Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 14 al 20 ottobre 2012

Santena – 14 ottobre 2012 – Di seguito, alcune proposte di riflessione per i giorni dal 14 al 20 ottobre 2012, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.

Domenica 14 ottobre 2012

Implorai e venne in me lo spirito di sapienza

Pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza. La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto, non la paragonai neppure a una gemma inestimabile, perché tutto l’oro al suo confronto è come un po’ di sabbia e come fango sarà valutato di fronte a lei l’argento. L’ho amata più della salute e della bellezza, ho preferito avere lei piuttosto che la luce, perché lo splendore che viene da lei non tramonta. Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.
Sap 7,7-11

La parola di Dio discerne i sentimenti e i pensieri del cuore

La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto.
Eb 4,12-13

Una cosa ti manca: vieni! Seguimi!

In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Mc 10,17-27

L’invito di Gesù non è troppo severo?

Il Vangelo della ventottesima domenica ci mostra Gesù che esce per riprendere il cammino verso Gerusalemme. È un invito rivolto anche a noi perché ci lasciamo coinvolgere da Gesù nell’itinerario di una crescita spirituale. L’uomo di cui parla il Vangelo di Marco “corre” verso Gesù. Ha fretta di incontrarlo. Cerca con urgenza una risposta per la propria vita. Ed in questo è davvero esemplare rispetto alla nostra pigrizia nel seguire il Signore. Marco fa capire che si tratta di un adulto (per Matteo è un giovane). Comunque, ad ogni età si può, anzi, si deve correre verso il Signore.
Quest’uomo, giunto davanti a Gesù, gli si getta ai piedi e gli pone una domanda davvero centrale nella vita: “Maestro buono, cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”. Lo chiama “buono” non per adulazione; lo pensa davvero. Ma Gesù lo corregge subito: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo”. Per noi, così pronti ad avere un’alta considerazione di noi stessi, l’affermazione di Gesù è una lezione che non dovremmo mai dimenticare. Solo Dio è buono, nessun altro. Ovviamente, neppure noi. E riconoscerlo non è tanto un problema di umiltà, quanto di verità. Comprendere la propria debolezza e il proprio peccato (come ogni Liturgia eucaristica ci esorta a fare con il canto iniziale del “Signore pietà!”) vuol dire muovere il primo passo di quella corsa che ci porta verso il Signore. Quell’uomo corre da Gesù e riceve la risposta sul senso della vita. Si apre un dialogo. Gesù gli chiede se conosce e se ha osservato i comandamenti; e la risposta è che li ha osservati sin dalla giovinezza. È tutt’altro che un credente tiepido o poco praticante. Non so quanti di noi possono dare la stessa risposta alla domanda di Gesù. L’evangelista nota: “Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò”. Potessimo sentire rivolte anche a noi queste parole! Ma forse noi non abbiamo la stessa ansia di salvezza che quell’uomo aveva. Dobbiamo, tuttavia, stare certi che queste parole evangeliche sono rivolte anche a noi: Gesù continua a guardarci e ad amarci, anche se siamo meno osservanti di quell’uomo. Anche oggi Gesù si rivolge a noi, e con la stessa intensità d’amore, ci dice: “Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi, e vieni! Seguimi!”. Non è una frase neutra. Il Vangelo chiede sempre un impegno, una decisione, una risposta. Ce lo ricorda la Lettera agli Ebrei che abbiamo ascoltato: “La Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore”. O la si respinge e si resta come si è, oppure la si accoglie e si cambia vita. Il brano evangelico ascoltato è tra quelli che hanno maggiormente cambiato la vita di coloro che lo hanno ascoltato. Quando Antonio, giovane egiziano di buona famiglia, ascoltò queste parole, lasciò tutto, si ritirò nel deserto e divenne padre (abate) di molti monaci. Così pure Francesco d’Assisi: le ascoltò e lasciò tutto. E divenne testimone del Vangelo, sino ad esserne segnato nel corpo con le stigmate. L’uomo ricco, al contrario, quando le udì abbassò il volto, divenne cupo e si allontanò con la tristezza nel cuore. L’evangelista chiude amaramente dandone la ragione: “perché aveva molte ricchezze”. Anche Gesù in verità si rattristò, e molto; perdeva un amico, perdeva un discepolo; e lo perdevano anche tutti coloro ai quali quell’uomo avrebbe potuto annunciare la gioia del Vangelo. Potremmo chiederci: ma l’invito di Gesù non è troppo severo? Non si tratta di una parola troppo esigente che, tra l’altro, rischia di farlo rimanere solo? Gesù non potrebbe attutirla almeno un poco? Non potrebbe renderla meno esigente e un po’ più accomodante? Le parole che Gesù aggiunge subito dopo il rifiuto del ricco non ammettono replica: “Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!”. E conclude: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio”. Sono parole che dovrebbero impensierirci, anzi spaventarci. Noi, infatti, figli di un mondo ricco, siamo tesi a prendere, a possedere, ad accaparrare piuttosto che a dare, a offrire, a condividere. Benedette perciò queste parole che vengono a porre una sana inquietudine nella nostra vita e che richiamano ogni credente a considerare quanto sia facile allontanarsi dal Vangelo vivendo, per di più, tristemente!
La decisione che questa pagina evangelica vuole provocare in noi riguarda il primato da dare a Dio sopra ogni cosa. Gesù ci chiede di porre Dio al di sopra di tutto, anche dei beni che abbiamo, e di considerare i poveri come nostri fratelli verso i quali siamo debitori di amore e di aiuto. Essi hanno diritto al nostro amore e al nostro sostegno. Quel che chiede il Signore ha i tratti di una rinuncia, e in parte lo è, ma è soprattutto una grande sapienza di vita. Ovviamente si tratta non della sapienza del mondo che spinge a rinchiudersi in se stessi e nelle cose del mondo, ma della sapienza che viene dal cielo, di cui ascoltiamo dalle Sante Scritture: “La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto; non la paragonai neppure a una gemma inestimabile, perché tutto l’oro al suo confronto è come un po’ di sabbia e come fango sarà valutato di fronte a lei l’argento. L’ho amata più della salute e della bellezza, ho preferito avere lei piuttosto che la luce, perché lo splendore che viene da lei non tramonta” (Sap 7,8-10). La risposta di Gesù alla richiesta che Pietro ha fatto a nome dei discepoli spiega concretamente le conseguenze di tale sapienza evangelica: chi abbandona tutto per seguire Gesù (ossia, chi pone Gesù al di sopra di ogni cosa) riceverà in questa vita il centuplo e, dopo la morte, la vita eterna. A volte si pensa che la vita evangelica sia innanzitutto privazione. Così pensò anche l’uomo ricco. In verità, la scelta di seguire il Signore sopra ogni cosa è sommamente “conveniente”, non solo per salvare la propria anima nel futuro, ma anche per gustare “cento volte” di più la vita su questa terra. Il brano tratto dal libro della Sapienza conclude: “Insieme a lei (la sapienza che viene dal cielo) mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile”. Chi mette Dio al primo posto nella sua vita, entra a far parte della sua “famiglia” ove trova fratelli e sorelle da amare, padri e madri da venerare, case e campi ove lavorare.
Comunità di Sant’Egidio

Quando il denaro diviene motivo di tristezza?

Prima lettura e vangelo forniscono l’occasione per una catechesi sulle ricchezze, dunque sul rapporto con i beni e sul loro uso. Il passo dell’Antico Testamento afferma che la Sapienza è un bene superiore e incomparabilmente più prezioso dei beni materiali; il vangelo mostra l’attaccamento alle ricchezze come il più grande ostacolo alla chiamata del Signore, all’ascolto della Parola e alla radicalità cristiana (cf. Mc 10,17-22), dunque alla salvezza (cf. Mc 10,23-27). Il vangelo presenta il fallimento di una chiamata. Il comando di Gesù (“Va’, vendi, vieni, seguimi”) viene disatteso e il suo amore (“lo amò”: Mc 10,21) viene frustrato. Il chiamato, a sua volta, fallisce il suo desiderio che l’aveva spinto a rivolgersi con ardore a Gesù: cercava il suo nome proprio (di lui si dice che è un anonimo, “un tale”: Mc 10,17) e resta un participio: “uno che aveva molti beni” (Mc 10,22). L’attaccamento alle ricchezza può falsare la verità dell’uomo impossessandosi del suo cuore. Nel denaro si crede, si pone la fiducia, perciò Gesù ha posto un aut-aut netto eppure così spesso eluso, interpretato, ridimensionato dai cristiani nella storia: “Non potete servire a Dio e a Mammona” (Mt 6,24). E il termine Mammona deriva dalla radice ’aman che significa aver fede, credere. Il testo pone in relazione tristezza e ricchezza: “Rattristatosi, se ne andò afflitto perché aveva molti beni” (Mc 10,22). Poiché la miseria abbrutisce e intristisce l’uomo, quando il denaro diviene motivo di tristezza? Certamente quando da mezzo diviene fine a cui una persona asservisce la propria vita. Questa vita è “contro natura” (Aristotele), “malata” (Spinoza). In che consiste la tristezza dell’uomo ricco? Nel suo fallire il proprio desiderio, nel lasciarsi vincere dalla paura che lo porta a preferire la sicurezza dei beni all’incertezza della relazione con Gesù, nel chiudersi all’amore, nel precludersi un futuro regredendo nel già noto del suo passato, nel cogliersi in maniera unidimensionale come “uno che ha molto”, nel temere la sofferenza della vita interiore e del lavoro di ordinamento della propria umanità a cui Gesù lo invita (cf. Mc 10,18-19). Quest’uomo è posseduto da ciò che possiede e sembra dar ragione in anticipo a Marx quando scrive: “Più si ha e più è alienata la propria vita”. Proprio in questa condizione di “troppo pieno”, di fiducia posta in beni esteriori che arrivano a schiavizzare mentre ci si crede liberi, risiede l’ostacolo che le ricchezze pongono alla salvezza. Entrare nella relazione con Gesù e dunque nello spazio della salvezza implica il doloroso riconoscimento di un vuoto, di una carenza, di una ferita attraverso cui può farsi strada l’azione salvifica del Signore. Non a caso l’uomo ricco è rinviato da Gesù a riconoscere la propria povertà interiore e profonda (“Una cosa ti manca”) e proprio lì egli fallisce: il possesso delle ricchezze dà sicurezza e consente di rimuovere il doloroso lavoro di riconoscere la propria mancanza. In realtà, dice Gesù, non solo le ricchezze sono un ostacolo, ma la salvezza in quanto tale non è impresa possibile alle sole forze dell’uomo: ogni autosufficienza, di qualunque tipo, ostacola il Regno di Dio. Ma, certamente, il possibile di Dio può incontrare l’impossibile degli uomini (cf. Mc 10,27). Quanto ai discepoli, che hanno abbandonato tutto ciò che possedevano per seguire Gesù, a loro è rivolta la promessa di Gesù del centuplo quaggiù, insieme a persecuzioni, e la vita eterna. C’è una benedizione insita nell’abbandonarsi al Signore, ma della promessa del Signore fanno parte anche le persecuzioni, dunque le contraddizioni, le difficoltà. Se il discepolo sa che esse sono parte integrante della promessa del Signore, allora esse potranno non scoraggiarlo o indurlo ad abbandonare. E comunque, la sequela di Gesù deve essere rinnovata e scelta nuovamente ogni giorno, pena, il suo fallimento. In effetti, coloro che hanno un giorno lasciato tutto per seguire Gesù, arriveranno a un momento in cui, tutti, abbandoneranno Gesù e fuggiranno (cf. Mc 14,50).
Comunità di Bose

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Lunedì 15 ottobre 2012

Questa è una generazione malvagia

In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione. Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone. Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona».
Lc 11,29-32

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Martedì 16 ottobre 2012

Il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria

In quel tempo, mentre Gesù stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo. Allora il Signore gli disse: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro».
Lc 11,37-41

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Mercoledì 17 ottobre 2012

Guai a voi che amate i primi posti

In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo». Intervenne uno dei dottori della Legge e gli disse: «Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi». Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!».
Lc 11,42-46

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Giovedì 18 ottobre 2012

Vi mando come agnelli in mezzo a lupi

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».
Lc 10,1-9

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Venerdì 19 ottobre 2012

Guardatevi bene dall’ipocrisia

In quel tempo, si erano radunate migliaia di persone, al punto che si calpestavano a vicenda, e Gesù cominciò a dire anzitutto ai suoi discepoli: «Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Quindi ciò che avrete detto nelle tenebre sarà udito in piena luce, e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne sarà annunciato dalle terrazze. Dico a voi, amici miei: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla. Vi mostrerò invece di chi dovete aver paura: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geènna. Sì, ve lo dico, temete costui. Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate paura: valete più di molti passeri!».
Lc 12,1-7

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Sabato 20 ottobre 2012

Lo Spirito Santo vi insegnerà ciò che bisogna dire

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico: chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio. Chiunque parlerà contro il Figlio dell’uomo, gli sarà perdonato; ma a chi bestemmierà lo Spirito Santo, non sarà perdonato. Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi di come o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire, perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire».
Lc 12,8-12

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