Santena – 23 settembre 2012 – Dopo avere ricevuto il Premio Cavour 2012, giovedì scorso 20 settembre, nel complesso cavouriano, Carlin Petrini ha tenuto un discorso. Di seguito, quanto ha detto il fondatore di Slow Food.
Carlin Petrini ha iniziato così: «Voglio dire subito che sono molto onorato per questo premio e devo anche dire che le motivazioni lette dal presidente mi confortano un po’ di più perché nell’immaginario, e anche nella sostanza, essere collegati a un padre della patria come Camillo Benso conte di Cavour è una impresa ardua e insostenibile da questo punto di vista. Devo anche dire che mentre ieri mi trovavo a Bruxelles mi telefona il procuratore Giancarlo Caselli per dirmi che l’ambasciatore americano a una manifestazione culturale ha detto che Torino e il Piemonte sono importanti per il Risorgimento, la Fiat e Slow Food. Allora – c’è un incipit piemontese che io vorrei mettere subito in chiaro ed è “Esageruma nen”. Ecco, pigliamola più bassa».
«Teniamo da parte questo paragone insostenibile – ha detto Carlin Petrini – e veniamo invece alla cosa più interessante, che viene fuori da questa cerimonia e che viene fuori dall’opera di Camillo Benso conte di Cavour. Una opera che in campo agricolo è straordinaria, con una lungimiranza e con una capacità di essere imprenditore che pochi hanno. Io vorrei dire anche una cosa. Molto probabilmente – anzi io ne sono convinto – la sua capacità politica era determinata anche da avere un rapporto con la terra così profondo, culturalmente così incisivo. Sarebbe quasi un consiglio da dare a tutti i politici italiani: tornate alla terra. Tornate a capire quanto è complessa questa nostra realtà. Oggi l’indifferenza della politica nei confronti dell’agricoltura è veramente penosa. E questo non solo in Italia, in Europa e forse anche in buona parte del mondo, specialmente nel modo cosiddetto progredito. Così progredito che siamo davanti a una situazione agricola disperata. In Italia si chiudono migliaia di aziende senza che nessuno batta ciglio. C’è un disastro agricolo impressionante, con l’umiliazione dei coltivatori che è una cosa che non è degna di questo Paese. E quando dico l’umiliazione ricordo che lavorano per portare a casa a 9 centesimi il kg per le carote; un litro di latte oggi in Piemonte viene pagato 32 centesimi. Nel 1982, nelle mie Langhe, un quintale di grano veniva pagato 25mila lire: quest’anno l’hanno pagato 12 euro. Non c’è nessun comparto economico in Italia che oggi prenda di meno di quello che si prendeva 32 anni fa. Siamo in ginocchio e lo siamo per una responsabilità collettiva, non solo della politica, ma anche di noi che abbiamo perso il senso del valore delle cose».
Carlin Petrini ha aggiunto: «Allora, mi viene comodo fare un paragone di come era la situazione quando Cavour operava, con quella lungimiranza, in una situazione drammatica. In buon parte del Piemonte si moriva di pellagra; in molte altre parti si stentava a vivere. I contadini erano l’87 per cento della popolazione, ragion per cui un politico non poteva fare a meno di lavorare ed operare per il cambiamento dell’agricoltura. E Cavour l’ha sempre fatto. Abbiamo anche una testimonianza forte, proprio a Pollenzo, dove oggi ha sede l’università di Scienze gastronomiche: nel cortile di Pollenzo, nel 1843, si tenne il primo congresso della Società agraria, presieduta proprio da Camillo Benso conte di Cavour. E debbo dire che quando ho sentito il presidente dell’associazione Amici della Fondazione dire che è importante approfondire le tematiche di cui si è occupato Cavour, ma anche le tematiche inerenti in particolar modo il mondo agricolo, noi qui, dal punto di vista storiografico, dobbiamo fare un lavoro enorme nei confronti di Cavour e nei confronti di tutta l’agricoltura e la grande rivoluzione che, in quegli anni, si è operata in campo agricolo e produttivo. Basti ricordare che se interroghiamo cento piemontesi e chiediamo di dove era il signor Cirio, quello delle conserve, ottanta di essi dicono che era di Napoli, mentre invece Cirio è nato qui a Nizza Monferrato e la prima industria, una piccola industria, l’ha aperta a Torino.
Il fondatore di Slow Food ha proseguito: «Che cose era quel momento per il paese? Che cosa è significato l’impegno politico in campo agricolo non solo di Cavour, ma di tanti e tanti politici di allora. Era il riscatto. Era ridare possibilità alle classi agricole di avere dignità e educazione. Nascono in quel periodo i comizi agrari. Nascono le cattedre ambulanti. Nasce l’esigenza di portare nelle campagne la cultura: un lavoro straordinario che è stato fatto in quegli anni. E di cui noi tutti, oggi, siamo beneficiari. E poi, in particolare noi langaroli che abbiamo costruito un mito attorno a Cavour e alla marchesa Giulia Colbert che, come tutti i miti, a un certo punto diventa un grande condensato di aria fritta. E allora, ne distruggo un pezzettino, così lo ricostruiamo su base nuove. Nella Langhe si dice che la marchesa Giulia Colbert di Barolo è quella che ha inventato il barolo: non è vero. Si dice anche che Cavour fece arrivare da Reims l’enologo francese Louis Oudart che gli avrebbe detto di piantare Pinot nero mentre Cavour gli risposte “Nui piantuma il Nebiol”. Anche questo non è vero. Oudart viene dalla Marne e non da Reims: mette degli stabilimenti a Genova e incomincia a fare il vino e fa lo Champagne, in Liguria dove, in breve tempo, diviene la punta di diamante dell’enologia Piemontese. Un francese, sveglio, con il suo sogno e incomincia a comperare le uve. Compra le uve in varie parti delle Langhe e quando arriva da Cavour non era per niente il suo enologo: voleva comprare le uve anche da Cavour, ma come tutti i compratori di uve voleva dargli poco. Cavour è l’unico che non gliele vende le uve. Questo per dire come il mito poi fa diventare Oudart l’enologo di Cavour. Oggi c’è bisogno di storia vera e la storia vera si può ricostruire anche con il lavoro di storici operatori e io coltivo il sogno che a ricostruire questa parte di storia possa anche contribuire la nostra piccola università di Pollenzo. Perché ne abbiamo bisogno. Non possiamo parlare al futuro senza avere la memoria dalla nostra parte, ma non il mito fasullo, che dura niente e oltre tutto ti espone al ridicolo. La storiografia vera, del lavoro fatto da queste persone in quegli anni è molto più ricca e molto più feconda e merita più attenzione. Che poi, dopo, si costruisca il mito, questo rientra nelle cose. Ma la questione importante è che noi dobbiamo ricostruire quel periodo storico dal punto di vista della storia agricola e dal punto di vista del ruolo che hanno avuto i padri della Patria, come Cavour».
«Ecco, la situazione di oggi quindi è totalmente non paragonabile alla prima metà dell’Ottocento – ha detto Carlin Petrini –: l’inchiesta agraria Jacini, del 1875, fornisce uno spaccato delle nostre campagne davvero drammatico. La situazione è evoluta è cambiata e, negli ultimi 50 anni, si è addirittura capovolta. Pensate, ancora nel 1950, questo Paese aveva più del 50 per cento di popolazione contadina. Oggi sono poco più del 3 per cento. Certo con quello che si da provate a chiedere a un giovane se vuol fare il contadino: ma non vede l’ora di andare via, ammesso che sia in campagna. Provate a chiedere a un giovane se lui ha voglia di cimentarsi: la situazione, anche dal punto di vista sociale, è svilente, non c’è l’orgoglio. Bisogna cambiare. Noi non mangeremo computer. Non mangeremo informazione. E non mangeremo neanche le promozioni dei prodotti tipici se qualcuno non li coltiva. Tutti sono a parlare dei prodotti tipici, delle nuove frontiere dell’enogastronomia. Se apri la televisione, a qualsiasi ora del giorno e della notte c’è sempre qualcuno che, con la padella in mano, delira e parla e parla … E l’agricoltura è in ginocchio. E noi siamo un Paese in cui nell’ultimo anno siamo riusciti a cambiare quattro ministri dell’Agricoltura. Un primato assoluto. Non esiste Paese al mondo che in un anno cambia quattro ministri dell’Agricoltura. E questo semplicemente perché non c’è l’orgoglio di essere ministro dell’Agricoltura. Il penultimo che abbiamo avuto appena gli hanno dato la cadrega di ministro ai Beni culturali se ne è andato velocemente, perché nella sua testa i beni culturali sono più importanti dell’agricoltura. E quando si sceglie, anche nelle spartizioni regionali, provinciali e anche comunali – forse qui a Santena no – l’ultima ruota del carro è l’assessore all’Agricoltura. Prima prendono il Bilancio, poi l’istruzione, poi la cultura e alla fine al più sfigato di tutti gli danno l’Agricoltura. E questo vuol ben dire qualcosa. Vuol dire che non c’è rispetto per queste cose. Eppure lo sappiamo che, oggi come oggi, nel bilancio dei pagamenti di questo Paese l’agroalimentare ha superato ogni altro settore. Se andate in giro per il mondo e chiedete perché l’Italia è conosciuta come risposta otterrete: i suoi bene culturali e la sua gastronomia. Poi stop: ci fermiano lì. E noi non abbiamo il coraggio né di investire nella cultura né nei beni culturale né nell’agricoltura. I due perni di questo Paese sono lasciati a se stessi e corriamo dietro allo spread. Abbiamo un ministro che è demandato a costruire la crescita, ma dove è la crescita. La crescita ce l’abbiamo sotto di noi. Ce l’abbiamo nel terreno che abbiamo sotti i piedi. Nelle potenzialità che abbiamo di questo straordinario Paese, eppure coscientemente lo maltrattiamo. Negli ultimi 18 anni abbiamo cementificato un’area equivalente al Lazio e all’Abruzzo, messi assieme. Cemento. Cemento. Distruggiamo sistematicamente i suoli fertili. E’ un qualcosa di irresponsabile che non ha logica. E si continua. E si continua. Io spero che questa nuova legge, voluta dal ministro Catania, per fermare il consumo di suolo agricolo possa andare in porto, per fermare la distruzione del suolo agricolo».
Carlin Petrini ha detto. «Guardate che il mondo sta in piedi per la sovranità alimentare. Un Paese è importante se ha la sovranità alimentare. Se è dipendente dagli altri non è importante. E noi non avremo sovranità alimentare se continuiamo a distruggere il terreno agricolo che è una delle componenti fondamentali. Allora, delle due l’una. O si cambia paradigma o, altrimenti, da questa crisi non si esce. Il paradigma è molto semplice. Questa non è una crisi normale. Chi pensa che sia una crisi normale sbaglia, ma questo non lo dice Petrini, ormai lo dicono in tanti. Non è una crisi normale. Questa è una crisi di sistema. È una crisi entropica – sbarueuve nen (non spaventatevi). Parliamo di alimentare. Che cosa è l’entropia? Io produco il cibo, il cibo è energia per la vita. Quindi, producendo melanzane, asparagi, peperoni che mi danno cento di energia io per produrre quel cento di energia ne consumo 300 o 400. Dopo un anno, due anni, dieci anni, arriva la crisi entropica perché il sistema, la Terra madre non ha risorse infinite. La finitezza delle risorse crea la crisi entropica. E la crisi entropica chiede nuovi paradigmi. Richiede cambiamenti, ma a cominciare da noi».
«In Italia, ogni giorno, si buttano via 4mila tonnellate di cibo mangiabile – ha riferito Petrini -. 4mila tonnellate al giorno. Una massa di cibo impressionante. Proviamo a vedere, se potessimo parlare con Cavour e dirgli una cosa del genere in quell’Italia lì, dove viveva lui. O potergli dire “Sai caro Camillo Cavour che in Italia si spende più per dimagrire che per mangiare”. Lui semplicemente, parlando in piemontese, direbbe “Sevi tuti mat” (Siete tutti matti). Questo è un Paese che spende più per dimagrire che per mangiare. E tutti parlano di enogastronomia, ma nessun è disposto a mettere le mani nel portafoglio, a distruggere di meno, a fermare lo spreco e pagare di più i contadini. O noi daremo dignità a chi lavora la terra e i giovani vorrebbero anche tornare alla terra se non ci fossero tanti inghippi burocratici, situazioni di mercato insostenibili: il fatto è che vengono poco pagati e devono fare i conti con un mucchio di burocrazia. Oggi ci vuole qualcuno che ridia valore al cibo. Noi abbiamo perso il valore del cibo, nella testa abbiamo solo più il prezzo. Ma il valore – lo dicono gli economisti – è diverso dal prezzo, molto diverso. Tutti voi ricordate i nostri vecchi che quando finivano di mangiare raccoglievano le briciole sul tavolo: davano valore alle briciole. Nel Meridione quando il pane cadeva per terra lo si prendeva e si baciava».
Carlin Petrini ha proseguito: «Guardate, facciamo un esperimento. Adesso che tornate a casa, date un bacio ai vostri bambini, perché questo lo dovete anche fare, ma poi apriamo i nostri frigoriferi: guardate che tombe di famiglia teniamo in casa. Ci sono prezzemoli di venti giorni che sono lì e sembrano dire fate qualcosa. Ci sono vasetti di conserve con un leggerissimo strato di muffa, piccolo, ma che aumenta, giorno dopo giorno. E poi molte di queste cose passano direttamente dal frigo alla spazzatura. Questa è la situazione: il paradigma chiede il cambiamento di tutti. Questa è la nuova rivoluzione. La nuova rivoluzione che il mondo deve fare è capire che solo con il prezzo, solo con il profitto, solo con l’avidità, non è possibile cambiare il mondo. Anzi, lasceremo questa terra ai nostri figli e ai nostri nipoti in uno stato ancora più disastrato di come l’abbiamo trovato. E questo non è giusto: l’ingiustizia generazionale la perpetuiamo continuando con i nostri comportamenti. Bisogna cambiare. E’ ora di cambiare. La rivoluzione parte da queste cose: una rivoluzione dolce, lenta, ma deve essere decisa, perché altrimenti non usciremo da questa situazione. E la schizofrenia di questo ultimo anno ce l’avete tutti davanti: in Borsa un giorno miglioriamo e il giorno dopo si scende. No, da questa situazione non se ne esce se non si cambia. E questo qualcuno lo può anche spiegare alla politica. Con Cavour c’è l’esempio di questo uomo, in una situazione totalmente diversa che, comunque, aveva coscienza che il legame era determinate e così come lo era in quel periodo là tornerà a essere determinate in futuro, che ci piaccia o no».
Carlin Petrini ha chiuso così: «Una cosa è certa, noi siamo viventi perché mangiamo. E l’economia primaria nessuno la può levare. C’è da dargli dignità. C’è da dargli di nuovo il valore che si merita. E’ ora di finirla con questa logica per cui viviamo in maniera schizofrenica. Parliamo di cibo, giorno e notte, e dopodiché abbiamo una situazione disastrata. L’invito relativo a utilizzare la cascina annessa al parco Cavour come centro per salvaguardare la biodiversità locale è fantastico. Ben venga se c’è qualche giovane che vuole cimentarsi per costruire anche qui il legame con il mondo contadino. Un altro tema su cui lavorare a Santena è il mercato contadino, la vendita diretta, perché oggi mentre il consumatore paga a caro prezzo il cibo al produttore vanno pochi centesimi mentre il grosso della torta viene mangiata da chi sta in mezzo. Occorre accorciare le filiere, far dialogare produttori e consumatori. Ecco allora la proposta del mercato della terra. Vendendo bene i prodotti avremo giovani che hanno voglia di ritornare in agricoltura. Questa è la grande sfida che avremo davanti negli anni a venire e non è solo una sfida italiana, ma di tutto il mondo. Per un po’ ci siamo svagati: adesso è ora di rimettere bene a fuoco la situazione. E forse quegli occhialini servono: rimettiamo un po’ a fuoco la natura delle cose».
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