Torino – 23 gennaio 2013 – Mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, ha invitato i giornalisti e gli operatori dei media
per ricordare il loro patrono san Francesco di Sales. L’appuntamento si è svolto ieri, martedì 22 gennaio 2013. L’Arcivescovo ha proposto un incontro di riflessione, dialogo e preghiera che si è tenuto nel seminario metropolitano, in via XX Settembre 83, con inizio alle ore 12. Di seguito, il testo completo l’intervento. dell’Arcivescovo e una breve intervista.
INTERVENTO DELL’ ARCIVESCOVO DI TORINO, MONS. CESARE NOSIGLIA, ALL’INCONTRO CON I GIORNALISTI IN OCCASIONE DELLA FESTA DI S. FRANCESCO DI SALES, LORO PATRONO
(Torino, Seminario Metropolitano, 22 gennaio 2013)
A tutti voi, grazie della vostra partecipazione. È, questo, un momento importante di dialogo e di confronto sereno e costruttivo per conoscerci meglio e stabilire un raccordo da cui trae vantaggio la verità della comunicazione e la serietà della vostra professionalità.
Mi pare che possiamo dirci soddisfatti del rapporto tra voi giornalisti e la Diocesi, grazie anche al clima, che si è venuto consolidando, di dialogo e di incontro tra l’Ufficio di Comunicazioni sociali e le vostre varie testate.
Oggi, la comunicazione è uno dei veicoli principali non soltanto per un’informazione corretta, ma prima ancora per trasmettere messaggi e contenuti di valore positivo e che aiutano la civile convivenza tra le persone, i gruppi e le realtà sociali, compresa dunque la Chiesa e le sue attività e insegnamenti. Per questo, il lavoro del giornalista deve assumere una funzione educativa anche sul piano dell’informazione.
La dottrina sociale cristiana ha più volte sottolineato come nella comunicazione non si debba mai perdere di vista, insieme al rispetto della verità, l’attenzione alla centralità della persona in tutti i suoi aspetti di dignità e di promozione integrale. Il servizio alla persona e al bene comune è una delle finalità proprie della comunicazione, insieme alla formazione etica dell’uomo nella sua crescita culturale e interiore. “La persona prima della notizia”: che cosa significa, dunque?
Significa che occorre tenere in considerazione la dignità, il valore e comunque il rispetto di ogni persona – tanto più quando si tratta di minori – prima di lanciare messaggi e informazioni che possono giudicarla e presentarla in modo sbagliato o distorto (la successiva rettifica risulta molto difficile, quando ormai la gente si fosse fatta un’idea che di fatto risultasse sbagliata o parziale).
Si parla molto di privacy, ma in realtà non è facile stabilire un confine tra il diritto di informare e il diritto della persona di essere salvaguardata da distorsioni o dileggi, che portano poi a un giudizio formulato sulla stessa dai mass-media. L’immagine che ne risulta, una volta lanciata, resta come vera e definitiva. Di fatto, i media rischiano di andare oltre un corretto compito di informazione e assumono quello di creare gli eventi e di indirizzare l’opinione pubblica su strade indotte da valutazioni o impostazioni di parte. Vale anche per i media la regola che non tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche eticamente praticabile.
Quando si tratta di minori, tutto ciò è aggravato dal fatto che gli adolescenti non sono in grado di difendersi o di rispondere adeguatamente alle notizie che li riguardano e ne restano succubi, con grave danno alla stima di se stessi, di cui hanno bisogno.
Dunque, attenzione e anche qui professionalità, per non cadere nella trappola dello scoop, da cui ci si deve invece difendere, pur favorendo una informazione corretta, onesta e vera sui fatti, ma senza esprimere giudizi affrettati e superficiali, o senza puntare al sensazionale per motivi di ascolto o di audience.
Sempre pensando ai minori, poi, dobbiamo constatare come la nostra società stia perdendo sempre più i principî basilari che derivano dalla civiltà romana e hanno sempre costituito il fondamento della cultura cristiana e del diritto: «Maxima debetur puero reverentia» (al fanciullo va riservato il massimo rispetto). E così il Vangelo ci ricorda la frase di Gesù: «Guai a chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli: sarebbe meglio per lui che si mettesse una macina di asino al collo e si gettasse nel mare» (cfr. Lc 17,2). Frase durissima, la più dura del Vangelo, che indica come sia eticamente indispensabile seguire il massimo di garantismo possibile quando si tratta di coinvolgere minori anche nel circolo mediatico.
Qui si aprirebbe una serie di considerazioni circa spettacoli televisivi, Internet, uso dei telefonini, che tanti minori adolescenti adoperano spregiudicatamente con scarsa o alcuna remora e controllo da parte dei genitori e degli adulti in genere. È un nuovo mondo che i minori conoscono meglio dei loro educatori e dunque sanno usare con scaltrezza e abilità, ma che può condurli su vie rischiose e “drogate” da messaggi devastanti per la loro crescita umana ed etica. È una nuova dipendenza che riguarda non solo i minori.
I media dovrebbero reagire a questo, denunciando con forza chi sfrutta questo mercato a scapito dei minori e richiamando la necessità di salvaguardare la persona e la libertà interiore dei ragazzi.
Va tenuta presente anche la necessità di andare oltre i fatti e saper far emergere da essi le ragioni e le cause che spesso stanno a monte e hanno condotto a quelle conclusioni tragiche o comunque riprovevoli circa le notizie riportate. Oggi ci sono un degrado del costume sociale e una debolezza etica nei comportamenti e nelle scelte delle persone, per cui tutto è permesso e ciò che si può fare o si ha voglia di fare diventa la nuova regola della morale individuale.
Ci sono, poi, circostanze in cui la persona viene strumentalizzata per fini diversi da se stessa, per colpire una intera categoria (come spesso avviene per i preti o religiosi). In tal caso, si ingenera l’idea che tutta la categoria sia condannata da quel fatto o crimine o posizione che riguarda invece uno di loro. È, questo, un altro problema delicato e complesso, ma che esige anche qui onestà professionale e competenza, per indirizzare il pubblico – sempre pronto alla gogna mediatica o all’esaltazione del personaggio – a comprendere la reale portata dei fatti che riguardano il protagonista della notizia e la sua specifica posizione, perché gli atteggiamenti e il modo di comportarsi della generalità dei suoi colleghi è sempre molto differente.
Anche i media entrano ormai prepotentemente nella questione antropologica e dunque in quel nuovo assetto di uomo, che si sta delineando mediante la scienza e la cultura. Se gli operatori dei media perdono un solido ancoraggio a una coscienza professionale di tipo etico e sfuggono alla fedeltà al vero bene comune, finiscono per tenere sempre meno conto della centralità e inviolabilità della dignità umana e rischiano di incidere negativamente sulle scelte e comportamenti della persona, limitandone o stravolgendone la vera libertà e rendendola succube dei poteri forti, ideologici, politici, economici e culturali che siano. Parlo della necessità di una “info-etica”, così come c’è la bio-etica.
Inoltre, è un dato di fatto che spesso la comunicazione incoraggia o insegue la cultura del relativismo e del materialismo pratico, per cui la persona vale per quello che possiede e non per la verità che ha in se stessa, e la comunione con gli altri diventa secondaria rispetto al bene-essere individuale.
In sintesi, il problema di fondo sta sempre nel servizio e nella ricerca della verità che deve animare l’operatore dei media. Solo la verità rende liberi davvero. Cristo è per noi questa verità che ci fa liberi e dunque è a lui che ogni operatore dei media deve guardare come modello e via per servire l’uomo nella verità. Questo diventa il cuore della sua professionalità anche laica e l’atto di amore più grande che può compiere nel suo servizio agli altri.
Cari amici,
esprimo in questo momento di crisi la più viva solidarietà a tanti di voi che operano dentro un quadro di riferimento contrattuale precario o comunque stanno entrando in situazioni di grave preoccupazione per la continuità del posto di lavoro stabile. È un problema che sta allargandosi sempre più e tocca anche i giornali e mass-media ecclesiali. Il calo delle vendite e della pubblicità e la carenza di sostegni pubblici comportano per i giornalisti un conseguente restringimento di posti o condizioni di lavoro sempre più precarie, se non la cassa integrazione e la conseguente spesso inevitabile mobilità. Mi auguro che si trovino vie alternative a tutto ciò e subentri quell’impegno di solidarietà effettiva, che applichi il principio di lavorare meno ma lavorare tutti, che rappresenta un confine invalicabile cui ci si dovrebbe attenere da parte di ogni componente. Mi preoccupano poi i giovani, che spesso si avvicinano a questo lavoro con entusiasmo e buona preparazione, ma trovano un clima ben diverso da quello che forse si aspettavano. Clima fatto di arrivismo e scarsa attenzione alla persona e alle sue qualità anche professionali, poco incline a cedere spazi di potere acquisito e chiuso dentro un individualismo di casta in cui è molto difficile entrare serenamente e liberamente, da membro riconosciuto e apprezzato per quello che si è e si fa, e non per altri motivi molto meno nobili e giusti.
L’etica di cui si parla nella professione dell’operatore dei mass-media va anzitutto vissuta e sperimentata all’interno delle redazioni e nei rapporti tra colleghi, dentro l’ambiente di lavoro e nelle relazioni meno formali o subdolamente acquiescenti, ma in realtà non esenti da invidie e gelosie malcelate. «Il vostro parlare sia “sì, sì” oppure “no, no”, perché il di più viene dal Maligno» ammonisce il Vangelo (cfr. Mt 5,37). Tale sia il vostro comportamento, cari amici, perché anche se questo non paga in immediati vantaggi personali, paga un profitto altissimo da parte della propria coscienza. E alla fine, questo è ciò che conta di più in termini di onestà e di professionalità che vi è richiesto.
Grazie e buona festa.
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Breve intervista all’Arcivescovo di Torino mons. Cesare Nosiglia: 2012gen22_MonsNosiglia
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Twitter @FilippoTesio