Santena – 19 luglio 2014 – Oggi il quotidiano La Repubblica ha dedicato una pagina all’operazione antiracket di ieri della squadra Mobile di Torino che ha portato in carcere due persone di Santena. A pagina IV del fascicolo di cronaca di Torino sono pubblicati tre articoli, qui di seguito riproposti integralmente.
La Repubblica, sabato 19 luglio 2014
Pagina IV – CRONACA Torino
L’inchiesta
Musy, il racket e il mistero della pistola
E’ una storia di estorsioni e rapine, un racket ai danni di un imprenditore che aveva tentato la scalata ad Arenaways. Una vicenda che si intreccia con il nome di Francesco Furchì, in carcere con l’accusa di aver ucciso Alberto Musy. Proprio da uno dei filoni investigativi sull’omicidio dell’ex consigliere comunale sono partite le indagini della squadra mobile, coordinata dal pm Roberto Furlan, che hanno portato all’arresto di quattro persone. E le nuove indagini gettano una nuova luce anche sull’omicidio. L’arma del delitto che il 21 marzo 2012 ha sparato nel cortile di via Barbaroux non è mai stata trovata: ora gli inquirenti non escludono che Furchì se ne sia liberato consegnandola ad un conoscente di Vincenzo D’Alcalà, il re di Santena, arrestato ieri mattina all’alba. Insieme a lui è finito in manette anche Massimiliano Celico, 41 anni. Entrambi sono accusati di estorsione ai danni dell’imprenditore dai quali si sono fatti consegnare 40mila dei 450mila EURO investiti nell’affare Arenaways poi sfumato. Anche Furchì è stato denunciato in concorso per lo stesso reato: pretendeva i soldi perché l’affare Arena era «di sua pertinenza», si legge nelle carte. Dall’indagine è emerso anche un altro episodio per il quale sono finiti nei guai Giovalin Zojza, albanese 34 anni, e Gaetano La Iacona, 46 anni: la tentata estorsione e la rapina ai danni di un consulente da cui D’Alcalà pretendeva il pizzo. (c.r.)
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Quattro arresti Furchì indagato
In un’intercettazione l’arma del delitto
L’inchiesta partita indagando sull’agguato Estorsione a imprenditore che voleva Arenaways
IL PERSONAGGIO
FEDERICA CRAVERO
È stato un passo importante scoprire che Furchì, denunciato per estorsione, conosceva Enzo D’Alcalà, pezzo da novanta della malavita del Torinese con una dimostrata «disponibilità di armi», come scrive il gip Massimo Scarabello nelle 49 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare. Lo conosceva già prima di incontrare Musy sulla sua strada attraverso Massimiliano “Giuseppe” Celico, uomo di D’Alcalà, incaricato perlopiù di recupero crediti. È stata un’intercettazione ambientale ascoltata dagli uomini della squadra mobile, che gli erano alle costole, a provocare una breccia che potrebbe portare dritto all’avvocato assassinato. «Visto che c’ha tutta la roba di Furchì?… nella macchina… te l’ha portata»: è una frase enigmatica e sfuggente quella pronunciata da D’Alcalà e che si riferisce a una persona non identificata. Nella sua ambiguità, tuttavia, riesce ad aprire scenari che potrebbero diventare fondamentali anche per l’inchiesta madre, quella sulla morte del consigliere comunale. «Il riferimento alla “roba” potrebbe banalmente essere connesso a una parte delle masserizie traslocate dal magazzino di un imprenditore — scrive il giudice — ma non si può neppure escludere che si trattasse di ben altro (ad esempio la pistola utilizzata nell’omicidio) anche alla luce della ulteriore e inquietante circostanza riferita dalla vittima di un’estorsione, cioè che D’Alcalà gli chiese denaro per pagare l’onorario del difensore dello stesso Furchì». Ora, la frase potrebbe anche essere un mero pretesto per spillare soldi alla vittima, ma perché fare un riferimento così circostanziato? Ma, se è così, cosa si nasconde? Che interesse potrebbe avere un boss della criminalità nel pagare l’avvocato di un assassino? Domande che al momento non hanno risposta e che tuttavia ali-?mentano il mistero che i legami tra gli arrestati e Furchì non si limitino all’affare Arenaways — che resta in ogni caso uno dei moventi possibili dell’omicidio — e all’estorsione di un imprenditore. Proprio la vittima raccontò agli investigatori: «Celico era a bordo di un fuoristrada, c’era anche D’Alcalà. Erano tutti e due agitati perché Furchì era stato appena arrestato e occorreva pagare anche la parcella del suo avvocato. Enzo lo chiama Franco, debbo dire che la cosa mi rimase impressa perché tutti gli altri chiamavano Furchì con il nome di Francesco». Al di là delle connessioni con il caso Musy, queste nuove indagini – in cui sono state denunciate altre venti persone, anche per soldi falsi – non fanno che confermare la smania di Furchì di ondeggiare sempre tra affare e malaffare. Prima approfitta della sua associazione Magna Grecia per convincere un imprenditore a investire in una linea ferroviaria tra Torino e la Calabria, ma poi l’investimento sfuma e inizia la pretesa di soldi: centomila auro all’inizio, quarantamila alla fine. Furchì non faceva paura, «lo scemo con la barba» lo chiamano, però al momento giusto sapeva far entrare in scena i due “cattivi”, gente senza scrupoli, gente che mette il terrore tanto da convincere un navigato industriale a portare i gioielli di famiglia al banco dei pegni, pur di onorare le loro richieste.
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IL RITRATTO
Il Re di Santena che sfidò la ’ndrangheta
CARLOTTA ROCCI
Da «reuccio», come era stato definito in un’inchiesta del 2010, è stato promosso a «Re di Santena » nell’ultima operazione della squadra mobile di Torino che lo ha arrestato per estorsione e rapina. Vincenzo D’Alcalà, 56 anni, di Roggiano Gravina, trapiantato a Santena, è un nome di peso nella zona, noto alla magistratura ma anche ai cittadini. Lo dimostrano le decine di esposti anonimi che negli ultimi due anni sono arrivati sulla scrivania del capo della squadra mobile, Luigi Silipo, per denunciare tentativi di estorsione e usura. «Ora mi auguro che queste segnalazioni si trasformino in vere e proprie denunce», spiega Silipo. Nel suo curriculum giudiziario figurano reati come estorsione, usura, lesioni personali. Uno scenario da «profondo sud» come quello che emerge nell’ultima indagine della squadra mobile. Il boss di Santena ha messo gli occhi sui 450mila euso investiti da uno degli imprenditori che volevano rilevare rilevare Arenaways: ne ottiene 40mila a suon di minacce e intimidazioni. Per convincere l’imprenditore a trovare un accordo sul prezzo basta il suo nome. Nelle intercettazioni D’alcalà si alterna nel ruolo dell’amico e del cattivo, usa frasi gentili e offre protezione per convincere l’imprenditore a pagare ma non esita ad usare la violenza per tentare di convincere un altro, un consulente, a pagare il pizzo su ogni suo lavoro. Il nome del re di Santena era già emerso in passato e si era contrapposto, per la contesa di alcune somme denaro a quelli di esponenti di spicco della ‘ndrangheta torinese come Antonio ed Edoardo Cataldo.
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Fonte: La Repubblica – 19 luglio 2014 – Pagina IV del fascicolo di cronaca di Torino