Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 23 al 29 dicembre 2012

Santena – 23 dicembre 2012 – Di seguito, alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 23 al 29 dicembre 2012, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.

Domenica 23 dicembre 2012

Egli stesso sarà la pace!

Così dice il Signore:«E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui, fino a quando partorirà colei che deve partorire; e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d’Israele. Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore, suo Dio. Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra.

Egli stesso sarà la pace!».

Mi 5,1-4a

Ecco, io vengo per fare la tua volontà

Fratelli, entrando nel mondo, Cristo dice: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”».

Dopo aver detto: «Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato», cose che vengono offerte secondo la Legge, soggiunge: «Ecco, io vengo per fare la tua volontà». Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre.

Eb 10,5-10

Beata colei che ha creduto

 

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Lc 1,39-45

La nostra vita ha qualcuno che viene a visitarla

È l’ultima domenica di Avvento e quest’anno cade proprio alla vigilia della celebrazione del Natale. L’Avvento ci ha ricordato che siamo alla vigilia: qualcuno sta venendo ed attendiamo il giorno della manifestazione piena di Dio. Egli torna tra gli uomini. I discepoli del Signore non sono persi nell’incertezza; non vagano senza orientamento; non vivono alla giornata, come viene, seguendo la regola della propria soddisfazione ed interesse. La nostra vita non finisce con noi! Nell’Avvento, particolarmente in questo Avvento, ritroviamo tutti il senso dell’attesa, della gioia perché la nostra vita ha qualcuno che viene a visitarla. L’Avvento ci libera dal pessimismo che ci fa guardare solo indietro; dal realismo rozzo degli uomini senza speranza. Qualcuno viene, qualcuno per cui vale la pena cambiare e prepararsi, qualcuno che non lascia soli, che manifesta la compassione di Dio e la sua scelta d’amore per gli uomini e per la loro debolezza. Come abbiamo ascoltato domenica scorsa: gioisci, non lasciarti cadere le braccia! Non lamentarti di quello che non hai! Non rassegnarti perché la speranza sembra impossibile! Il Signore viene, squarcia i cieli e scende. Sceglie la debolezza di una donna, si presenta debole come un bambino. Ma è lui che cambia il cuore degli uomini e il mondo, perché rende nuovo ciò che è vecchio e genera ad una vita nuova. Maria è venuta qui. Ma le resta da fare ancora un altro pezzo di strada, forse più arduo e più difficile che traversare i cieli. È quel tratto di cammino che lei deve compiere per raggiungere e toccare il nostro cuore. Le lasceremo superare le montagne di indifferenza e di egoismo che si ergono dentro di noi? Le permetteremo di oltrepassare le voragini di odio e di inimicizia che abbiamo scavato nel nostro animo? Le lasceremo aprirsi un varco tra le erbe velenose e amare che rendono insensibili i cuori, cattivi i pensieri e violenti i comportamenti? Maria ha nel suo seno il bambino, ha il Vangelo. Ma riusciamo a sentire il suo saluto? Riusciamo ad ascoltare il Vangelo che ci viene annunciato? Beati noi se, visitati da Maria, ascoltiamo il suo saluto. Accadrà a noi quello che accadde ad Elisabetta. Scrive l’evangelista: “Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo!”. Queste parole le ripetiamo ogni volta che recitiamo l’Ave Maria. Ma il loro vero senso glielo diamo oggi, ossia se il saluto di Maria ci tocca il cuore, se ci lasciamo commuovere da lei e dalla sua tenerezza nell’attesa di Gesù. Lei è davvero “benedetta” tra tutti noi. È benedetta perché “ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore”. Questa prima beatitudine che leggiamo nel Vangelo è la ragione della nostra fede, il motivo della nostra gioia, anche se talora può costarci sacrificio. Così Maria si è preparata al Natale: accogliendo anzitutto la parola dell’angelo. Potremmo dire: ascoltando il Vangelo. Da questo ascolto è iniziata per lei una vita nuova. Ha deciso di seguire in tutto quello che l’angelo le ha detto, anche a costo di essere mal capita, anzi criticata, persino rigettata da Giuseppe. E, saputo dall’angelo che sua cugina Elisabetta era incinta, ha lasciato Nazareth per andare ad aiutarla, affrontando un lungo viaggio. È andata da un’anziana donna bisognosa d’aiuto. Ecco come fare spazio al Signore: una ragazza che visita un’anziana. Il cuore si allarga se smettiamo di pensare sempre a noi stessi; i pensieri diventano più teneri se ci avviciniamo a chi ha bisogno di aiuto; i comportamenti diventano più dolci se stiamo vicino ai poveri, ai deboli, ai malati e impariamo ad amarli. La carità è una grande scuola di vita. Così Maria si è preparata al Natale: con il Vangelo ascoltato, custodito e messo in pratica. Oggi viene tra noi per coinvolgerci nell’attesa del suo Figlio. Il giorno di Natale la casa del Signore non chiuderà le sue porte. Lascerà il posto a chi non lo ha. Sarà una casa per i tanti che come il Signore Gesù non hanno un posto, che devono vagare all’aperto, lontani da casa, nell’amarezza dell’inaccoglienza e della solitudine. Ogni casa di preghiera potrà gioire come Maria, cantando con le sue parole: “L’anima mia magnifica il Signore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva”, perché Dio ha innalzato gli umili e ricolmato di beni gli affamati. Sarà un Natale di commozione e di amicizia, in piccolo un’anticipazione di quell’Avvento che tutti attendiamo, quando verranno da occidente ed oriente e si siederanno a mensa nel Regno di Dio. Saremo beati anche noi se crediamo nell’adempimento delle parole del Signore. E gioiremo anche noi incontrando ed accogliendo la madre che continua a generare tra gli uomini il Signore della vita.

Comunità di Sant’Egidio

Ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto

Betlemme è ricordata dal profeta come “piccola”, nel senso negativo di “poco significativa”. La parola divina della IV domenica di Avvento si apre con la menzione di una realtà considerata umanamente poco significativa. Eppure proprio dalla piccola Betlemme viene colui che “sarà grande”: il profeta invita a constatare, con sorpresa, che le classificazioni umane non coincidono con i progetti divini. Serve uno sguardo di fede per andare oltre ciò che appare scontato e immutabile. La fede nel Dio che sceglie i piccoli e ridimensiona le pretese dei grandi.

La nostra cornice culturale, basata su una razionalità dei risultati e del calcolo, fa fatica ad entrare nella prospettiva di Dio. La razionalità moderna – che non va confusa con la facoltà della ragione – acquisisce un controllo su determinati settori di competenza, frantumando i dati e controllandoli mediante l’intelligenza artificiale. Ma ciò che funziona nel processo economico e tecnologico, non ha pieno possesso della storia umana: lì abbiamo una unità irriducibile, non frantumabile nei suoi processi, la persona, e la razionalità tecnica cede il passo alla completezza della ragione, che a sua volta non può pretendere un dominio assoluto: la ragione si apre alla fede. Ciò che non può essere calcolato è esattamente ciò per cui vale la pena di vivere, di amare, che dona vera gioia. Abbiamo bisogno di ritrovare la fede fondamentale: la fede di Maria.

Abbiamo già contemplato nella solennità dell’Immacolata il dono totale di Maria, provocato dalla sua fede: ora la stessa fede diventa principio di azione nei confronti di Elisabetta. Una persona incontra, nella carità, un’altra persona. Una donna che attende un figlio si incontra con un’altra futura madre. Una donna credente incontra una sorella nella stessa fede. Nell’incontro Dio stesso parla e si manifesta, con l’azione del suo Spirito. Ciascuna porta il suo dono: Maria porta il Salvatore, e lo annuncia a Elisabetta, facendo come rimbalzare quel saluto benedicente che l’angelo le aveva portato; Elisabetta nello Spirito è resa capace di riconoscere l’azione di Dio e di manifestarla a Maria, con parole di benedizione. Nel seguito del brano Maria eleva la sua lode, con il canto del Magnificat. È come se Maria comprendesse pienamente ciò che le sta accadendo soltanto nell’incontro con la cugina; è come se avvenisse una evangelizzazione reciproca. Maria porta Gesù; Elisabetta lo disvela pienamente alla madre, confermando e incoraggiando la sua fede, che peraltro sembrerebbe già perfetta e colma di beatitudine: “beata colei che ha creduto”.

Per quanto piena e totale, la fede di Maria ha ancora un lungo cammino da compiere. Scoprirà il Figlio come segno di contraddizione; diverrà lei stessa, in un certo senso, sua discepola, sulle strade di Galilea, fino alla croce e alla gioia della risurrezione, fino ad una nuova maternità, in senso spirituale, nei confronti di tutta la Chiesa. Il passaggio che si compie nell’incontro con Elisabetta è un aumento di consapevolezza: la comunione profonda sperimentata con Elisabetta rende possibile un intenso scambio nella fede, un passo avanti verso la pienezza. Esso si può verificare solamente con i fratelli e sorelle di fede: se anche si testimoniasse l’adesione a Cristo fino al martirio, se anche si amasse il nemico fino al dono della vita, si resterebbe un gradino sotto al miracolo silenzioso del dialogo tra chi crede ed è ricambiato, tra chi comunica la lode in Dio, e ne è confermato da chi crede con lui e insieme a lui

«Io credo»: dice Maria; «Credo anch’io», risponde Elisabetta; «Sia benedetto il Signore»: aggiunge Elisabetta, «Anche l’anima mia magnifica il Signore…» prosegue Maria. Siamo forse troppo abituati al dialogo amichevole con il dubbio, o allo scontro ostinato con l’incredulità, per dare importanza al semplice, sorprendente prodigio della fede condivisa. Esso si ripete ad ogni celebrazione eucaristica, trova attuazione nei dialoghi liturgici: “Il Signore sia con voi”: “E con il tuo Spirito”; “Rendiamo grazie”: “È cosa buona e giusta”. Ma forse si è troppo abituati nella liturgia a ricercare un nutrimento per la vita personale, per apprezzare il semplice fatto che tanti o pochi (Maria ed Elisabetta erano in due: in realtà il pochi non importa) fratelli e sorelle di fede sono riuniti dallo Spirito per riscoprire la bellezza della lode comune.

Ufficio liturgico nazionale

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Lunedì 24 dicembre 2012

Susciterò un tuo discendente dopo di te

Il re Davide, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici all’intorno, disse al profeta Natan: «Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda». Natan rispose al re: «Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te». Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: «Va’, e di’ al mio servo Davide: “Così dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo per Israele, mio popolo, e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano come in passato e come dal giorno in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo Israele. Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”».

2 Sam 7,1-5.8b-12.14a.16

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Martedì 25 dicembre 2012

Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di buone notizie

Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: «Regna il tuo Dio». Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce, insieme esultano, poiché vedono con gli occhi il ritorno del Signore a Sion. Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme. Il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti a tutte le nazioni; tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio.

Is 52,7-10      

Ha parlato a noi per mezzo del Figlio

Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo. Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato. Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? e ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»? Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio».

Eb 1,1-6

Veniva nel mondo la luce vera       

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.

Gv 1,1-5.9-14

Beato il popolo che ha il Signore come Dio

La nascita non è altro che l’inizio di una presenza. Nella nascita c’è già tutto. Ma nello stesso tempo non c’è ancora nulla, almeno dal punto di vista del risultato pratico. L’angelo che annuncia una grande gioia promette ai pastori un “segno”: un bambino, circondato da cure affettuose. È poco, ma è anche tutto.  La lettera a Timoteo riassume in una unica affermazione il grande mistero della salvezza: “è apparsa la grazia di Dio”, che “porta salvezza a tutti gli uomini” (I lettura della Messa della notte). Ad essa fa eco la lettera a Tito, nella Messa dell’aurora: “apparvero la misericordia di Dio e il suo amore per gli uomini”. La stessa visione complessiva appare nel vangelo della Messa del giorno: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. E la seconda lettura della Messa del giorno riassume così: “ultimamente, in questi giorni, Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio”. Ma potremmo chiederci qual è l’aspetto specifico del Natale nel mistero della salvezza, su cui la liturgia invita a soffermarsi con particolare attenzione.

Uno sguardo attento alle letture bibliche ci conduce a scoprire che l’angolatura specifica sotto cui siamo, nel Natale, invitati a osservare il mistero della salvezza sia quella del principio, dell’inizio: inteso certamente come fondamento essenziale, ma anche, molto semplicemente, come inizio temporale, caratterizzato da un’estrema limitazione nel tempo, nello spazio, nelle facoltà. Riprendendo la lettera agli Ebrei possiamo dire che nel Natale Dio ci parla. Ma il bimbo che è nato non è ancora un discorso, non è ancora dottrina, non è ancora neppure una frase di senso compiuto. Potremmo paragonarlo ad una semplice sillaba, la sillaba originaria: un sì. Nel Natale contempliamo il sì originario di Dio: sì all’uomo, sì al mondo, sì al perdono, sì al rinnovamento dell’alleanza. Anche l’apostolo Paolo, in un passaggio famoso, dice che «in lui c’è solo il sì» (2Cor 1,19-20): Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che abbiamo annunciato tra voi, io, Silvano e Timòteo, non fu “sì” e “no”, ma in lui vi fu il “sì”. Infatti tutte le promesse di Dio in lui sono “sì”. Per questo attraverso di lui sale a Dio il nostro “Amen” per la sua gloria. Da quel sì originario tutto può partire, o ripartire: tutte le promesse divine riprendono slancio. Ma anche la nostra fede ha un inizio semplicissimo: l’“Amen” con cui si riconosce la giustizia e la gloria di Dio.

Tutto comincia con una presenza. Un semplicissimo legame. Un segno minimo, ma potente. Il sì di Dio, fatto carne in Gesù, determina un’inversione della storia. Come un pulsante che fa esplodere una bomba. Come un semplice tasto, che accende la comunicazione. Le parole semplici, ma dense del prologo di Giovanni ci dicono che tutta la realtà, tutto ciò che vediamo, che sperimentiamo, che costruiamo, deriva da Dio, ha la sua origine in lui: «Tutto è stato fatto per mezzo di lui», perché tutto nasce dalla volontà di Dio di comunicarsi, di trasmettere il suo amore. «In lui era la vita» aggiunge, perché il semplice fatto di vivere è bello, è importante e dà gioia, ma egli ci dona un sovrappiù di vita, una vita in pienezza: “a quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio”. Se solo anche noi accettassimo di dire il nostro «Sì»! È lo stesso che dire «Credo, Amen, mi affido a te, Signore».

Come il Verbo di Dio, fatto carne, comincia con l’essere un bambino, e noi siamo chiamati a contemplare la potente semplicità di quell’inizio; così anche la nostra fede comincia con l’essere, per così dire, bambina, piccola, limitata, anche se ha in sé la potenzialità di crescere. Come dire, oggi il nostro sì al Signore? Come potremo permettere alla nostra fede di ripartire? Potrebbe essere un gesto estremamente circoscritto, eppure potente, non di una forza nostra, ma della potenza di Dio. Potrebbe bastare una preghiera davanti al presepe; un abbraccio ai familiari, una preghiera questa sera, la confessione dopo tanti anni… o forse anche un saluto a chi avevamo lasciato perdere, il perdono a una persona che ci ha fatto un torto, e a cui torniamo a fare gli auguri… il più semplice degli assensi di fede a Dio, ci porta molto lontano: oltre il Natale, fino alla Pasqua. Se cominciamo davvero ad amare come Gesù ama, prima o poi ci sarà chiesto il dono della vita… Come ha fatto Gesù, che da un’obbedienza al Padre ad un’altra, arriva a morire e risorgere per manifestarci il suo perdono, per invitarci a perdonare e a lasciarci perdonare. Dalla semplicità dell’inizio siamo rimandati alla profondità della fine. Dal balbettare iniziale siamo passati a un grande discorso: ma la parola chiave è ancora il sì, il sì dell’amore. Gesù accetta di compiere la volontà del Padre, fino alla morte, e alla morte di croce. Fino alla risurrezione. Il bambino mostra già, in tutta la sua drammaticità, il percorso che porta alla croce e alla glorificazione.

Ufficio liturgico nazionale

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Mercoledì 26 dicembre 2012

Lo Spirito del Padre vostro parla in voi

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato».

Mt 10,17-22

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Giovedì 27 dicembre 2012

Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi

Figlioli miei, quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena.

1 Gv 1,1-4

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Venerdì 28 dicembre 2012

Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna

Figlioli miei, questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo: Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna. Se diciamo di essere in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato. Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non avere peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi. Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo.

1 Gv 1,5-2,2

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Sabato 29 dicembre 2012

Il comandamento antico è la Parola che avete udito

Figlioli miei, da questo sappiamo di avere conosciuto Gesù: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto. Da questo conosciamo di essere in lui. Chi dice di rimanere in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato. Carissimi, non vi scrivo un nuovo comandamento, ma un comandamento antico, che avete ricevuto da principio. Il comandamento antico è la Parola che avete udito. Eppure vi scrivo un comandamento nuovo, e ciò è vero in lui e in voi, perché le tenebre stanno diradandosi e già appare la luce vera. Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. Chi ama suo fratello, rimane nella luce e non vi è in lui occasione di inciampo. Ma chi odia suo fratello, è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi.

1 Gv 2,3-11

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