Santena – 28 ottobre 2012 – Germano Cini ha inviato al blog questo contributo.
Mercoledì sera, come tutti i santi giorni, durante il ritorno dal lavoro, assorto nei miei mille pensieri equamente suddivisi tra la sintesi giornaliera e il programma per il giorno dopo, mi è successo un fatto strano. Era l’imbrunire ed imboccata via Sambuy in direzione centro città dopo poche decine di metri qualcosa non mi torna. Un’anomalia sballa l’immagine che il mio subconscio ha di quel quotidiano percorso e di quell’habitat. Vi confesso che per un istante, un piacevole istante, ho provato un inconsueto senso d’ordine come quello che ricevi quando entri in una qualsiasi cittadina aldilà delle alpi. Poi tutto si è fatto chiaro nell’istante in cui mi è venuto alla mente che quella mattina, percorrendo in senso contrario lo stesso tratto di strada, mi sono imbattuto in tre lavoratrici in pettorina fosforescente, armate di zappetta, rastrello e scopa, impegnate con gran dignità ad estirpare erbacce lungo i muri di cinta, a rimuovere foglie e spazzare i marciapiedi. Un’attività di per se abbastanza banale, forse non degna d’attenzione, figuriamoci se meritoria di essere sottolineata dedicando tempo ad un contributo scritto. Eppure una città che si presenta pulita e ordinata trasmette un’idea di sé più rassicurante, di una comunità più affidabile e precisa, di un’habitat più recettivo e ospitale. Questa è la sensazione che ho ricevuto percorrendo quel tratto di strada grazie al semplice ma prezioso lavoro di quelle tre signore che hanno però messo in evidenza che non si può prescindere dalla cura dei dettagli specialmente quando questi sono indicatori di trascuratezza, negligenza e abbandono. Basta veramente così poco.
Perché allora la città non può essere sempre tutta così precisa ed ordinata? Forse merita porsi certi interrogativi, evidenziare certe situazioni, spendere un po’ dei nostri ragionamenti per analizzare comportamenti e abitudini. Siamo tutti dei grandi ammiratori delle cittadine del nord dell’Europa, di come abbiano sviluppato il senso dell’ordine privato e pubblico e quanto questo riesca anche a contagiarti positivamente quando vivi le loro città. Quel sistema però è così forte ed egemone perché è il risultato di un comportamento collettivo, di un’idea di rispetto e cura dell’ambiente diretto, sistematico ed individuale, che è quindi lontano anni luce dal poterlo replicare con le sole attività, pur preziose, delle lavoratrici in pettorina fosforescente. Bisogna andare molto più in profondità, allargare l’impegno, coinvolgere tutta la comunità mettendola davanti alle proprie responsabilità. Un esempio per tutti, credo non esistano obblighi di legge che impongono di curare il tratto di marciapiede che confina con la nostra proprietà, ma sono altrettanto convinto che debba essere trasmessa un’idea di città come bene comune che come minimo ci faccia sentire una certa vergogna nel vedere altri occuparsi di tenere pulito il muro di cinta di casa nostra. Se sentissimo maggiormente la responsabilità di usare noi quel rastrello e quella zappetta potremmo sicuramente vantare un ambiente costantemente più ordinato lasciando così a quelle utilissime lavoratrici il compito di migliorare la città e non di recuperare alla nostra indifferenza.
Germano Cini