. Il talento corrispondeva a più di 20 chili d’argento, quindi era una somma davvero rilevante. Tale consistenza fa comprendere l’importanza dell’incarico dato dal padrone ai tre dipendenti. Ebbene, al primo affida in gestione cinque talenti, un vero patrimonio. Al secondo ne affida due e al terzo uno. La consegna, come si vede, è personale e rispetta le diverse capacità di ciascuno. Non siamo quindi di fronte ad una piatta omologazione: il padrone conosce le diverse abilità dei suoi servi e le rispetta. Tra la partenza e il ritorno del padrone, i tre dipendenti debbono far fruttare quanto è stato consegnato loro. È chiaro che essi non ne sono i padroni, ma amministratori sì. Infatti al suo ritorno il padrone chiederà loro come hanno amministrato quello che hanno ricevuto. Il primo dipendente raddoppia il capitale impiegando i suoi talenti. Non è un caso che l’evangelista scriva che “subito” il primo servo si mette all’opera, come ad indicare il forte impegno e quindi la responsabilità che sente per gli interessi del padrone. Analogamente avviene con il secondo. Il terzo, invece, va a scavare una buca nel terreno e vi nasconde il talento ricevuto. C’è da notare che il sotterramento del talento non è poi così strano; corrisponde a un dettato della giurisprudenza rabbinica secondo la quale chi, dopo la consegna, sotterra un pegno o un deposito è liberato da ogni responsabilità. Al ritorno del padrone, il primo servo si presenta e riceve la lode e la ricompensa. Il secondo si avvicina e anche lui presenta il doppio di quanto aveva ricevuto, ottenendo anche lui una ricompensa. Il terzo si accosta e riconsegna al padrone quell’unico talento che aveva ricevuto. E premette anche il motivo del suo gesto: aveva paura di un padrone cattivo e voleva quindi assicurarsi secondo la più stretta consuetudine giuridica. Quel talento, quei talenti, sono la vita, non quella astratta ma quella concreta, di tutti i giorni, fatta del rapporto tra noi e il mondo. Tutto ciò è consegnato alla responsabilità di ognuno perché lo faccia fruttare. E a ciascuno è dato secondo le sue capacità. Questo vuol dire che non c’è uguale misura di vita per tutti, ma anche che nessuno è incapace di far fruttare la vita che ha; nessuno può avanzare scuse (la mentalità, il carattere, la stessa malattia e l’indebolimento…) per sottrarsi alla responsabilità di impiegare la propria vita facendola fruttare. Semmai è frequente che la si faccia fruttare solo per se stessi, che la si impieghi solo per il proprio tornaconto, per la propria particolare sicurezza, per la propria tranquillità e basta. È quanto ha ricercato il terzo servo: ha sotterrato il talento per avere “pace e sicurezza”, come scrive l’apostolo nella lettera ai Tessalonicesi. Il terzo servo aveva dalla sua parte la legge che lo liberava da ogni responsabilità e soprattutto dai rischi dell’impegno. La parabola avverte che questo servo, in realtà, ha preferito nascondere la sua vita in una buca, in una avara ed egoistica tranquillità. E forse è proprio qui la paura: paura non tanto nei riguardi del padrone quanto di perdere la propria tranquillità avara. Gesù, con questa parabola, da una parte svela l’ambiguità di colui che si accontenta di come è, senza avere alcun desiderio di cambiare, alcuna aspirazione a trasformare la vita e, perché no, alcuna ambizione perché la vita di tutti sia più felice. Dall’altra mostra che il regno dei cieli inizia quando ognuno di noi, piccolo o grande che sia, forte o debole che sia, non si chiude nell’avarizia e nella grettezza del ripiegamento su se stessi, ma si apre alla vita, all’impegno per cambiare il proprio cuore, al desiderio operoso che la vita dei più deboli sia sollevata, che questo nostro mondo sia più vicino al Vangelo. Sarà così che la nostra vita sarà moltiplicata, la nostra debolezza sarà resa forza, la nostra povertà sarà mutata in ricchezza, la nostra gioia sarà piena: “Bene, servo buono e fedele… sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Comunità di Sant’Egidio
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Lunedì 14 novembre 2011
Che cosa vuoi che io faccia per te? Signore, che io veda di nuovo!
Mentre Gesù si avvicinava a Gèrico, un cieco era seduto lungo la strada a mendicare. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli annunciarono: «Passa Gesù, il Nazareno!». Allora gridò dicendo: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». Quelli che camminavano avanti lo rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù allora si fermò e ordinò che lo conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato». Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo glorificando Dio. E tutto il popolo, vedendo, diede lode a Dio.
Lc 18,35-43
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Martedì 15 novembre 2011
Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto
In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
Lc 19,1-10
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Mercoledì 16 novembre 2011
Perché non hai consegnato il mio denaro a una banca?
In quel tempo, Gesù disse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro. Disse dunque: «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d’oro, dicendo: Fatele fruttare fino al mio ritorno. Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi. Dopo aver ricevuto il titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate dieci. Gli disse: Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città. Poi si presentò il secondo e disse: Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate cinque. Anche a questo disse: Tu pure sarai a capo di cinque città.
Venne poi anche un altro e disse: Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato. Gli rispose: Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi. Disse poi ai presenti: Toglietegli la moneta d’oro e datela a colui che ne ha dieci. Gli risposero: Signore, ne ha già dieci!. Io vi dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me». Dette queste cose, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme.
Lc 19,11-28
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Giovedì 17 novembre 2011
Se avessi compreso quello che porta alla pace!
In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa dicendo: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi.
Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».
Lc 19,41-44
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Venerdì 18 novembre 2011
Gli scribi cercavano di farlo morire
In quel tempo, Gesù, entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo loro: «Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri». Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popolo; ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo.
Lc 19,45-48
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Sabato 19 novembre 2011
Dio non è dei morti, ma dei viventi
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.
Lc 20,27-40
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