Torino – 20 dicembre 2013 – «Questo Natale è diverso perché diversa è la realtà, anche sociale, con cui abbiamo a che fare; eppure niente e nessuno può e deve espropriarci del Natale come festa di casa, dove la gioia e la relazione tra tutti diventa fonte di speranza, di coraggio e di fiducia nel futuro». Queste le parole di speranza e incoraggiamento con cui mons. Cesare Nosiglia ha accolto i giornalisti e gli operatori dei media per i tradizionali auguri di Natale, oggi venerdì 20 dicembre 2013 in Arcivescovado. L’Arcivescovo ha quindi invitato i presenti a far «emergere le buone pratiche in corso, che sono tante e ci danno un po’ di luce in mezzo a tante tenebre». Di seguito, l’intervento dell’Arcivescovo alla conferenza stampa.
INTERVENTO DELL’ARCIVESCOVO DI TORINO, MONS. CESARE NOSIGLIA, ALLA CONFERENZA STAMPA DI NATALE
(Torino, Arcivescovado, 20 dicembre 2013)
Cari amici,
vi saluto e vi esprimo subito il mio augurio per la festa del Natale così vicina, a voi e alle vostre famiglie. In quest’incontro desidero dialogare con voi su alcuni argomenti che considero importanti e degni della vostra attenzione. Vi offro la Lettera di Natale alle famiglie; il Messaggio di Natale (che leggiamo). Questo Natale è diverso perché diversa è la realtà, anche sociale, con cui abbiamo a che fare; eppure niente e nessuno può e deve espropriarci del Natale come festa di casa, dove la gioia e la relazione tra tutti diventa fonte di speranza, di coraggio e di fiducia nel futuro.
Facciamo dunque emergere le buone pratiche in corso – come si dice –, che sono tante e ci danno un po’ di luce in mezzo a tante tenebre. Non mi soffermo sulle realtà di eccellenza quali il Cottolengo, il Sermig, il gruppo Abele e tante altre promosse da parrocchie, comunità religiose e laicali. Mi soffermo sulle molte famiglie che sono in difficoltà ma vengono sostenute nelle loro ne-cessità da altrettante famiglie e persone che se ne fanno carico.
Il problema casa rappresenta una delle criticità con cui tante famiglie hanno a che fare sempre di più. Ma si stanno moltiplicando i sostegni a queste famiglie da parte degli organismi ci-vili ed ecclesiali. La Fondazione Operti e la Caritas in particolare stanno operando molto e molto bene in questo senso e stanno ricevendo sostegni da parte di tante realtà, sia industriali che di singo-li cittadini, proprio per questo scopo: la Fondazione Musy, ad esempio, che lanciata dalla Signora Angelica ha raccolto già 50mila euro. È un segno di partecipazione della Città e di tanti anonimi cittadini che è stato assegnato a famiglie in difficoltà da parte della Caritas, incrementando il sostegno che già da tempo si sta dando a diversi nuclei. La raccolta ovviamente continua e mi auguro che possa estendersi. V’è poi la decisione dell’Opera Barolo – di cui sono Presidente – di dare il via a un’importante opera di housing sociale, che presenteremo dopo le feste e che rappresenterà una del-le più significative e importanti realtà in questo settore nella nostra città, con i suoi 80 mini appartamenti. C’è anche la struttura dei padri Orionini (casa “D’orho”), che abbiamo inaugurato a otto-bre, la quale dà alloggi a diverse famiglie e universitari fuori sede… Ricordo pure “Casa Mangro-via” per il sostegno psicologico e spirituale, “Casa nonno Mario” per padri in difficoltà familiare e “Casa Amica” che gestisce 26 minialloggi per famiglie provenienti da varie regioni d’Italia e dall’estero bisognose di accoglienza per stare vicino a parenti, bambini, giovani o adulti sottoposti a trapianti negli ospedali torinesi. E infine desidero ricordare la Fondazione “Faro”, che svolge un servizio di hospice – come sappiamo – con l’apporto qualificato di personale sanitario e volontari.
Per i senza dimora sta partendo un momento di ristoro serale che avevo promesso lo scorso Na-tale… Si stanno predisponendo altre mense accanto alle tante già in atto in città e fuori (ne scopro sempre di nuove giorno per giorno). Sottolineo il fatto che nelle mense si incontrano sempre più famiglie intere con i figli, segno della grande difficoltà che hanno anche solo per il mangiare. C’è da ringraziare il Banco alimentare per quanto fa, ma anche tanti supermercati che si prestano a far sì che chi fa la spesa possa dare qualcosa per queste necessità. “La Sosta”, locale molto frequentato, sta andando avanti bene e vogliamo estenderlo anche a un laboratorio di prodotti artistici che tanti di questi amici possono produrre per ricavarne un piccolo reddito. Abbiamo pure intenzione di pensare a un locale per le donne senza dimora, magari con figli. In questi giorni – sabato 21 – li incontrerò di nuovo e sentirò un po’ quali altre necessità mi sottopongono (due anni fa il locale sulla strada aperto a tutti e durante il giorno… lo scorso un servizio serale). Domenica 22, poi, avremo la presenza di 250 poveri al Regio – come già proposto in occasione della festa patronale di San Giovanni a giugno scorso –, per un concerto di Natale. Ringrazio per questo il Sovrintendente e il Sindaco, perché questo sarà il primo appuntamento con il Regio, cui ne seguiranno altri durante l’anno prossimo.
A differenza del 2012-2013 abbiamo molte più parrocchie che accolgono per la notte e lo stesso santuario della Consolata ha dato il via a questo servizio. L’ospitalità si sta allargando dunque sempre più e consente di accogliere circa una sessantina di persone. Andrò a trovare una sera alcuni che dormono per strada, perché al di là delle strutture che accolgono, come la “Bartolomeo e C.”, c’è ancora chi non ne usufruisce. È triste vedere questa situazione nella nostra città. Mi auguro che una realtà del genere possa cessare, con l’apporto di sempre nuove possibilità di alloggio notturno. A Natale comunque rifarò il “Natale con i tuoi” accogliendo tanti senza dimora e poveri in Arcivescovado – dove tra l’altro dormono, come sapete, quattro persone ogni notte. Grazie al Sermig e a Sant’Egidio, mi è possibile fare questo e sono contento e mi auguro che tante famiglie e comunità si aprano a simili concreti segni di accoglienza.
Per i Rom, l’avvio del progetto europeo approvato dal Comune e gestito ora da una cordata di associazioni e realtà che hanno vinto il bando mi pare un bel segno che qualcosa si sta muovendo anche in questo ambito. Il Tavolo Rom che ho attivato da tempo in episcopio ha seguito e segue molto bene il percorso intrapreso.
Per i rifugiati, un segno positivo è stata la concessione della residenza. Nell’incontro che avevo avuto a giugno era stata la più pressante richiesta che è stata accolta ora: mi ero impegnato a ritorna-re a comunicare loro questa bella notizia e lo farò. Speriamo di poter anche attivare tra poco una se-rie di locali che possano accogliere le mamme rifugiate con figli a carico. Le suore Missionarie del-la Carità di Madre Teresa già lo fanno molto bene. Certo, i problemi restano tutti, in specie quello del lavoro ovviamente, e tuttavia questi sono segni di speranza per il futuro.
Vale più un piccolo lavoro che un grande sussidio — Il nostro impegno non si attua solo sul piano della solidarietà, ma tende a sostenere anche i nuovi poveri che sono coloro che perdono il la-voro o non lo trovano. Da qui, l’impegno per la formazione delle nuove generazioni: abbiamo attivato un ottimo raccordo con l’Università e il Politecnico, grazie a una pastorale universitaria rivolta sia ai giovani che ai docenti. E anche su questo versante stiamo lavorando per offrire sostegni agli studenti fuori sede per reperire alloggi a basso costo. La formazione professionale, poi, rappresenta una rete che va sostenuta e potenziata, vista anche la congiuntura che stiamo attraversando. Anche la scuola di formazione socio-politica sta continuando con una buona partecipazione.
I centri di orientamento e avviamento al lavoro e i servizi per il lavoro si stanno moltiplicando anche nelle parrocchie; le borse lavoro, il microcredito, il progetto “Policoro” sono tutte iniziative che impegnano la comunità e le realtà ecclesiali sul versante del lavoro soprattutto dei giovani, per aiutarli a non demordere e a cercare un lavoro anche facendo squadra tra loro e diventando imprenditori di se stessi.
Purtroppo, il lavoro resta la prima emergenza del territorio e la continua moria di aziende è un segnale concreto che la crisi non accenna a diminuire di intensità, pur di fronte a timidi spiragli, che non incidono però più di tanto sul panorama generale, anche se aprono qualche prospettiva che va sostenuta, se si vuole che si allarghi, come è auspicato. Dopo le Feste, mi auguro possa partire pure il previsto servizio di ascolto e accompagnamento di quegli imprenditori che, trovandosi in gravi difficoltà, necessitano di un sostegno psicologico, spirituale e orientativo per non essere lasciati soli.
Agorà del sociale — Aggiungo che abbiamo dato il via al percorso dell’Agorà del sociale, co-me avevo annunziato a San Giovanni. L’Agorà del sociale intende essere uno spazio di riflessione con i diversi soggetti sia intra-ecclesiali che extra, sul tema del “futuro” del nostro territorio, a partire dai bisogni emergenti di chi vive situazioni di povertà e di sofferenza. L’approccio a questa problematica non può avere un taglio assistenziale: come comunità cristiana è necessario andare oltre i pure importanti aspetti solidaristici, che non riescono a sostenere un impegno sociale e politico rettamente inteso, rispondono all’emergenza ma non operano sulle cause delle povertà vecchie e nuove e non diventano un volano di rilancio dell’economia e dei diritti fondamentali di ogni persona nella società. Per cui, il percorso dell’Agorà intende rispondere a una domanda di fondo: quali sono le vie su cui impegnarci in modo prioritario e facendo squadra tra tutte le componenti della società, a cominciare dagli stessi soggetti destinatari dei vari servizi, per ridare slancio a una ripresa economica, culturale, etica e sociale del nostro territorio? Non è più solo questione di rispondere alle emergenze, ma di tracciare i passi del futuro su cui puntare uniti.
L’Agorà dovrà essere un percorso progettuale per stimolare una strategia appropriata per il fu-turo del nostro territorio sia in campo sociale, sia politico e culturale, sia in quello di un rinnovato welfare di comunità. Ciò che interessa è dunque puntare per la ripresa su alcuni impegni prioritari che affrontino e lavorino per superare il gap che si sta sempre più creando tra quelle che ho chiamato “le due città”: gente che sta ancora relativamente bene e che ha cavalcato il cambiamento in atto, ricavandone addirittura vantaggi, e gente sempre più numerosa che dal ceto medio è discesa sotto la soglia della povertà.
L’Agorà procederà per tre fasi: la prima, che è stata avviata in questi mesi e terminerà a febbraio 2014, coinvolgendo nella riflessione e progettazione le realtà intra-ecclesiali, e una seconda con quelle extra-ecclesiali, che sarà avviata nel mese di marzo, proseguendo fino a maggio; la terza sarà il momento assembleare più ampio e intenso (vicino a San Giovanni), in cui tutte le componenti del sociale, ecclesiali e civili, si uniranno per mettere insieme i risultati delle due fasi precedenti e avviare un comune confronto per definire la programmata strategia del futuro. Le fasi si muoveranno sugli stessi binari di indagine e di confronto su alcuni ambiti che ruotano tutti intorno a un punto centrale: come dare vita a un nuovo modello di sviluppo che metta al centro sempre e ovunque la persona e sia basato su stili di vita condivisi di gratuità e fraternità.
Le criticità del momento che vive il nostro Paese sono tante – come sappiamo – e farne l’elenco sarebbe lungo quasi come un bollettino di guerra. Nove milioni di poveri, cinque milioni sotto le soglie della povertà, sette milioni ai margini della vita lavorativa. Il 40 per cento di giovani senza lavoro e tantissimi che non lo cercano più. Riprendono, specie al nord, i viaggi della speranza all’estero, ricresce il consumo della droga e l’illegalità, le mafie rialzano la testa, l’Aids che sembrava scomparso ritorna alla grande… Di tutto questo si parla poco ma di fatto esiste e si amplia sempre più. Non possiamo, né dobbiamo illuderci che presto o poi si tornerà come prima. Il sistema Paese cambierà radicalmente ed è già in atto una trasformazione sistemica finanziaria ed economica di portata mondiale. Preoccupa, in tale contesto problematico, il crescente scollamento e la sfiducia tra la gente verso le istituzioni e i politici. Occorre però rifuggire dal cavalcare l’antipolitica o l’antitutto e tutti, e ritrovare le ragioni di fondo del nostro stare insieme basato su valori e risorse umane, spirituali e civili di sicura garanzia anche per il futuro, come sono l’onestà morale e la giustizia e solidarietà verso le fasce più deboli e povere, e lavorare uniti anche sul piano politico, superando interessi di parte e consensi populisti, per affrontare la trasformazione in atto. I padri costituenti, con la loro pure forte diversità culturale e politica, ce l’hanno insegnano e ci hanno indicato la strada che ha fatto risorgere il Paese dalle rovine della guerra, ha ridato speranza, ha suscitato la responsabilità di tutti e di ciascuna componente e ne ha segnato così il progresso economico, culturale e sociale.
Guardando alla nostra Città, noto che c’è una sofferenza urbana che si innerva negli animi e nella vita delle persone. Una separatezza gli uni dagli altri, un’indifferenza e solitudine che conduce alla disperazione chi deve affrontare problemi concreti come la mancanza di lavoro o lo sfratto di casa… con conseguenze a volte devastanti fino al rifiuto della stessa vita (cfr. Messaggio). Eppure non manca chi va controcorrente e continua a lottare e credere che sia possibile cambiare, non sulle macerie, ma sulla propria responsabilità e con il pagare di persona, se necessario, per ridarsi e ridare speranza. L’Agorà intende far emergere queste persone e realtà positive e propositive, quali esemplari su cui scommettere e per andare oltre la risposta alle emergenze dell’oggi.
Richiamo appena per sommi capi alcune considerazioni fatte nell’incontro che abbiamo avuto di recente sull’Agorà con i responsabili delle 20 realtà ecclesiali più rappresentative sul territorio:
– come aiutare Torino a diventare una città più fraterna dove lo stile di vita di prossimità solidale si espande dai gruppi, realtà di servizi e volontari alle relazioni inter-familiari e di vicinanza: aiutare ogni cittadino a sentire la città come la sua “casa” e non un luogo estraneo;
– tenere in considerazione le ragioni di chi fa fatica e quelle della speranza che esiste comunque nei cuori e nell’azione di tante persone, famiglie, comunità e realtà che operano per gli altri (le “buone prassi”);
– non illudersi che prima o poi tutto ritornerà come prima: la trasformazione del sistema Paese in atto è irreversibile ed esige pertanto nuovi stili di vita personale e sociale;
– dare voce a tanti che vivono in solitudine i loro drammi e per dignità non tendono la mano o non chiedono aiuto ai nostri Centri o parrocchie. Ma dare voce anche a chi non ha voce – e sono tanti, perché su molte situazioni di grave disagio non si parla sui mass media, che mettono il silenziatore a intermittenza (penso, ad es., al gioco d’azzardo, che trionfa alla grande e distrugge la personalità di tanti, oltre che le poche risorse che una famiglia ha). Quanti orfani della città ci sono attorno a noi, stranieri non solo perché immigrati, ma perché ignorati e collocati ai margini della città che conta! Quante sofferenze urbane proprie della nostra Città, povertà vulnerabili e fragili che nemmeno più chiedono aiuto e sono rassegnate a una vita marginale e assistenziale… –;
– promuovere un nuovo welfare di comunità, non sostitutivo del diritto e della giustizia di cui i poveri in quanto cittadini debbono poter usufruire. Il primo diritto è il lavoro, che dà dignità e se non c’è deprime la persona e la spinge sempre più sotto la soglia della povertà, insieme alla sua famiglia, e sovente porta con sé la conseguenza dello sfratto (il problema oggi drammatico della nostra Città per migliaia e migliaia di famiglie). Ritorno a chiedere alle realtà che gestiscono l’edilizia pubblica popolare di dare un segnale concreto di disponibilità per i casi di incolpevole mora, sospendendo gli sfratti per un congruo periodo di tempo;
– altro punto nodale è la formazione scolastica e universitaria e l’educazione a quella professionale strettamente congiunta con il lavoro e le imprese, per dare sbocchi concreti ai giovani, oggi in forte carenza di impiego e di prospettive per il futuro;
– ancora, l’apporto degli immigrati, che va valorizzato e promosso come un fattore di sviluppo positivo, senza remore e con impegno di integrazione e collaborazione;
– infine, un nuovo patto sociale e generazionale, perché nessuno si perda.
È pertanto necessario un esame di coscienza. Occorre, come Chiesa, che facciamo un pro-fondo esame di coscienza: stiamo facendo tutto il possibile per annunciare il vangelo ai poveri, con le nostre scelte di povertà e di condivisione concreta? come viviamo, da garantiti o da partecipi del-le loro miserie morali e materiali? In particolare ci è richiesto:
– uno stretto collegamento e coordinamento nell’agire con realismo e speranza sul territorio, sia con le altre realtà religiose che laiche;
– la formazione a essere volontari e operatori cristiani (con valide e motivate ragioni di fede);
– la corresponsabilità nel conoscersi, familiarizzare e aiutarsi sia per raggiungere uniti obietti-vi di servizio comune, sia per agire insieme, per non disperdere le forze e le risorse. Occorre pertanto valorizzare quanto gli altri fanno come fosse fatto da noi, con stima, apprezzamento e discepolato. È la via privilegiata della comunione, che si allarga sempre più a persone e realtà “altre”, ma ugualmente impegnate nel sociale;
– essere per tutti portatori di speranza affidabile che viene dall’unione a Cristo Signore.
L’Agorà intende reagire allo scoraggiamento e alla “sindrome dell’ultima spiaggia” e innestare un movimento dal basso che via via faccia ripartire la fiducia in tanti e infonda la convinzione che è possibile reagire all’ineluttabile non con la protesta, ma con la proposta, che mi auguro sia ascoltata e accolta dalla politica e da tutte le componenti della società civile ed ecclesiale.
I poveri e i nuovi poveri soggetti e cittadini protagonisti — Occorre cambiare lo schema mentale di tanti che guardano ai poveri, ai cassintegrati, alle famiglie in difficoltà come a destinatari di sussidi e relazioni di carità e solidarietà: occorre che li consideriamo soggetti e cittadini a tutti gli effetti, rendendoli protagonisti del proprio domani. Noi parliamo di loro come di gente “che non ha”, mentre noi abbiamo; gente che non conta, mentre noi contiamo; gente che non rende, mentre noi rendiamo… Dovremmo invece considerarci tutti soggetti e destinatari insieme, nessuno escluso, e far sì che ogni persona sia messa in grado di essere destinataria e soggetto di azione politica, sociale e spirituale: uno che riceve e dà, dà e riceve.
Nella nostra fede, diceva l’apostolo Paolo, non ci sono più greci e latini, liberi e schiavi, ricchi e poveri, uomini e donne, perché siamo uno in Gesù (cfr. Lettera ai Gàlati, 3,28). Purtroppo, oggi siamo ritornati a quel tempo dove esistevano queste divisioni molto marcate nella società romana e greca. Se il cristianesimo è riuscito a superarle, può superarle anche oggi perché a fondamento della sua vita e del suo messaggio c’è lo stesso Gesù Cristo che il Natale ci ripropone. Ma bisogna ritornare a vivere il Natale cristiano e non pagano, quella povertà di spirito che ci apre umilmente agli altri e supera forme di autoreferenzialità e parte delle periferie – secondo l’invito di Papa Francesco –, ci porta ad andare controcorrente senza paura delle conseguenze, a denunciare se necessario le ingiustizie ma sapendo pagare di persona per superarle. È necessario soprattutto che viviamo il Na-tale come la festa della gioia di Dio che si fa uno di noi e per noi, della gioia interiore del cuore e della vita redenta da quel Bambino divino.
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Fonte: http://www.diocesi.torino.it/