Torino – 20 marzo 2014 – Di seguito, l’omelia di Pasqua 2014 di mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino.
OMELIA DI PASQUA 2014
(Cattedrale di Torino, domenica 20 aprile 2014. Ore 10.30: Santa Messa di Pasqua con al termine benedizione papale).
mons Cesare Nosiglia Arcivescovo di Torino.
“Cristo nostra Pasqua è immolato, facciamo festa nel Signore. Così canta la Liturgia di questo giorno santissimo.
La Pasqua del Signore è considerata nostra Pasqua perché la vittoria sul peccato e sulla morte che Cristo ha compiuto con la sua croce, ci appartiene in quanto credenti in lui e partecipi mediante i sacramenti della sua vita nuova di risorto per sempre. Per questo l’Apostolo ci esorta a celebrare la Pasqua non con lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità.
Paolo è preoccupato che i suoi cristiani della comunità di Corinto non celebrino l’Eucaristia con il lievito vecchio della divisione, senza rinnovarsi interiormente e vivere la comunione con Cristo nella comunione con i fratelli. Per questo parla di sincerità e di verità, due espressioni che indicano i rapporti con gli altri basati su atteggiamenti e comportamenti schietti, privi di doppi sensi e strumentali al proprio tornaconto. Togliere il lievito vecchio significa operare perché in famiglia, nella comunità parrocchiale e in quella civile prevalgano scelte di unità e di comunione e non di individualismo e relativismo che disgregano il tessuto conviviale e amicale dei gruppi, delle famiglie e della stessa comunità civile.
Il peccato è infatti divisione, chiusura in se stessi, barriera che impedisce di vivere le relazioni anche più quotidiane in una dimensione di amore che si dona e che serve, rispetto alla ricerca di ciò che appare più utile e interessato per se stessi. Cristo immolato sulla croce è la fonte di un amore che si offre fino al sacrificio di se stesso, per rompere le barriere della inimicizia e delle divisioni causate del peccato e aprire vie di vita, di condivisione e di pace. Egli è la nostra pace, ripeterà l’Apostolo, perché ha distrutto il muro che divideva l’umanità da Dio e tra i popoli e le persone e ha fatto pace tra cielo e terra, pace nelle coscienze dell’umanità e tra coloro che si consideravano nemici. Lo ha fatto con il perdono e con l’obbedienza al Padre suo di cui si è fidato sino alla fine.
Questa è la via della risurrezione che ogni uomo può percorrere grazie alla fede in Cristo. È la scelta del non lasciarsi mai vincere dal male, ma di vincerlo con il bene, confidando in Dio che accoglie il sacrificio di se stessi per donare vita e amore perfino a chi è causa dello stesso male. Tutta la vicenda storica di Gesù di Nazaret e soprattutto la sua passione e morte lo rivelano, tanto che persino un centurione romano, pagano, ma onesto e libero da condizionamenti di potere umano dichiara di fronte alla morte del Signore in croce: “veramente costui era il Figlio di Dio” (Marco 15,39). Lo fa perché ascolta le parole di perdono e di fiducia in Dio suo Padre che quel condannato pronuncia prima di morire. Egli non recrimina verso chi lo ha accusato e condannato ingiustamente e reagisce con amore a chi, sotto la croce lo insulta, lo schernisce e bestemmia: “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Lui, il centurione non lo sa, ma con quelle parole, e quel comportamento Gesù mette in pratica quanto ha predicato e insegnato ai suoi discepoli: “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste” ( Matteo 5,42).
Qui sta la forza del Crocifisso e la radice della sua risurrezione: l’amore vince l’odio con il perdono, l’amore è più forte del peccato e di ogni violenza e della stessa morte, l’amore crea un mondo nuovo dove chi è oppresso risulta alla lunga vincitore e non perdente e chi opprime resta privo di speranza e di vita per sempre. La Pasqua conferma questa scelta vincente del crocifisso e traccia la via che milioni di persone, martiri e testimoni della fede, santi e semplici battezzati, hanno seguito, abbracciandola con coraggio e testimoniandola con gioia, nella loro vita. Quello che li ha sorretti è stata la grande speranza che nasce dalla Pasqua del Signore che una vita donata anche se appare a volte sconfitta e perdente rispetto ai risultati immediati conseguiti, è come un chicco di grano caduto in terra : muore per portare frutto per tutti. “Morte e vita si sono affrontate, canta la Liturgia pasquale, in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto ma ora vivo trionfa”.
—>Chi crede nella risurrezione del Signore, di fronte alla lotta tra la vita e la morte SI SCHIERA SEMPRE DALLA PARTE DELLA VITA. Questa scelta è diventata per i cristiani la frontiera avanzata della evangelizzazione e della carità verso i più deboli di fronte all’estendersi del potere della morte, che prende piede nella coscienza delle persone e nella cultura dominante. Più la cultura dell’individualismo e dell’edonismo avanza e più l’uomo si fa giudice assoluto di se stesso e degli altri fino a decidere ciò che è bene e ciò che è male, ciò che merita di vivere o merita di morire, dimenticando di rapportarsi a Dio che ha immesso nella coscienza e nel cuore di ogni uomo la sua legge perché sia fonte di una vita che vince anche la morte. Questa legge ha un nome solo: quello dell’amore che si offre e si dona come Cristo sulla croce e non cede mai alla tentazione di scegliere altre strade ritenute più efficaci e concrete per sconfiggere la forza dirompente del peccato di ingiustizia e di violenza verso chi è più debole, povero e indifeso. L’apostolo Giovanni di fronte al Battesimo chi ci ha fatto rinascere in Cristo a una vita nuova, la stessa del risorto, esclamerà con stupore, ma anche con profonda convinzione :” tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede. E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?” ( Cfr 1 Gv 5,4-5).
—>Dunque siamo certi che la nostra fede può vincere il mondo, le sue tentazioni e le sue tragedie, le crisi anche dure come quella odierna che fa soffrire e getta nell’ANGOSCIA TANTE PERSONE E FAMIGLIE, LAVORATORI E IMPRENDITORI, crisi così forte che sembra distruggere ogni germe di speranza. No, cari amici, la nostra speranza non è un vano e irrealizzabile desiderio perché è fondata su Cristo che ha vinto, il male, la violenza, l’ingiustizia di cui è stato oggetto e i suoi discepoli lo vinceranno con lui, perché alla fine l’ultima parola è sempre di Dio che vuole la vita e la vuole in abbondanza e piena per tutti.
—>Oggi abbiamo però necessità di sperare e lottare insieme per un FUTURO MIGLIORE, più sereno e positivo SUL VERSANTE DELLA FAMIGLIA, DEL LAVORO, DELLA SOCIETA’. Si tratta di speranze umane che coltiviamo nel cuore e che Dio conosce e di cui si fa carico lottando con noi e per noi ogni giorno. Credere nella risurrezione significa immettere nel tessuto delle nostre esperienze umane, intrise di dolori e sofferenze, gioie e attese, questa grande speranza, la sola alla fine che può rivelarsi sicura e affidabile.
—>Facciamo della Pasqua dunque la festa della risurrezione del Signore, ma anche della nostra, DONANDO VITA a chi non ha vita, AMORE A CHI E’ SOLO E SI SENTE ABBANDONATO, solidarietà e sostegno a chi è nella sofferenza e nella prova.
—>Oggi Pasqua annuale prendiamo l’IMPEGNO CHE OGNI DOMENICA, Pasqua settimanale, santificheremo il giorno del Signore sia come singoli che come famiglia, COMPRESI I RAGAZZI E GIOVANI, con un concreto gesto di carità che significa un po’ di TEMPO DEDICATO AI POVERI, ANZIANI SOLI, VISITE A STRUTTURE DI ACCOGLIENZA, VOLONTARIATO PRESSO QUALCHE MENSA, SOSTEGNO DI BENI E SERVIZI ASSISTENZIALI A FAVORE DI PERSONE IN DIFFICOLTA’.
Allora gusteremo la vera Pasqua della vita e sperimenteremo che Dio ama chi dona con gioia. Perché solo chi ama risorge e vivrà per sempre”.
+ Cesare Nosiglia
Arcivescovo di Torino
**
Twitter @rossosantena