Torino – 24 gennaio 2013 – Di seguito il testo dell’omelia dell’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, che ha presieduto, in cattedrale, la celebrazione della messa per il decimo anniversario della morte del sen. Giovanni Agnelli.
OMELIA DELL’ARCIVESCOVO DI TORINO, MONS. CESARE NOSIGLIA, ALLA MESSA PER IL DECIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DEL SEN. GIOVANNI AGNELLI
(Torino, Cattedrale, 24 gennaio 2013, pronunciata ore 11,25 circa)
«Cari fratelli e sorelle,
a dieci anni dalla morte dell’Avvocato Giovanni Agnelli ci ritroviamo insieme alla sua famiglia a pregare per lui. Il ricordo dei nostri defunti è un momento molto delicato non solo per coloro che hanno condiviso con loro la vita in maniera molto intima, ma anche per chi ha beneficiato della loro amicizia, del loro insegnamento e della loro opera. I cristiani credono fermamente nella resurrezione dei morti e questa fede indica il senso autentico della vita che è la definitiva comunione con Dio. È per questo motivo che il ricordo dei defunti può andare al di là del pur importante “fare memoria” delle azioni da loro compiute, celebrando il fatto che la vita definitiva ha il suo compimento nell’incontro con Dio secondo la misura della Sua misericordia che, attraverso il dono gratuito della vita del Figlio Gesù, ha vinto la morte.
I brani della Scrittura che abbiamo appena ascoltato ci offrono l’opportunità di riflettere sul valore delle persone che ci hanno preceduto e sul modo con il quale hanno cercato di mettere a frutto i doni a loro volta ricevuti. Il libro del (Sir 44,1.8.10-15) Siracide fa memoria degli uomini illustri che hanno contribuito al cammino del popolo d’Israele rimanendo sempre in ascolto della voce di Dio. L’autore si esprime dicendo che «questi furono uomini di fede e le loro opere giuste non sono dimenticate» (Sir 44,10). Questa affermazione non deve riportarci ad un’idea di perfezione delle persone che non sarebbe realistica, pensando agli stessi uomini di Dio di cui parla il testo, ma al graduale sforzo che accomuna tutti nella ricerca del bene e nel miglioramento di se stessi come uomini e donne in cammino anche nella fede. È bello pensare che a queste condizioni le opere, qualunque esse siano, non saranno dimenticate non tanto dai propri simili, ma da Dio! Questo fatto può essere per tutti noi fonte di grande consolazione per il destino eterno dei nostri cari: «I loro corpi furono sepolti in pace, ma il loro nome vive per sempre» (Sir 44,14): questa è la speranza che ci accomuna e che oggi testimoniamo in questa celebrazione nel ricordo dell’Avvocato Giovanni Agnelli.
Pur non avendo avuto la possibilità di conoscerlo da vicino, ho potuto apprezzarne le qualità di imprenditore e di uomo, attento protagonista delle vicissitudini del nostro Paese. A due anni dal mio ingresso come Arcivescovo di Torino, percepisco con chiarezza le tracce, ancora oggi presenti, del suo lavoro e dello stile che ha impresso alla sua azienda e alla stessa Città di Torino, che ha reso, alla guida della Fiat, famosa in tutto il mondo. È importante, a dieci anni dalla sua morte, manifestare anche pubblicamente i sentimenti di riconoscenza per quei frutti che possiamo cogliere ancora oggi dal suo lavoro, che si uniscono a quelli di cui solo i familiari sono custodi.
La parabola dei talenti, che abbiamo ascoltato dal Vangelo, ci riporta alla realtà vissuta da ogni uomo: quella dimensione di gratuità che si manifesta nel mettere a disposizione le proprie qualità e conoscenze per il bene comune. Secondo il racconto di San Matteo (Mt 25,14.30), la persona che scava una buca e nasconde il suo talento per riportarlo al padrone al suo ritorno è degno di rimprovero, ma anche di pietà perché non ha compreso che la vita va “rischiata” per un bene maggiore, che non immediatamente è quello economico. Il bene più grande è la relazione con Dio e con gli altri.
Richiamo questo fatto perché, come ha vissuto nella sua attività di imprenditore l’Avvocato Giovanni Agnelli, le dinamiche di gestione di un’impresa sono basate su una rete preziosa di relazioni, che scaturisce anche dal mettere a disposizione i propri talenti con generosità e spirito di solidarietà. Nessuno può salvarsi da solo e questo fatto non riguarda solo la salvezza eterna, ma anche quella terrena. Uno dei talenti più evidenti dell’Avvocato era proprio questa continua sua ricerca di intessere relazioni a tutti i livelli, non solo quelle legate alla sua impresa, ma anche in diversi altri settori culturali, partendo da una relazione fondamentale che riguardava la Città di Torino, alla quale ha sempre dimostrato grande attenzione, ritenendo, già in tempi non così fortemente globalizzati, che il futuro dell’azienda torinese risiedesse proprio nel radicamento sul territorio e nella sua internazionalizzazione.
I tempi difficili, che anche a lui non sono mancati, sono stati affrontati pensando all’importanza di intessere un fecondo raccordo con altri imprenditori, come Presidente di Confindustria, ma anche con lo stesso mondo sindacale che insieme a tutte le altre parti sociali ha vissuto e vive tuttora una stagione di profondo cambiamento. Questo autentico senso di apertura e di responsabilità sociale d’impresa lo ha anche portato a considerare ogni lavoratore e la sua famiglia un fattore portante della produzione, proponendo un modello di welfare aziendale che ancora oggi, insieme ad altri esempi straordinari nati in Piemonte, ritorna di grande attualità. L’innovazione non ha riguardato così soltanto il prodotto, ma anche tutto ciò che gravita attorno all’organizzazione della produzione, a partire dalle persone.
Certamente un merito, circa il quale tante persone con le loro famiglie gli devono profonda riconoscenza, è di avere creato sul nostro territorio, in particolare attraverso importanti azioni formative per i più giovani, nuove opportunità di lavoro. È questo oggi un richiamo per tutti coloro che possiedono questo “talento”, fatto di risorse e opportunità e sono chiamati a metterlo a disposizione per il bene di tutti, ricercando vie innovative e coraggiose per riportare quella speranza nel futuro di cui non solo la nostra Città, ma l’intero Paese ha bisogno.
L’Avvocato Agnelli ha speso la parte conclusiva della propria vita a lottare, con tutte le sue forze e la sua intelligenza, per difendere non solo la sua fabbrica, ma tutto quanto essa rappresentava per Torino e per l’Italia. Aveva chiara la consapevolezza che, in un mondo globalizzato, non si trattava solamente di custodire una bandiera, un simbolo: ma di salvaguardare il fitto e articolato patrimonio di attività che una società divenuta grande nel mondo aveva accumulato nei decenni. Era ben consapevole che ogni segmento del lavoro e della presenza della Fiat venivano “moltiplicati”, in un reticolo di attività indotte, soprattutto nel territorio torinese. E che era il “sistema Torino” nel suo insieme a dover essere tutelato e promosso. Al di là delle scelte compiute all’interno delle strategie aziendali, credo vi siano almeno due gesti di Giovanni Agnelli che qui vanno ricordati: lo sforzo per conquistare a Torino la designazione per le Olimpiadi invernali; e la costituzione della Facoltà di Ingegneria dell’Autoveicolo presso il Politecnico. L’uno e l’altro gesto, pur così diversi, mi sembra appartengano alla medesima consapevolezza: quella della necessità di continuare a “costruire futuro” per la sua città.
In un tempo come quello attuale, in cui le sfide riguardano tutti e si presentano complesse particolarmente nel campo del lavoro, è necessario che ognuno metta a disposizione i propri talenti come risorse da “trafficare” insieme a quelli degli altri. La difesa degli interessi particolari non è lo stile di coloro che, come ci ha ricordato la Scrittura, permetteranno a distanza di tempo di essere ricordati con riconoscenza, come oggi facciamo con l’Avvocato Giovanni Agnelli. Qui, più che altrove, ognuno è chiamato a dare il meglio di se stesso, perché più forti e drammatiche sono oggi le esigenze di chi chiede aiuto immediato, ma anche di chi aspira legittimamente a costruire un avvenire che non sia fatto né di assistenza, né di sussistenza.
Lo dico con chiarezza a quanti sono responsabili in ambito politico, economico e sociale: Torino sta affrontando la crisi con responsabilità, intraprendenza e solidarietà. La città, che tanto ha dato a questo Paese, oggi ha bisogno non solo di maggiori risorse economiche per investimenti produttivi e sociali, ma anche di affetto e di attenzione, di “simpatia” e di intelligenza, per essere accompagnata a crescere di nuovo in una delle svolte più delicate della sua storia. Tra i talenti da far fruttificare, la fede nel Signore Gesù, pur non ostentata, ma vissuta concretamente sul piano etico e civile, può essere quel collante che anche oggi ci può accomunare nel ricordo e nel desiderio di “meritare” tutto ciò che abbiamo ricevuto da coloro che ci hanno preceduti, per contribuire a costruire quel futuro di progresso a cui aspiriamo e di cui ognuno deve sentirsi responsabile.
Ecco perché, di tutte le parole dell’avvocato Agnelli, vorrei riportare qui una sola piccola frase, catturata dal giornalista Enzo Biagi nella biografia che gli dedicò: «Mi piace il vento – diceva l’Avvocato – perché non si può comprare». Sì, il soffio di vita e di forza dello Spirito di Dio per cui esistiamo e agiamo ogni giorno non è nostra proprietà: resta un dono gratuito che, se accolto e gestito con fedeltà e onestà, garantisce il bene comune e un futuro sereno per tutti, oltre al profitto più grande che è la vita eterna.
Oggi è ancora vivo il ricordo, nei familiari dell’Avvocato come per l’intera Nazione, del momento straordinario vissuto da tanti lavoratori e persone semplici della nostra Città che si sono radunati per l’ultimo saluto il giorno del suo funerale, con quello stile raccolto e autentico che ben conosciamo. Nella speranza del Signore Risorto, vogliamo rinnovare idealmente questo gesto che ha significato il profondo legame che esiste fra la famiglia e la nostra Città e che ci auguriamo sia sempre confermato.
Sia la Vergine Maria, di cui l’Avvocato Agnelli era particolarmente devoto, Consolatrice dei suoi familiari e dei tanti che sentono il vuoto più vivo lasciato dalla sua partenza da questo mondo; ma chiediamo anche a Lei che ci accompagni in questo tempo ricco di sfide e di speranza per la nostra Città e il nostro Paese, perché sappiamo fare tesoro delle intuizioni e dell’impegno in particolare di coloro che si sono prodigati per promuovere il lavoro come elemento essenziale per la realizzazione di una società più giusta e solidale
+ Cesare Nosiglia
Arcivescovo di Torino»
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