Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione dal 30 dicembre 2012 al 5 gennaio 2013

Santena – 30 dicembre 2012 – Di seguito, alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 30 dicembre 2012 al 5 gennaio 2013, tratte dalla liturgia del giorno con commento alle letture festive.

 

Domenica 30 dicembre 2012

Lascio che il Signore lo richieda

presepe5Al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuèle, «perché – diceva – al Signore l’ho richiesto». Quando poi Elkanà andò con tutta la famiglia a offrire il sacrificio di ogni anno al Signore e a soddisfare il suo voto, Anna non andò, perché disse al marito: «Non verrò, finché il bambino non sia svezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre». Dopo averlo svezzato, lo portò con sé, con un giovenco di tre anni, un’efa di farina e un otre di vino, e lo introdusse nel tempio del Signore a Silo: era ancora un fanciullo. Immolato il giovenco, presentarono il fanciullo a Eli e lei disse: «Perdona, mio signore. Per la tua vita, mio signore, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch’io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore». E si prostrarono là davanti al Signore.
1 Sam 1,20-22.24-28

Fin d’ora siamo figli di Dio
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.
1 Gv 3,1-2.21-24

Devo occuparmi delle cose del Padre mio
I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
Lc 2,41-52

Sono passati pochi giorni dal Natale e la liturgia ci porta subito a Nazareth per farci incontrare quella singolare famiglia. Con questa festa liturgica la Chiesa vuole sottolineare che anche Gesù ha avuto bisogno di una famiglia, di essere circondato dall’affetto di un padre e di una madre. Anche se i Vangeli danno poco spazio alla vita familiare di Gesù e riportano solo alcuni episodi della sua infanzia, la famiglia ha segnato la vita di Gesù per trent’anni. È piena di senso la frase finale del brano evangelico di questa domenica: “Partì dunque con loro e tornò a Nazareth e stava loro sottomesso. E la madre custodiva nel suo cuore tutte queste cose. E Gesù cresceva in sapienza, in età e in grazia davanti a Dio e davanti agli uomini” (Lc 2,51-52).
Sono poche parole ma valgono i trent’anni della “vita nascosta” a Nazareth. A noi, malati di efficientismo, sorge immediata la domanda: perché Gesù ha vissuto tanto tempo così nascostamente? Non avrebbe potuto impiegare quegli anni, o almeno una parte di essi, in modo più fruttuoso, annunciando il Vangelo, guarendo i malati, aiutando insomma quanto più era possibile chiunque avesse bisogno? A parte la considerazione che non sappiamo cosa egli abbia fatto, tuttavia, se ponessimo maggiore attenzione al Vangelo, forse ci sentiremmo rispondere: “Non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 8,33). Certo è che quei trenta anni fanno comprendere ancor meglio le parole di Paolo: “Egli si è fatto simile agli uomini”. Sì, Gesù è vissuto in famiglia, come tutti, quasi a voler dire che la salvezza non è estranea alla vita ordinaria degli uomini. E forse anche per questo la Chiesa ha ritenuto “apocrifi” tutti quei racconti creati dalla tenera curiosità dei primi cristiani che volevano rendere straordinaria e miracolosa l’infanzia e l’adolescenza di Gesù. Dal Vangelo sappiamo che la vita a Nazareth è segnata dalla normalità: non ci sono miracoli o guarigioni, non sono riportate predicazioni, non si vedono folle che accorrono; tutto accade “normalmente”, secondo le consuetudini di una pia famiglia israelita. Ebbene la festa odierna ci suggerisce che anche questi anni sono stati santi. La famiglia di Gesù era una famiglia ordinaria, composta da persone che vivevano del lavoro delle proprie mani; quindi né miseri né benestanti, forse un po’ precari. Senza dubbio però erano esemplari: si volevano davvero bene, anche se probabilmente non mancarono incomprensioni, rimproveri ed anche correzioni, come si arguisce ad esempio dall’episodio dello smarrimento nel tempio. Quel giorno Maria e Giuseppe non capirono quello che Gesù stava facendo e giunsero persino a rimproverarlo.  Certamente Giuseppe e Maria osservavano le tradizioni religiose d’Israele e sentivano l’obbligo dell’educazione di Gesù. Il Deuteronomio prescriveva: “Questi precetti che ti do staranno nel tuo cuore: li insegnerai ai tuoi figli, li mediterai in casa e lungo il viaggio, andando a dormire e alzandoti” (Dt 6,6). Sarebbe bello ripercorrere le tradizioni religiose di una pia famiglia ebraica del tempo per poter comprendere ancor più la vita di Gesù e della famiglia di Nazareth. Ci commuoveremmo nel conoscere anche noi le preghiere che i tre dicevano al mattino e alla sera; saremmo edificati nell’apprendere come Gesù adolescente affrontava i primi appuntamenti religiosi e civili, e come da giovane operaio lavorava con Giuseppe; e il suo impegno nell’ascolto delle Scritture, nella preghiera dei salmi e in tante altre consuetudini. E quanto le mamme potrebbero apprendere dalle premure di Maria per quel figlio! Quanto i papà potrebbero ricavare dall’esempio di Giuseppe, uomo giusto, che dedicò la sua vita a sostenere e a difendere non se stesso ma il bambino e la madre! Tuttavia c’è una profondità in quella famiglia, che restò nascosta agli occhi dei contemporanei, ma che a noi viene svelata dal Vangelo ed è la “centralità” di Gesù in quel nucleo familiare. Questo è il “tesoro” della “vita nascosta”: Maria e Giuseppe avevano accolto quel Figlio, lo custodivano e lo vedevano crescere in mezzo a loro, anzi dentro il loro cuore, e aumentava parimenti il loro affetto e la loro comprensione. Ecco perché la famiglia di Nazareth è santa: perché era centrata su Gesù. Quell’angoscia che sentirono quando non riuscivano più a trovare Gesù dodicenne, dovrebbe essere la nostra angoscia quando siamo lontani da lui. Riusciamo a stare più di tre giorni, talora, senza neppure ricordarci del Signore, senza leggere il Vangelo, senza sentire il bisogno della sua amicizia. Maria e Giuseppe si mossero e lo trovarono, non tra i parenti o i conoscenti, è difficile trovarlo lì, ma nel tempio, tra i dottori. Anche noi troviamo Gesù in questa celebrazione. Egli parla anche a noi più grandi e smaliziati, pieni della nostra saggezza e induriti nelle nostre certezze. E ci offre la lezione più importante, quella di essere tutti figli di Dio. Ce lo dice fin da quando è bambino, fin dalle prime pagine del Vangelo e ce lo ripete alla fine, dall’alto della croce quando si affida totalmente al Padre come un figlio. L’evangelista nota, infine, che Gesù a Nazareth “cresceva in sapienza, in età e in grazia, davanti a Dio e davanti agli uomini”. Anche noi dobbiamo crescere nella conoscenza e nell’amore di Gesù. Nazareth, villaggio periferico della Galilea e luogo della vita ordinaria della Santa Famiglia, rappresenta perciò l’intera vita del discepolo che, appunto, accoglie, custodisce e fa crescere il Signore nel proprio cuore e nella propria vita. Non è allora solo un caso che “Nazareth” significhi “Colei che custodisce”. Nazareth è Maria, che “custodiva nel suo cuore tutte queste cose”. Nazareth è la patria e la vocazione di ogni discepolo. Anche se il mondo continuerà a dire: “Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?”.

Comunità di Sant’Egidio

Beato chi abita la tua casa, Signore; senza fine canta le tue lodi

Sal 84,5

Il punto di partenza della nostra riflessione non sarà l’esperienza della famiglia umana: andremmo probabilmente fuori strada. Vediamo una grande confusione oggi su cosa sia o non sia la famiglia, il pensiero comune non offre più punti di riferimento saldi. Consideriamo invece che siamo nell’Ottava del Natale, ancora illuminati dallo splendore del mistero dell’Incarnazione. Abbiamo contemplato il Verbo incarnato nel Natale, e constatiamo che continua a riverberare la sua luce, accendendo prospettive nuove e facendoci scoprire nuovi colori. Come il fondo del mare sembra, agli occhi del sommozzatore, di un blu uniforme, e tutti i pesci appaiono uguali, ma non appena si accende una torcia appare una profusione di colori splendidi, così anche la nostra esistenza umana sembrava appiattita, grigia, priva di gioia, finché il Verbo non è sceso tra noi per illuminare di luce nuova ogni nostra realtà. Anche la realtà della famiglia. Gesù ridà colore alla famiglia, perché la illumina con la luce della sua carità. Lui, sceso come fratello in mezzo a noi, figlio del Padre celeste, permette di ritrovare i fondamenti della fraternità, della figliolanza, della solidarietà familiare. A fondamento di tutto sta un nuovo criterio di azione: l’obbedienza al Padre celeste, il ristabilimento dell’alleanza originaria, che va oltre il puro e semplice adempimento degli obblighi della Legge. Nel vangelo di oggi vediamo che i genitori portano il fanciullo Gesù a Gerusalemme secondo le consuetudini; i dodici anni segnano probabilmente l’inizio dell’età adulta, in cui i ragazzi ebrei erano iniziati alla lettura e all’esecuzione della Legge. Ma Gesù va oltre la tradizione e la consuetudine: egli si ferma nel Tempio, nella casa del Padre suo, come per cominciare il suo servizio alla parola divina.  La scena di ritrovamento è una scena di fraintendimento, come spesso ne troviamo nei vangeli. All’origine del fraintendimento sta lo scarto tra apparenza e realtà, tra progetti umani e disegni divini; l’evangelista lo vede come un momento di rivelazione. Colui che sembra non distinguersi da un normale bambino che cresce e diventa uomo, in realtà è chiamato a portare a compimento la volontà del Padre. Il fraintendimento rivelativo è peraltro di breve durata: per il resto della sua crescita Gesù resta sottomesso e nascosto, in attesa della sua ora, del tempo favorevole perché appaia la sua vera identità e nello stesso tempo appaia il tesoro nascosto nella vita di ogni persona e di ogni famiglia.

In effetti, con le debite proporzioni, nella vita di ogni persona e nella vita di ogni famiglia si nasconde lo stesso mistero che restava nascosto nel fanciullo Gesù. Anche noi, insieme alle nostre famiglie, siamo chiamati a “compiere la volontà del Padre”: sebbene spesso tutto ciò rimanga invisibile, come dice la lettera di Giovanni: “noi fin d’ora siamo figli di Dio; ma ciò che saremo non è ancora stato rivelato”. Ciò che appare invece è più spesso la consuetudine, l’abitudine, il conformismo alle usanze umane; talvolta anche l’egoismo, la possessività, la ricerca di una propria esclusiva realizzazione. Si tende a rifiutare l’idea che la famiglia abbia una vocazione e una dignità divina, riducendola a una istituzione puramente umana, nata da convenienze economiche e sociali superabili o diversamente compensabili. Non possiamo dunque aspettarci un sostegno dalla società umana in generale: saranno invece i credenti a dover reimmettere nella società una riserva buona di carità e solidarietà. In quest’opera paziente e a lungo termine, essi possono imitare il modo di crescere del fanciullo Gesù, sottomesso a Maria e Giuseppe, nascosto tra i suoi concittadini, senza nessuna fretta di manifestarsi al mondo, se non nel tempo opportuno. Forse anche per noi credenti la sottomissione di Gesù offre un modello e uno stile di azione. Gesù abita nella famiglia e nel villaggio, senza pretendere subito di poterli cambiare. Il tempo nascosto di Gesù a Nazaret qualifica in maniera decisiva il grande mistero dell’incarnazione. Dio accetta di inserirsi con dolcezza nelle vicende umane, proporzionando il dono della sua grazia ai ritardi della pigrizia umana. Con la stessa dolcezza e pazienza il mistero del Natale può inserirsi nella vita delle nostre famiglie: possiamo prendere a modello la scena della prima lettura, in cui Anna, riconoscente per il dono della maternità, consacra il figlio appena svezzato al servizio nel tempio di Dio. Ma anche noi sapremo offrire la nostra vita e le vite delle nostre famiglie al Dio della vita?

Ufficio liturgico nazionale

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Lunedì 31 dicembre 2012

La grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta.

Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.

Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.

Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.
Gv 1,1-18

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Martedì 1 gennaio 2013

Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace

Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro: Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò».
Nm 6,22-27

Mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio
Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio.
Gal 4,4-7

Maria custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore
In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.
Lc 2,16-21

Beato chi custodisce i suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore Sal 119,2
I pastori vanno a cercare il bambino, ma esso risulta accessibile solo attraverso Maria e il suo sposo. Non è possibile arrivare a Gesù, se non passando attraverso la madre, almeno finché egli è piccolo: ma quando, una volta cresciuto, egli sembra respingerla, in realtà rimanda a lei: “chi ascolta le mie parole e le mette in pratica, questi è mio fratello, sorella, madre”. E noi sentiamo riecheggiare le parole di Elisabetta: Beata colei che ha creduto: colei che ha saputo ascoltare, e in cui sono divenute realtà le parole di Dio. Non si arriva a Gesù quindi se non avendo la stessa fede di Maria, colei che accoglie la parola, crede, genera nella fede, e poi permanentemente custodisce nel cuore. Con discrezione l’evangelista mette in evidenza un atteggiamento costante della madre di Gesù, che non cessa, per così dire, la sua gravidanza spirituale: la parola divina ha preso dimora in lei, e continua ad abitare in lei anche dopo la nascita del figlio. Il dialogo intrapreso con l’angelo non cessa con la sua partenza, ma prosegue nelle concrete esperienze della vita. Maria continua ad interrogarsi e a lasciarsi interrogare dalle grandi opere di Dio. Prendono dunque un nuovo significato le parole dell’antichissima benedizione che troviamo nel libro dei Numeri (I lettura): per gli antichi essa era presagio di fecondità e successo, di frutti della terra e abbondanza di bestiame, di una vita serena e vissuta nella pace con la propria famiglia; all’inizio dell’anno giustamente riprendiamo le stesse istanze, e ci auguriamo gioia e serenità; ma la maternità di Maria, custode permanente della parola divina, ci indica la via di una ulteriore, differente visione del successo, non appiattita sulla visibilità esteriore. Noi cerchiamo e ci auguriamo anche la capacità di compiere la volontà di Dio, di resistere nelle difficoltà, di restare fedeli anche quando tutto fuori sembra congiurare contro. Perché solo da chi resiste nella fedeltà può dirsi realmente costruttore di pace. Giustamente in questa data si celebra la giornata mondiale della pace: al termine dell’ottava del Natale si ricorda che la possibilità di un nuovo inizio è data a tutta l’umanità. La Chiesa, madre e sposa, generando al mondo costruttori di pace a immagine del Cristo, la rende più accessibile per tutti. Anche i pastori che contempliamo nel vangelo, pur non essendo né ricchi, né potenti, né importanti, diventano testimoni della buona notizia, diffusori del vangelo, a loro modo portatori di pace. Non è la pace dei potenti, costruita sui trattati, incentrata sugli equilibri del terrore, continuamente minacciata dalla menzogna e dalla falsità. È la pace desiderata e costruita da umili famiglie, come quella di Maria e Giuseppe, che trasmettono ai figli i loro valori e invocano da Dio la salvezza. Nel vangelo vediamo Gesù circonciso, secondo la legge, e chiamato con il nome stabilito dall’angelo. Lo vediamo dunque in tutto sottomesso alle usanze umane e alla legge divina osservata dal suo popolo. Ma il suo nome, che significa salvatore, indica che il tempo della schiavitù è finito. Nel suo nome a tutta l’umanità è offerta la possibilità di uscire dalla schiavitù, per entrare nella dignità dei figli (II lettura). Una dignità che nessuna oppressione, nessuna persecuzione, nessuna forzatura esterna può togliere. Ma anche una dignità che può essere perduta, se non viene custodita con attenzione, se viene identificata con il potere o con il denaro. Ma noi ci fidiamo davvero di questa parola? La custodiamo nei nostri cuori? Ne proponiamo un’immagine credibile al mondo?

Ufficio liturgico nazionale

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Mercoledì 2 gennaio 2013

Sono voce di uno che grida nel deserto

Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora; «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa». Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Gv 1,19-28

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Giovedì 3 gennaio 2013

Ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

Gv 1,29-34

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Venerdì 4 gennaio 2013

Che cosa cercate?

In quel tempo, Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro -, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

Gv 1,35-42

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Sabato 5 gennaio 2013

Come mi conosci?

In quel tempo, Gesù volle partire per la Galilea; trovò Filippo e gli disse: «Seguimi!». Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro. Filippo trovò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret». Natanaè gli disse; «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi». Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero dei fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!». Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».

Gv 1,43-51