Santena – 20 ottobre 2013 – Proposte di riflessione per i giorni dal 20 al 26 ottobre 2013, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.
Domenica 20 ottobre 2013
Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva
In quei giorni, Amalèk venne a combattere contro Israele a Refidìm. Mosè disse a Giosuè: «Scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalèk. Domani io starò ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio». Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalèk, mentre Mosè, Aronne e Cur salirono sulla cima del colle. Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole. Giosuè sconfisse Amalèk e il suo popolo, passandoli poi a fil di spada.
Es 17, 8-13
Rimani saldo in quello che hai imparato
Figlio mio, tu rimani saldo in quello che hai imparato e che credi fermamente. Conosci coloro da cui lo hai appreso e conosci le sacre Scritture fin dall’infanzia: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene mediante la fede in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona. Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento.
2 Tm 3,14-4,2
Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Lc 18,1-8
La “forza debole” della preghiera
Ci avviamo verso la conclusione dell’anno liturgico. È stato un tempo nel quale, di domenica in domenica, siamo stati portati alla contemplazione del mistero di Gesù. Le nostre settimane, i nostri giorni sono stati come lievitati dal fermento della Parola di Dio. Anche in questa domenica, riceviamo questo dono che si innerva nella vita dei nostri giorni. È la breve parabola della vedova insistente: una situazione tipica, non solo negli usi giuridici dell’Antico Testamento. Anche oggi, non di rado, accade che un prepotente si avvalga di cavilli giuridici per strappare a poveri indifesi quel poco che hanno. Il giudice -riprendendo la parabola evangelica- dovrebbe, con imparzialità e tempestività, difendere quella povera donna. Ma il magistrato si comporta esattamente al rovescio: non teme né Dio né gli uomini: “C’era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno” (Lc 18,2). In un certo modo viene rappresentata l’arroganza del potere, che spesso troviamo nella storia degli uomini. Già il profeta Isaia l’aveva denunciata: “Guai a coloro che fanno decreti iniqui e scrivono in fretta sentenze oppressive, per negare la giustizia ai miseri e per frodare del diritto i poveri del mio popolo, per fare delle vedove la loro preda e per spogliare gli orfani, dice il Signore” (Is 10,1-2). A questo punto inizia la storia raccontata dalla parabola: cosa farà la povera vedova in questa situazione di palese ingiustizia? Oltre tutto, nel mondo ebraico, donne come lei erano il simbolo della debolezza, oltre che le più esposte al sopruso. Dio stesso si fa loro difensore; viene infatti invocato con il titolo di “difensore delle vedove”, ormai prive della tutela del marito (Sal 68,6). Questa donna, comunque, non si rassegnò all’ingiustizia, come in genere solevano fare tutte. Era certamente una vittima, ma tutt’altro che rassegnata. Con insistenza, infatti, si recava dal giudice pretendendo la giusta soddisfazione. Non lo fece solo una volta, ma più volte; con tenacia non si stancava di pretendere il giusto, finché quel giudice non si decise a prendere in esame il suo caso. “Disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi”” (vv. 4-5). Così termina la parabola. Importanti sono le brevi conclusioni poste da Gesù. Inizialmente sembrano alquanto sconcertanti, perché pongono in parallelo il giudice della parabola con Dio stesso. Si tratta di un paradosso, usato altre volte nei Vangeli, per togliere dalla nostra mente ogni dubbio: “Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente” (vv. 7-8). Sì, Dio non ci farà aspettare a lungo, farà giustizia prontamente (qualcuno traduce “all’improvviso”, “quando meno te lo aspetti”), se con insistenza rivolgiamo a lui la nostra preghiera. In effetti, i credenti hanno una forza incredibile nella preghiera, un’energia che riesce a cambiare il mondo. Siamo tutti, forse, come quella povera vedova, deboli, senza particolari poteri; eppure questa debolezza, nella preghiera insistente, diviene una forza poderosa; appunto, come per quella vedova che riuscì a intaccare la durezza del giudice. Purtroppo è facile per noi cadere nella sfiducia e nell’incredulità, lasciarsi travolgere dalle cose di questo mondo, dalle nostre ansie, dalle nostre sicurezze, e dimenticare la preghiera. La prima lettura della liturgia, tratta dal libro dell’Esodo (17,8-13), è un esempio incredibile della “forza debole” della preghiera. La Scrittura ci presenta la figura di Mosè con le mani alzate verso il cielo, mentre Israele affronta in battaglia Amalek, nella piana di Refidim. Mosè impersona tutto il popolo in preghiera. Quando lui prega, il popolo di Israele vince, non appena abbassa le mani, subito prevale il nemico. Aronne e Cur intervengono, uno da una parte e l’altro dall’altra, per sorreggergli le mani, fino al momento della vittoria finale. Nella preghiera costante noi credenti possiamo trovare il fondamento per costruire la nostra vita e per edificare la stessa città degli uomini, certi di quanto afferma il salmo 127: “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori” (v. l).
Comunità di Sant’Egidio
La fatica della preghiera
La preghiera come lotta e intercessione (I lettura); la preghiera insistente e che non viene meno (vangelo): questo il tema che unisce prima lettura e vangelo. La preghiera non come opera di forti, ma di deboli: Mosè viene aiutato a sostenere le sue braccia stese nella preghiera; nel vangelo è una povera vedova che si fa soggetto di una preghiera insistente. Deboli resi forti dalla fede e che perseverano nella preghiera. La perseveranza come elemento di verità della preghiera e la preghiera come autentificazione della fede sono altri elementi che arricchiscono la catechesi sulla preghiera contenuta nei testi biblici di questa domenica. L’immagine di Mosè con le mani tese verso l’alto nello sforzo dell’intercessione, aiutato da due uomini che sostengono le sue braccia che diventano sempre più pesanti con il passare del tempo, è una bella immagine della fatica della preghiera. La preghiera è uno sforzo, è opus, lavoro, e come ogni lavoro, è faticoso, per il corpo come per lo spirito. Ma quella immagine indica anche un aspetto della dimensione comunitaria della preghiera. La comunità cristiana non è solo il luogo in cui si è chiamati a pregare gli uni per gli altri, a intercedere, ma anche a porsi a servizio della preghiera dell’altro. Sostenersi e incoraggiarsi nella fede e nella preghiera, è compito richiesto ai credenti nella comunità cristiana. Un aspetto di questa difficoltà della preghiera è il suo divenire quotidiana, il suo essere perseverante, il suo non venire meno. Aspetto espresso nella parabola evangelica (cf. Lc 18,1). La preoccupazione di insistere sulla necessità di pregare sempre, senza tralasciare, è rivelatrice della situazione della comunità cristiana a cui si rivolge Luca: una comunità in cui è ormai presente il fenomeno del rilassamento della fede e della preghiera. A distanza di qualche decennio dagli eventi della vita di Gesù, la comunità conosce fenomeni di mondanizzazione della fede e di abbandono (cf. Lc 8,13). Luca avverte: abbandonare la preghiera è l’anticamera dell’abbandono della fede. Il passare del tempo è la grande prova della fede e della preghiera. La preghiera insistente fa della fede una relazione quotidiana con il Signore. La fatica di perseverare nella preghiera è la fatica di dare del tempo alla preghiera, e il tempo è la sostanza della vita. Pregare è dare la vita per il Signore. La preghiera comporta un confronto con la morte e per questo spesso ci risulta ostica: pregando, non “facciamo” nulla, non “produciamo”, ci vediamo sterili e inefficaci. Ma essa è lo spazio e il tempo che noi predisponiamo affinché il Signore faccia qualcosa di noi. Le parole di Gesù comportano anche un insegnamento sulla dimensione escatologica della preghiera. Alla domanda rivoltagli dai farisei “Quando verrà il Regno di Dio?” (Lc 17,20), Gesù ha risposto nel capitolo precedente (cf. Lc 17,21-37), ma ora completa la sua risposta con una contro-domanda: “Il Figlio dell’Uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8). Non si tratta di porre domande sulla venuta finale, ma di cogliere la venuta finale del Signore come domanda, e domanda che interpella i cristiani sulla fede. A noi che spesso ci chiediamo: “Dov’è Dio?”, “Dov’è la promessa della venuta del Signore?” (2Pt 3,4), risponde il Signore che chiede conto a noi della nostra fede: “Dov’è la vostra fede?” (Lc 8,25). La venuta del Signore non è tema di astratte speculazioni teologiche, ma realtà di fede da viversi e sperimentarsi come attesa e desiderio nella preghiera. La preghiera della vedova che chiede giustizia indica anche gli aspetti di audacia e di determinazione della preghiera. La preghiera non si vergogna di chiedere, non esita a insistere, non cessa di bussare, non teme di importunare. La preghiera esige coraggio. Il coraggio della fede che conduce a non lasciar perdere, a non tralasciare, a non dire: “Non a serve a nulla”. Preghiera e fede stanno in un rapporto inscindibile: credere significa pregare. E se noi possiamo pregare solo grazie a una fede viva, è anche vero che la nostra fede resta viva grazie alla preghiera.
Comunità di Bose
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Lunedì 21 ottobre 2013
Anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede
In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
Lc 12,13-21
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Martedì 22 ottobre 2013
Siate pronti
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!».
Lc 12,35-38
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Mercoledì 23 ottobre 2013
Cercate di capire
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
Lc 12,39-48
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Giovedì 24 ottobre 2013
Sono venuto a gettare fuoco sulla terra
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».
Lc 12,49-53
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Venerdì 25 ottobre 2013
Perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?
In quel tempo, Gesù diceva alle folle: «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: “Farà caldo”, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto? Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all’esattore dei debiti e costui ti getti in prigione. Io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo».
Lc 12,54-59
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Sabato 26 ottobre 2013
Se non vi convertite, perirete tutti
In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
Lc 13, 1-9
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