Santena – 22 giugno 2014 – Di seguito, alcune proposte di riflessione per i giorni dal 22 al 28 giugno 2014, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.
Domenica 22 giugno 2014
Ricòrdati del cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere
Mosè parlò al popolo dicendo: «Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. Non dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri».
Dt 8,2-3.14-16
Noi siamo un solo corpo
Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane.
1 Cor 10,16-17
Io vivo per il Padre
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Gv 6,51-58
Colui che passò tra gli uomini donando tutta la sua vita
La festa del Corpus Domini esprime l’antico e radicato amore per l’Eucarestia, per il corpo e il sangue del Signore. L’apostolo Paolo scrive ai Corinzi: “Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». Il Signore stesso esorta i discepoli di ogni tempo a ripetere in sua memoria quella santa cena. E l’apostolo aggiunge: “Ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga”. Non è un’altra cena che si ripete, magari stancamente come tante volte noi rischiamo di fare. L’Eucarestia che celebriamo è sempre la Pasqua che Gesù ha celebrato. È questa la grazia dell’Eucarestia: essere partecipi dell’unica Pasqua del Signore.
La Chiesa custodisce la concretezza delle parole di Gesù e venera in quel pane e in quel vino il suo corpo e il suo sangue, perché ancora oggi lo si possa incontrare. Potremmo aggiungere che in quel pane e in quel vino non è presente il Signore in qualsiasi modo. Egli vi è presente come corpo “spezzato” e come sangue “versato”, ossia come colui che passò tra gli uomini non conservando se stesso ma donando tutta la sua vita, sino alla morte in croce, sino a quando dal suo cuore non uscì che “sangue ed acqua”. Non risparmiò nulla di se stesso. Nulla trattenne per sé, sino alla fine. Quel corpo spezzato e quel sangue versato, sono di scandalo per ognuno di noi e per il mondo, abituati come siamo a vivere per noi stessi e a trattenere il più possibile della nostra vita. Il pane e il vino, che più volte durante la Santa Liturgia ci vengono mostrati, contrastano con l’amore per noi stessi, con l’attenzione scrupolosa che abbiamo per il nostro corpo, con la meticolosa cura che poniamo per risparmiarci e per evitare impegni e fatica. Tuttavia, essi ci vengono donati e continuano a essere spezzati e versati per noi, perché siamo liberati dalle nostre schiavitù, perché sia trasformata la nostra durezza, sgretolata la nostra avarizia, intaccato l’amore per noi stessi. Il pane e il vino, mentre ci strappano da un mondo ripiegato in se stesso e condannato alla solitudine, ci raccolgono assieme e ci trasformano nell’unico corpo di Cristo. L’apostolo Paolo, riconoscendo la ricchezza di questo mistero al quale partecipiamo, con severità ammonisce di accostarci ad esso con timore e tremore perché “chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice” (1 Cor 11,27-28). Ma dopo questo esame chi mai di noi può avvicinarsi? Sappiamo bene quanto siamo deboli e peccatori, come cantiamo nel salmo: “Le mie iniquità io le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi” (Sal 50, 5). Ma la Liturgia ci viene incontro e mette sulle nostre labbra le parole del centurione: “O Signore non sono degno di sedere alla tua mensa, ma dì soltanto una parola ed io sarò salvato”. Dì soltanto una parola. Sì, è la Parola del Signore che invita ad accostarsi, è questa parola che rende degni, perché è una parola che perdona e guarisce. Alla tavola del Signore si giunge dopo l’ascolto della Parola, dopo che il cuore è stato da essa purificato e riscaldato. C’è allora come una continuità tra il pane della parola e il pane dell’Eucarestia. È come un’unica mensa in cui il nutrimento è sempre lo stesso: il Signore Gesù, fattosi cibo per tutti.
Comunità di Sant’Egidio
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Lunedì 23 giugno 2014
Con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non giudicate, per non essere giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? O come dirai al tuo fratello: “Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio”, mentre nel tuo occhio c’è la trave? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».
Mt 7,1-5
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Martedì 24 giugno 2014
Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione
Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante si aprirono la sua bocca e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui. Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.
Lc 1,57-66.80
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Mercoledì 25 giugno 2014
Dai loro frutti li riconoscerete
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere”.
Mt 7,15-20
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Giovedì 26 giugno 2014
Chi ascolta le mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».
Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi.
Mt 7,21-29
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Venerdì 27 giugno 2014
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi
In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Mt 11, 25-30
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Sabato 28 giugno 2014
Lo trovarono nel tempio
I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore.
Lc 2,41-51
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