Una pausa per lo spirito – riflessioni per i giorni dal 21 al 27 ottobre 2012

Santena – 21 ottobre 2012 – DI seguito, alcune proposte di riflessione per i giorni dal 21 al 27 ottobre 2012, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.

Domenica 21 ottobre 2012

Il giusto mio servo giustificherà molti

Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità.

Is 53,10-11

Egli stesso è stato messo alla prova

Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.

Eb 4,14-16

Il Figlio dell’uomo è venuto per dare la propria vita in riscatto per molti

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Mc 10,35-45

Quanto è difficile per Gesù toccare i cuori

Marco riferisce un dialogo tra Gesù e i due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni. Siamo ancora sulla strada verso Gerusalemme e, per la terza volta, Gesù aveva confidato ai discepoli il destino di morte che lo aspettava al termine del cammino. I due discepoli, per nulla toccati dalle tragiche parole del Maestro, e con una notevole durezza di cuore, si fanno avanti e chiedono a Gesù i primi posti accanto a lui quando instaurerà il regno. Dopo la confessione di Pietro a Cesarea e la discussione su chi tra loro fosse il primo, probabilmente è cresciuto un clima di rivalità tra i discepoli; e questo forse spiega l’ambizione dei due fratelli nel rivendicare i primi posti. Quanto è difficile per Gesù toccare i cuori di quei dodici che pure si era scelti e curati! La verità è che essi sono davvero distanti dal pensiero e dalle preoccupazioni di Gesù, e non riescono a sintonizzarsi con lui. Non basta, infatti, stargli fisicamente vicino per comprenderlo. È necessario ascoltare ogni giorno la sua parola e seguirlo in un vero e proprio itinerario di crescita interiore. Quante volte, invece, dobbiamo constatare la nostra povertà spirituale, la nostra scarsa sapienza evangelica! Di fronte alla pretesa dei due discepoli Gesù risponde: “Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?”. Gesù vuole spiegare loro le esigenze del Vangelo attraverso due simboli, il calice e il battesimo, che erano ben noti a chi come loro frequentavano le Sante Scritture. Ambedue i simboli sono interpretati da Gesù in rapporto alla sua morte. Il calice è il segno dell’ira di Dio, come scrive Isaia: “alzati, Gerusalemme, che hai bevuto dalla mano del Signore il calice della sua ira, la coppa, il calice della vertigine” (Is 51,17); e Geremia dice: “Prendi dalla mia mano questa coppa colma del vino dell’ira, e falla bere a tutti i popoli ai quali io ti mando” (Ger 25,15). Gesù, con questa metafora, indica che egli prende su di sé il giudizio di Dio per il male compiuto nel mondo, anche a costo della morte. La stessa cosa vale per il simbolo del battesimo: “tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati” (Sal 42,8). Insomma, con le due immagini, Gesù mostra che il suo cammino non è una carriera verso il potere. Semmai è l’assunzione su di sé del male degli uomini, come disse il Battista: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”. I due discepoli probabilmente neppure ascoltano le parole del Maestro e tanto meno ne comprendono il senso. Del resto la parola evangelica, per essere ascoltata e compresa, richiede un atteggiamento di ascolto e di preghiera. Ai due apostoli non importa comprendere la Parola evangelica; quel che interessa è l’assicurazione del posto o comunque l’attenzione alla loro pretesa. E con sciocca semplificazione dicono: “Lo possiamo!”. È la stessa faciloneria con cui risponderanno a Gesù al termine dell’ultima cena, mentre si avviano con lui verso l’orto degli Ulivi (Mt 26,35). Quella notte basterà solo qualche ora, ed eccoli, assieme agli altri, abbandonare di corsa il Maestro per paura e lasciarlo nelle mani dei servi dei sommi sacerdoti. Era ovvio comunque che la richiesta dei due figli di Zebedeo scatenasse l’invidia e la gelosia degli altri discepoli (che si sdegnarono con Giacomo e Giovanni, nota l’evangelista). Gesù allora li chiamò ancora una volta tutti attorno a sé per una nuova lezione evangelica. Ogni volta che i discepoli non ascoltano le parole di Gesù e si lasciano guidare dai loro ragionamenti, si discostano dalla via evangelica e provocano liti e dissidi al loro stesso interno. È istintiva nei discepoli, come del resto in ogni persona, la tendenza a fare da maestri a se stessi, a essere autosufficienti, sino al punto di fare a meno di tutti, persino di Gesù. Per il Vangelo è vero l’esatto contrario: il discepolo resta sempre alla scuola del maestro, rimane sempre uno che ascolta. E anche se dovesse occupare posti di responsabilità, sia nella Chiesa che nella vita civile, resta sempre figlio del Signore, ossia discepolo che sta ai piedi di Gesù.
Ecco perché Gesù raduna nuovamente i Dodici attorno a sé e li ammaestra: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così”. L’istinto del potere – sembra dire Gesù – è ben radicato nel cuore degli uomini, anche in quello di chi spergiura di non esserne sfiorato. Nessuno, neppure all’interno della comunità cristiana, è immune da tale tentazione (si potrebbe dire che lo stesso Gesù subì la tentazione del potere, quando fu condotto dallo Spirito nel deserto). Non importa che si tratti del “grande” o del “piccolo” potere; tutti ne subiamo il fascino. È normale fare considerazioni severe su coloro che hanno il potere politico, economico, culturale; e talora è anche necessario. Forse però è più facile fare l’esame di coscienza agli altri che a se stessi, in genere uomini e donne dal “piccolo potere”. Non dovremmo tutti chiederci quanto spesso usiamo in modo egoistico e arrogante quella piccola fetta di potere che ci siamo ritagliati in famiglia, o a scuola, o in ufficio, o dietro uno sportello, o per la strada, o nelle istituzioni ecclesiali, o altrove? La scarsa riflessione in questo campo è spesso fonte di amarezze, di lotte, di invidie, di opposizioni, di crudeltà. Ai suoi discepoli Gesù continua a dire: “Tra voi non è così” (forse sarebbe più corretto dire: “non sia così”). Non si tratta di una crociata contro il potere, per favorire un facile umilismo che può anche essere solo indifferenza. Gesù ha avuto potere (“insegnava loro come uno che ha autorità”, scrive Matteo 7,29), e lo ha concesso anche ai discepoli (“dava loro potere sugli spiriti impuri”, si legge in Marco 6,7). Il problema è di quale potere si parla, e comunque di come lo si esercita. Il potere di cui parla il Vangelo è quello dell’amore. E Gesù lo spiega non solo con le parole quando afferma “chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore”, ma con la sua stessa vita. Dice di se stesso: “il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”. Così deve essere per ogni suo discepolo.

Comunità di Sant’Egidio

Una comunità che esprima la possibilità di relazioni gratuite

L’accostamento del testo di Isaia a quello di Marco ha come esito la rivelazione che Gesù è il Servo del Signore. Ovvero, l’obbediente alla volontà del Signore che ha donato se stesso per gli uomini vivendo la sua esistenza facendosi loro servo. La domanda di Giacomo e Giovanni (“Noi vogliamo che tu ci faccia ciò che ti chiederemo”) esprime la distorsione più frequente della preghiera cristiana: se la preghiera, come appare dal Padre nostro, porta il discepolo a fare la volontà del Signore (“sia fatta la tua volontà”: Mt 6,10), la domanda dei due discepoli va nel senso contrario. Si chiede che Dio faccia ciò che noi vogliamo. La preghiera allora non è più dialogo tra due libertà, ma imposizione umana a un Dio che non è più il Signore, ma un idolo. Occorre che il cristiano impari a domandare, perché la domanda esaudita è quella che chiede “nel nome del Signore”: “Tutto ciò che dobbiamo chiedere a Dio e dobbiamo attendere da lui si trova in Gesù Cristo. Occorre cercare di introdurci nella vita, nelle parole, negli atti, nelle sofferenze, nella morte di Gesù, per riconoscere ciò che Dio ha promesso e realizza sempre per noi. Dio infatti non realizza tutti i nostri desideri, ma realizza le sue promesse” (Dietrich Bonhoeffer). Con la loro incosciente richiesta, i due figli di Zebedeo dimostrano, da un lato, la loro incomprensione delle parole che Gesù ha appena pronunciato sul suo futuro di sofferenza e morte (cf. Mc 10,32-34) e, dall’altro, rivelano di vivere la comunità come finalizzata alla loro personale riuscita: essi devono ancora operare il passaggio da “la comunità per me” (“per noi”: Mc 10,35) a “io per la comunità”, e devono ancora imparare che non la comunità in quanto tale può essere il fine cui tendono, ma il Regno che va oltre la comunità stessa. La scorretta o parziale comprensione di Cristo diviene distorsione ecclesiologica. Il richiamo di Gesù alla coppa da bere e all’immersione da ricevere, cioè alla morte cruenta che lo attende, corregge la comprensione che essi hanno di lui, ma ricorda anche che la chiesa vive del suo innesto nella morte vivificante di Cristo grazie al battesimo e all’eucaristia. Innesto che le conferisce una forma altra rispetto alle istituzioni mondane: non il potere, ma il servizio è la sua logica interna. Da Gesù Servo nasce una chiesa serva. L’iniziativa dei due fratelli suscita un conflitto all’interno della comunità: “gli altri dieci si sdegnarono con loro” (Mc 10,41). Concorrenzialità e clericalismo ante litteram sono già presenti nel gruppo dei Dodici, tanto che Gesù li convoca e li istruisce sulla logica che deve abitare le comunità cristiane, opposta a quella che vige nei poteri di questo mondo. “Tra voi non è così”: questa parola di Gesù pone un criterio discriminante tra chiesa e non-chiesa. La prima testimonianza politica della chiesa consiste nella sua strutturazione interna, nell’organizzazione delle sue strutture di autorità e nel modo di vivere l’autorità, che dev’essere conforme a quanto vissuto da Cristo e da lui richiesto ai discepoli. La parola di Gesù stigmatizza le logiche dei poteri mondani, ma soprattutto si rivolge alla chiesa: alla tentazione della mimesi dei meccanismi mondani, Gesù oppone la differenza cristiana fondata sul farsi servi gli uni degli altri. Se la chiesa è la testimone di Cristo Servo nella storia tra la croce e la parusia, allora la sua forma la mostra quale comunità non omologata, né asservita. Insomma, con una battuta, la chiesa non è uno Stato: “Tra voi, non è così”. Essa invece è, secondo le belle parole del Card. Carlo Maria Martini, “comunità alternativa”: “La chiesa si sente spinta non solo a formare i suoi figli, ma a lasciarsi formare essa stessa vivendo al suo interno secondo modellini relazioni fondate sul vangelo, secondo quelle modalità che sono capaci di esprimere una comunità alternativa. Cioè una comunità che, in una società connotata da relazioni fragili, conflittuali e di tipo consumistico, esprima la possibilità di relazioni gratuite, forti e durature, cementate dalla mutua accettazione e dal perdono reciproco”.

Comunità di Bose

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Lunedì 22 ottobre 2012

La vita non dipende da ciò che si possiede

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Lc 12,13-21

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Martedì 23 ottobre 2012

Siate pronti

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!».

Lc 12,35-38

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Mercoledì 24 ottobre 2012

A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire” e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

Lc 12,39-48

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Giovedì 25 ottobre 2012

Sono venuto a gettare fuoco sulla terra

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Lc 12,49-53

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Venerdì 26 ottobre 2012

Come mai questo tempo non sapete valutarlo?

In quel tempo, Gesù diceva alle folle: «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: “Farà caldo”, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto? Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all’esattore dei debiti e costui ti getti in prigione. Io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo».

Lc 12,54-59

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Sabato 27 ottobre 2012

Se non vi convertite, perirete tutti

In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Lc 13,1-9

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