Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 7 al 13 aprile 2013

Santena – 7 aprile 2013 – Di seguito, alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 7 al 13 aprile 2013, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.
Domenica 7 aprile 2013

Molti segni e prodigi avvenivano fra il popolo

mareMolti segni e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; nessuno degli altri osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava. Sempre più, però, venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne, tanto che portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro. Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti.
At 5,12-16

Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente

Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù. Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese. Mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri d’oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro. Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la sua destra, disse: «Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito».
Ap 1,9-13. 17-19

Il Padre ha mandato me, io mando voi

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Gv 20,19-31

La gioia pasquale non elimina le ferite subìte, ma può farne qualcosa

Il Risorto manifesta la sua presenza nel corpo comunitario guarendo con le piaghe delle sue ferite di Crocifisso l’incredulità di Tommaso (vangelo); mostra la sua potenza nelle guarigioni che gli apostoli compiono sul corpo di molti malati (I lettura); svela la sua presenza vivificante al cuore delle comunità cristiane (cf. Ap 1,13) in un giorno preciso, “il giorno del Signore” (Ap 1,10), la domenica, memoriale della resurrezione nel dipanarsi del tempo e della storia (II lettura). Il vangelo è il libro che è sacramento della potenza di resurrezione del Signore in quanto raccolta di “segni scritti” (Gv 20,30) capaci di destare la fede che conduce alla salvezza (vangelo); Giovanni, l’autore dell’Apocalisse (Ap 1,4.9), riceve il comando di scrivere le visioni e le profezie che diverranno parola indirizzata a ciascuna comunità cristiana e che, letta nell’assemblea, narrerà il Signore della storia e farà regnare le energie pasquali guidando ciascuna comunità nel cammino della conversione (II lettura). Se, andando alla passione, Gesù aveva detto ai suoi discepoli: “Amatevi gli uni gli altri: da questo tutti conosceranno che siete miei discepoli” (Gv 13,35), ora, risorto da morte, Cristo, di fatto, dice: “Rimettete i peccati: da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, abitati dal mio Spirito” (cf. Gv 20,22-23). La remissione dei peccati appare come il segno distintivo della chiesa che testimonia il Risorto, tanto che essa deve trasparire e manifestarsi nell’Eucaristia (cf. Mt 26,28: “Questo è il mio sangue versato in remissione dei peccati”), nell’esercizio dell’autorità (cf. Mt 16,19: l’autorità di sciogliere e legare), nella missione (cf. Gv 20,23). Nel nostro testo la remissione dei peccati non appare un potere giuridico, ma carisma, dono, grazia, tanto che la sua condizione è la ricezione dello Spirito, l’accoglienza del dono dei doni. Il corpo trafitto e glorioso di Gesù narra sinteticamente l’intera sua vita come vita di amore, è corpo narrante che manifesta e parla di ciò che ha vissuto, lo ha fatto rivivere e lo fa vivere: l’agape. Il corpo risorto di Gesù parla di un amore vissuto fino alla fine e di uno Spirito che ha accompagnato tale amore fino a rendere le ferite, le ingiurie e la morte subìta, occasione ulteriore di dono, di amore. L’amore è all’origine della resurrezione. Il corpo risorto di Gesù è corpo narrante vedendo il quale si vede altro e oltre: si vede l’amore del Padre, si vede l’amore con cui il Figlio ha vissuto il tradimento di Giuda e il rinnegamento di Pietro così come le violenze dei soldati e le ostilità delle autorità religiose. Il corpo risorto di Gesù è il corpo che narra la capacità di fare del male subìto un dono. Ed è corpo che chiede alla chiesa di divenire essa stessa corpo narrante, corpo che narra la misericordia di Dio e la sua capacità di perdono e di remissione dei peccati. La manifestazione del Risorto suscita la gioia dei discepoli (cf. Gv 20,21) realizzando così la promessa di Gesù: “Voi ora siete nella tristezza, ma io vi vedrò di nuovo e il vostro cuore gioirà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia” (Gv 16,22-23). La gioia pasquale, la gioia cristiana, la gioia che niente e nessuno può togliere, non elimina le ferite e le sofferenze subìte ma, innestandole per fede in Cristo, può farne – evangelicamente – qualcosa: non un motivo di rivalsa o di vendetta, ma di perdono e di amore, e così realizza la “giustizia superiore” (Mt 5,20). La fede nel Risorto nasce in Tommaso passando attraverso la conoscenza delle ferite che Cristo porta nel suo corpo. E attraverso la presa di coscienza del fatto che egli stesso non è estraneo a tale opera di trafittura: Gesù gli chiede di prendere contatto con le sue ferite! La fede pasquale nei cristiani non può nascere se non passando attraverso la presa di coscienza delle ferite che si provocano nel corpo di Cristo che è la chiesa, che si infliggono alle sue membra, i fratelli e le sorelle nella fede. Solo questa fede pasquale è autentica perché accompagnata dal pentimento e dalla conversione del credente stesso.
Comunità di Bose

Smetti di essere incredulo e diventa uomo di fede        

La sera del giorno di Pasqua gli apostoli stavano ancora rinserrati nel cenacolo. Gesù aveva trascorso quasi tutta la giornata con due anonimi discepoli che se ne ritornavano tristi a Emmaus, il loro villaggio. Il Vangelo di questa seconda domenica di Pasqua (Gv 20,19-31) ci riporta alla sera di quel giorno. L’evangelista narra che Gesù, “mentre erano chiuse le porte” del luogo dove si trovavano i discepoli, entrò e si fermò in mezzo a loro. Glielo aveva detto durante l’ultima cena: “Ritornerò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi pure vivrete” (Gv 14,18-19). Ma non avevano capito e comunque non gli avevano creduto. Dalla sera di Pasqua inizia per loro una nuova comprensione di Gesù. Essi vedono un Gesù diverso, risuscitato, anche se è lo stesso di prima: nel suo corpo sono evidenti i segni dei chiodi e lo squarcio della lancia; essi stanno a dire che siamo all’inizio della resurrezione (molti sono ancora oggi i corpi segnati da ferite e da sofferenze che aspettano una resurrezione). Gesù risorto è lì, in mezzo ai suoi per affidare loro la sua stessa missione: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv 20,21). Si tratta di un’unica missione che parte dal Padre e attraverso Gesù si trasmette ai discepoli: è la missione di portare al mondo la pace e il perdono. Fu una sera piena di gioia per quei dieci discepoli: avevano ritrovato il loro Signore. I due di Emmaus, tornati a Gerusalemme a sera inoltrata, aumentarono la letizia di tutti. Non c’era però Tommaso, uomo disponibile e generoso; una volta s’era dichiarato pronto a morire per Gesù, anche se poi era fuggito assieme a tutti gli altri. Quando i dieci gli riferiscono: “Abbiamo visto il Signore!”, Tommaso li fredda con la sua risposta: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò” (v. 25). Dice subito: se non vedo. Poi aggiunge, considerando che anche gli occhi possono tradire (Tommaso non vuole certo far parte della numerosa schiera dei veggenti), una prova fisica anche un po’ brutale: mettere il dito nel foro dei chiodi e la mano nello squarcio fatto nel petto. Tommaso non accetta il Vangelo dei dieci e resta, seppure con le sue ragioni, triste e senza speranza. Dopo otto giorni, proprio come in questa domenica, mentre sono di nuovo insieme e Tommaso sta con loro, Gesù torna. Le porte sono ancora una volta chiuse per paura. Tutti la sentono, anche Tommaso: incredulità e paura vanno spesso insieme. Gesù, dopo aver rivolto ancora una volta il saluto di pace, subito cerca con gli occhi Tommaso, lo chiama per nome e gli si accosta: “Metti qua il tuo dito, gli dice, e guarda le mie mani. Accosta anche la tua mano e mettila nel mio costato; smetti di essere incredulo e diventa uomo di fede” (cfr. v. 27). Tommaso, davanti a Gesù, ancora segnato dalla croce, non può far altro che confessare la sua fede: “Mio Signore e mio Dio!”. E Gesù: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno” (v. 29). È la proclamazione dell’ultima beatitudine del Vangelo, quella che sta a fondamento delle generazioni che da quel momento sino a oggi si uniranno al gruppo degli undici. La fede, da quel momento in poi, non nasce dalla visione ma dall’ascolto del Vangelo degli apostoli. Narra un’antica leggenda che la mano destra di Tommaso rimase, sino alla sua morte, rossa di sangue. Il Signore, quasi raccogliendo la nostra poca fede, esorta ognuno di noi, come fece con Tommaso, a sporcarci le mani nelle ferite degli uomini, ad accostarci alle situazioni martoriate e abbandonate: la nostra incredulità è presa dal Signore e trasformata in amicizia e fonte di pace. L’ascolto del Vangelo e la carità sono la via della nostra beatitudine.
Comunità di Sant’Egidio

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Lunedì 8 aprile 2013

Dio è con noi

In quei giorni, il Signore parlò ad Acaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto». Ma Acaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». Allora Isaia disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele, perché Dio è con noi».
Is 7,10-14. 8,10

Rallégrati: il Signore è con te

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Lc 1,26-38

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Martedì 9 aprile 2013

Dovete nascere dall’alto

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito». Gli replicò Nicodèmo: «Come può accadere questo?». Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro di Israele e non conosci queste cose? In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».
Gv 3,7-15

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Mercoledì 10 aprile 2013

Chi fa la verità viene verso la luce

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
Gv 3,16-21

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Giovedì 11 aprile 2013

Chi crede nel Figlio ha la vita

Chi viene dall’alto, è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza. Chi ne accetta la testimonianza, conferma che Dio è veritiero. Colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito. Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui.
Gv 3,31-36

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Venerdì 12 aprile 2013

Questi è davvero il profeta

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché a vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.
Gv 6,1-15

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Sabato 13 aprile 2013

Sono io, non abbiate paura!

Venuta la sera, i suoi discepoli di Gesù scesero al mare, salirono in barca e si avviarono verso l’altra riva del mare in direzione di Cafàrnao. Era ormai buio e Gesù non li aveva ancora raggiunti; il mare era agitato, perché soffiava un forte vento. Dopo aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Sono io, non abbiate paura!». Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti.
Gv 6,16-21

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