Santena – 9 giugno 2013 – Alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 9 al 15 giugno 2013, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.
Domenica 9 giugno 2013
Tuo figlio vive
In quei giorni, il figlio della padrona di casa [la vedova di Sarepta di Sidòne] si ammalò. La sua malattia si aggravò tanto che egli cessò di respirare. Allora lei disse a Elìa: «Che cosa c’è tra me e te, o uomo di Dio? Sei venuto da me per rinnovare il ricordo della mia colpa e per far morire mio figlio?». Elìa le disse: «Dammi tuo figlio». Glielo prese dal seno, lo portò nella stanza superiore, dove abitava, e lo stese sul letto. Quindi invocò il Signore: «Signore, mio Dio, vuoi fare del male anche a questa vedova che mi ospita, tanto da farle morire il figlio?». Si distese tre volte sul bambino e invocò il Signore: «Signore, mio Dio, la vita di questo bambino torni nel suo corpo». Il Signore ascoltò la voce di Elìa; la vita del bambino tornò nel suo corpo e quegli riprese a vivere. Elìa prese il bambino, lo portò giù nella casa dalla stanza superiore e lo consegnò alla madre. Elìa disse: «Guarda! Tuo figlio vive». La donna disse a Elìa: «Ora so veramente che tu sei uomo di Dio e che la parola del Signore nella tua bocca è verità».
1 Re 17,17-24
Dio mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò
Vi dichiaro, fratelli, che il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo. Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo: perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri. Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco. In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme per andare a conoscere Cefa e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore.
Gal 1,11-19
Il Signore fu preso da grande compassione per lei
In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.
Lc 7,11-17
La compassione è un sentimento forte, robusto, che muove la storia verso il bene
Il Vangelo ci presenta Gesù che cammina per le strade e le piazze della sua terra, seguito dai discepoli e da molta folla. È una scena notata spesso dagli evangelisti. Questi viaggi di Gesù non sono spostamenti compiuti per propria soddisfazione, oppure per scoprire cose nuove o comunque per soddisfare propri interessi. Gli evangelisti notano, fin dall’inizio della vita pubblica di Gesù, che il motivo di questo suo camminare per le strade degli uomini nasce dalla “compassione” per le folle “stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore” (Mt 9, 36). Per questo, nota Matteo, egli: “Percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e infermità” (Mt 9,35). Nel brano del Vangelo di Luca, ascoltato in questa domenica, vediamo Gesù che si avvicina alla cittadina di Nain. Giunto alle sue porte incrocia un altro corteo: è una folla di gente che accompagna al cimitero una povera vedova che ha perduto l’unico suo figlio. Gesù non passa oltre, non prosegue per la “sua” strada come magari facciamo noi, oppure, come accade talora, ci fermiamo in attesa che il corteo passi e poi continuiamo per la nostra meta. Gesù, guarda quel corteo e vede quella vedova che piange disperatamente per la perdita dell’unico figlio. E si ferma. È preso da una forte “compassione”. Il termine “compassione” lo abbiamo come depotenziato; è divenuto un sentimento povero, quasi spregevole, non certo forte e vigoroso da spingere a fermarsi e legarsi a chi è nel dolore. Eppure la compassione è il cuore dell’intera vicenda biblica. Tutto nella Scrittura, dalla prima all’ultima pagina, parla della compassione di Dio che ha lasciato il cielo per venire sulla terra incontro agli uomini e salvarli dal potere del male e della morte. Il termine “compassione” nella Scrittura è inteso in maniera forte: è un amore che fa uscire da se stessi per accorgersi degli altri, che porta ad amare gli altri prima di se stessi, che spinge a dare la propria vita per gli altri. Questa è la compassione che muove il Signore e che nell’inviare il Figlio raggiunge il suo culmine. La vicenda della guarigione del figlio della vedova di Zarepta, narrata dal primo libro dei Re, è un segno di quel che sarebbe accaduto nella pienezza dei tempi quando la “compassione” si sarebbe fatta persona in Gesù di Nazareth. Sì, Gesù è il compassionevole, colui che da la sua stessa vita per gli altri. Fin dal libro dell’Esodo vediamo Dio che ha compassione per il suo popolo schiavo in Egitto e decide di “scendere” per liberarlo. Chiama, infatti, Mosé e lo invia dal faraone perché liberi il popolo di Israele. E così continua a fare lungo la storia di Israele inviando di tempo in tempo i profeti. La vicenda di Elia si iscrive in questa storia della compassione di Dio per gli uomini. Con Gesù, che è il compassionevole, la commozione di Dio raggiunge il suo culmine. È una compassione forte e potente. Non si tratta di un sentimento svilito. È facile oggi ascoltare come un’accusa l’essere “buonista”. La compassione è un sentimento forte, robusto, che cambia la vicenda umana, che muove la storia verso il bene, che forza il male e lo sconfigge. È quel che accadde in quel giorno alle porte della città di Nain. Gesù fece fermare il corteo funebre e si rivolse direttamente a quel giovane steso sul suo lettuccio di morte: “Giovinetto, dico a te, alzati!” Quel giovane, all’udire la voce di Gesù, si levò, si mise a sedere sul lettuccio dove era disteso e iniziò a parlare. La parola di Gesù ricrea la vita, fa rialzare dalla disperazione e da una vita come di morte. Perché? Perché quelle parole grondano misericordia, coinvolgimento, compagnia, amore viscerale. È impossibile resistervi. Quel giovane le ascoltò e, seppure era morto, si rialzò. Anche il centurione di Cafarnao disse a Gesù: “Dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito” (Mt 8,8). E così avvenne. La parola di Gesù è forte perché piena di amore e di compassione. L’evangelista non riporta cosa disse questo giovane a Gesù, alla madre, alla folla, e tutto sommato non ci interessa più di tanto. Quel che conta sono le parole di Gesù. Sono queste parole che i cristiani debbono continuare a ripetere con lo stesso amore con cui le ha pronunciate Gesù. Vengono in mente i tanti giovani di oggi abbandonati a se stessi e schiavi dei tanti miti di questo mondo. La loro vita è in balia di miti che li stringono sempre più violentemente nelle loro spire voraci stritolandoli sino alla morte. E quel che impensierisce ancor più è la solitudine nella quale sono lasciati. Chi dice loro le parole del Vangelo? Chi si ferma e li ama come li ha amati Gesù? Chi spende la propria vita per stare accanto a loro con amore compassionevole? Purtroppo la cultura dominante, quella di cui tutti siamo figli, ci spinge a pensare ciascuno ai propri affari. E spesso, anche all’interno delle famiglie, ciascuno è attento solo a se stesso. C’è bisogno di riscoprire la compassione di Gesù che spinge a coinvolgerci on la vita di tutti e particolarmente dei più deboli, dei giovani, dei nostri ragazzi. Hanno bisogno di persone che si commuovano su di loro subito e non solo quando è ormai troppo tardi. Capita anche oggi che in tanti ci raccogliamo attorno alle bare di giovani stroncati violentemente dalla morte. Dobbiamo chiederci se non sia troppo tardi. È urgente parlare ai giovani come faceva Gesù, con l’autorevolezza dell’amore, con l’autorevolezza di chi spende la vita per loro. Queste parole toccano il cuore e fanno rialzare da una vita che altrimenti è come se fosse già morta. Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci spinge metterci ancora una volta alla sequela di Gesù per accogliere in noi il suo amore e poter operare quel che lui stesso ha operato. Lui stesso disse un giorno ai suoi discepoli: “In verità, in verità vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi” (Gv 14,12).
Comunità di Sant’Egidio
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Lunedì 10 giugno 2013
Beati voi quando, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi».
Mt 5,1-12
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Martedì 11 giugno 2013
Predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino
In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli: «Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento. In qualunque città o villaggio entriate, domandate chi là sia degno e rimanetevi finché non sarete partiti. Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi».
Mt 10,7-13
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Mercoledì 12 giugno 2013
Non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento alla Legge
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».
Mt 5,17-19
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Giovedì 13 giugno 2013
Chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».
Mt 5,20-26
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Venerdì 14 giugno 2013
Avete inteso che fu detto… Ma io vi dico…
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio».
Mt 5,27-32
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Sabato 15 giugno 2013
Sia il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno».
Mt 5,33-37
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