Santena – 23 ottobre 2013 – E’ morto Alberto Musy, consigliere comunale della città di Torino, in coma da 19 mesi, dopo essere stato ferito in agguato. Gli ultimi mesi di vita terrena Alberto Musy li ha trascorsi nella residenza Anni Azzurri di Santena. Di seguito: il messaggio dell’arcivescovo di Torino mons. Cesare Nosiglia per la morte di Alberto Musy e il lancio dell’agenzia Ansa, battuto oggi alle ore 11:15
In morte di Alberto Musy: fede nella risurrezione, impegno per la giustizia.
L’Arcivescovo di Torino ha diffuso la seguente dichiarazione per la morte di Alberto Musy. In mattinata mons. Nosiglia si era messo direttamente in contatto con la famiglia Musy. Nei mesi scorsi in più occasioni l’arcivescovo aveva visitato l’ex consigliere comunale in ospedale e si era incontrato con la moglie e i familiari. L’Arcivescovo presiederà il funerale lunedì 28 alle 11 nel Santuario della Consolata.
“L’arcivescovo di Torino mons. Cesare Nosiglia e l’intera comunità diocesana esprimono la più viva partecipazione al dolore della famiglia Musy per la scomparsa di Alberto. Uniti nella preghiera di suffragio chiediamo al Signore di illuminare e accompagnare i suoi cari con la luce della fede nella risurrezione, confermandoli in quella speranza nel Cristo risorto in cui Alberto ha sempre creduto. La beatitudine del Vangelo «Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia» ci assicura che Alberto, dopo tante sofferenze, è ora nella quiete di Dio, e partecipa della sua gioia. A noi resta il dovere di ricordarlo e raccogliere la sua testimonianza, per operare insieme affinché il male sia vinto con il bene, la violenza con la riconciliazione, la morte con la vita.
+ Cesare Nosiglia
Arcivescovo Metropolita di Torino”
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AGENZIA ANSA
Morto Musy, ferito in agguato, in coma da 19 mesi
Consigliere comunale era stato raggiunto da tre colpi di pistola nel 2012, da allora era in coma
23 ottobre 2013, 11:15
TORINO – L’aggressore gli sparò contro sei colpi di pistola, per ucciderlo. E se Alberto Musy, avvocato, docente di diritto e consigliere comunale del Terzo Polo, non è morto nell’agguato che gli è stato teso la mattina del 21 marzo 2012, nel cortile del palazzo in cui abitava, lo deve probabilmente al caso. Ricoverato all’ospedale Molinette e sottoposto a un intervento chirurgico durato diverse ore, è rimasto in coma per 19 lunghissimi mesi, fino alla morte che lo ha colto nelle scorse ore.
L’agguato in via Barbaroux, nel centro di Torino, dove Musy viveva con la moglie, Angelica Corporandi d’Auvare, e le 4 figlie. Un uomo, casco integrale da motociclista in testa e lungo impermeabile addosso, aspettò che il consigliere comunale rientrasse a casa, dopo aver portato le bambine a scuola, e gli esplose contro sei proiettili calibro 38. Ferito a un braccio, alle spalle e alle scapole, Musy riportò un voluminoso ematoma nella parte destra del cranio.
“E’ stato un uomo di 40 anni…”, sono le ultime parole rivolte a un vicino di casa da Musy prima di entrare in coma. La notizia dell’agguato scuote gli ambienti politici e culturali di Torino, e non solo, mentre le indagini della polizia non escludono nessuna pista, anche quella del terrorismo. “E’ un episodio inquietante, indaghiamo a tutto campo”, disse l’allora capo della polizia, Antonio Manganelli. Con il passare delle settimane, però, la pista politica perde consistenza. Per dieci mesi, gli uomini della squadra mobile e della scientifica lavorano senza sosta, coordinati dal procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli, in quella che definirà una indagine “mastodontica, gigantesca, lunga, paziente, faticosa, analitica”. A tirare le fila di questo lavoro, Aldo Faraoni, ex questure di Torino. Per il poliziotto investigatore, morto lo scorso aprile per un male incurabile, sarà l’ultima indagine.
La svolta lo scorso gennaio, quando viene fermato Francesco Furchì, 50 anni, origini calabresi, un “faccendiere dall’indole violenta e vendicativa”, come lo descrive il pm Roberto Furlan, che nutriva un rancore profondo verso quell’avvocato cattolico prestato alla politica per essersi permesso, addirittura per tre volte, di non assecondare le sue ambizioni. La prima: l’avvocato si rifiutò di raccomandare Biagio Andò, figlio dell’ex ministro Salvo Andò, alla nomina di professore associato all’Università di Palermo. La seconda: quando Musy si candidò nel 2011 a sindaco di Torino per il Terzo Polo, voleva avere un posto di rilievo in una lista collegata (Alleanza per la Città), ma non lo ottenne e raccolse 57 voti. La terza: Furchì desiderava trovare degli investitori che lo aiutassero a rilevare Arenaways, società che tentava di allestire una rete di trasporto ferroviario privata e Musy non lo appoggiò. Era troppo. “Arenaways era l’affare della sua vita”, dice Furlan. “Non sono stato io, sono innocente”, ha più volte sostenuto Furchì nel corso del processo a suo carico. Questa mattina, ha accolto la notizia della morte di Musy con un lungo silenzio. Poi, alle persone che erano con lui in attesa dell’udienza in cui doveva parlare, mentre il legale della famiglia Musy chiedeva per lui l’ergastolo, un interrogativo inquietante: “Adesso cosa succederà?”.
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