Torino – 11 marzo 2013 – L’Arcivescovo di Torino Mons. Cesare Nosiglia ha introdotto i lavori della Conferenza Episcopale Piemontese (CEP) con una riflessione sull’attuale situazione sociale ed ecclesiale: l’attesa per l’elezione del nuovo Papa, l’incertezza per la politica italiana. Ma si propone anche un forte richiamo alla speranza, nella prospettiva della Pasqua. Ecco il testo.
Cari confratelli della Conferenza Episcopale Piemonte e Val d’Aosta, abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo in queste settimane giorni intensi di avvenimenti che hanno suscitato nei nostri fedeli un clima di incertezza, rassegnazione, preoccupazione e senso di vuoto per il futuro.
Alla crisi economica e sociale che ormai da troppo tempo ci mette alla prova si sono aggiunti fatti sconvolgenti e situazioni impreviste: dalla rinuncia al sommo pontificato di Benedetto XVI ai risultati delle elezioni politiche, che hanno evidenziato con forza fenomeni nuovi. So bene che si tratta di fatti ed eventi completamente diversi tra di loro: ma credo anche che, nelle nostre coscienze come nell’informazione che riceviamo ogni giorno, tutte queste «novità» finiscano per risuonare insieme, contribuendo alle sensazioni di incertezza o disorientamento. Non ho alcun titolo per esprimere giudizi o previsioni sulle vicende politiche italiane anche se ritengo doveroso, come vescovo e come cittadino, chiedere ai responsabili della politica di agire nella prospettiva del bene comune, cercando dunque rapide e credibili soluzioni per affrontare le sempre più complesse e difficili condizioni del nostro Paese.
Per quanto riguarda la vita della Chiesa vorrei invece condividere qualche breve riflessione. Da sempre i momenti cruciali della comunità cristiana sono segnati da una grande attenzione popolare, che tocca tutte le persone, ben al di là del «recinto» dei credenti. Non possiamo dunque spaventarci né stupirci troppo se, in tempi di globalizzazione, anche le vicende del Conclave diventano «oggetto di dibattito» nell’infinita serie di parole e immagini che popolano la Rete e i mass media di tutto il mondo. Ma abbiamo sì il preciso diritto e il dovere di indignarci e di protestare, facendo sentire in ogni modo la nostra voce, quando la verità dei fatti viene stravolta ad arte e le persone strumentalizzate o «processate» da chi non ha alcun titolo per esercitare giustizia. Abbiamo il diritto di ricordare che i cammini, le procedure, la storia della Chiesa non sono stati né scritti né inventati oggi dai mass media.
Ciò va ricordato con chiarezza ai nostri fedeli invitandoli a interrogarsi seriamente sul senso della nostra fede e sulla appartenenza alla Chiesa di Cristo. Ci sono verità della storia che non c’è motivo di nascondere; c’è un’etica che deve essere rispettata e, dove il caso, ristabilita. Ma c’è anche un mistero profondo, che risiede nel cuore stesso della fede, che va avvicinato con rispetto, e custodito gelosamente. Se non coltiviamo questo «patrimonio», inevitabilmente sarà il mondo a dirci quali sono le «regole» e i comportamenti da seguire: ed allora essa sarebbe ben morta in se stessa! Invece, le ragioni profonde della nostra speranza stanno nella verità più alta verso cui tutti siamo in cammino. Ed è proprio nei momenti più difficili che siamo chiamati a ricordarlo e a testimoniarlo: semplicemente, serenamente. Perché a questo ci obbliga la nostra coscienza di buoni cristiani e perciò di «onesti cittadini».
Quando Gesù piange su Gerusalemme (Luca 19, 41-44) siamo abituati a pensare al Signore come a un giudice che si commuove di fronte a un destino già scritto. Dovremmo invece considerare che il «nostro» destino sulla Terra è ancora da compiersi nel tempo, si costruisce qui e ora ed è, prima di tutto, nelle nostre mani; così come la nostra salvezza, in questa vita e nell’eternità, dipende prima di tutto da noi. Perché siamo profondamente liberi, e perciò amati da Dio come figli.
Un prete torinese, Franco Delpiano, morto 40 anni fa dopo un lungo calvario di sofferenza, ci ha lasciato una frase che sento ancora rimbalzare sulla bocca non solo di chi l’ha conosciuto ma anche di tanti giovani: «Se nonostante tutto siamo ottimisti, è perché Cristo è risorto».
Questa è la certezza della nostra fede, questa è la gioia che ci tiene desti e pronti a vedere in mezzo alle intemperie della storia la luce di Dio che illumina il cammino dei credenti. Sì, quando tutto sembra incupirsi e le tenebre si fanno più oscure, allora alziamo il capo e guardiamo all’alba del nuovo giorno che sta per sorgere. Così da sempre la Chiesa si è comportata e ha lanciato in avanti guidata dallo Spirito il suo cammino, sicura che le cose vecchie sono passate e ne sono ormai nate di nuove.
Detto ciò credo che la preghiera animata dalla speranza si alza ancora più forte e sicura in questi giorni in attesa del nuovo Papa che la Provvidenza di Dio ha in riserbo per la Chiesa e che siamo certi non mancherà di donarci da subito segnali di serenità e di gioia profonda nel cuore. Ci stringeremo come sempre attorno al successore di Pietro, qualsiasi il Signore avrà suggerito ai cardinali e ritroveremo in Lui la roccia e il riferimento di comunione piena del nostro ministero e della unità delle nostre Chiese sotto la sua guida.
+ Cesare Nosiglia
Arcivescovo metropolita di Torino