“Pace in terra agli uomini di buona volontà che Dio ama”. Omelia dell’arcivescovo mons. Cesare Nosiglia

Torino – 18 dicembre 2014 – Di seguito, l’omelia di ieri dell’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, alla messa per le categorie economiche e imprenditoriali, del mondo della formazione, del welfare e delle aggregazioni laicali. (Torino, chiesa del Santo Volto, 17 dicembre 2014, ore 21)

 

“PACE IN TERRA AGLI UOMINI DI BUONA VOLONTÀ CHE DIO AMA”

«Cari amici,
può sorprenderci il Vangelo della genealogia di Gesù che abbiamo ascoltato (Mt 1,1-17): una serie di nomi che, per chi non conosce bene la Bibbia, dicono poco. Eppure l’evangelista Matteo vuole dirci con concretezza che Gesù di Nazareth è discendente, secondo la carne, del re Davide e dunque fa parte di una storia di persone che hanno vissuto e operato secondo un disegno di Dio, che si è dipanato di generazione in generazione fino a Cristo. Egli è perciò veramente uomo, come ognuno di noi, ed è il Messia promesso, Figlio di Davide.

Immagine di archivio
Mons. Cesare Nosiglia (Immagine di archivio)

Ciascuno di questi personaggi, nel suo vivere, non ha certo saputo e immaginato di entrare a far parte di una catena generativa, che avrebbe portato al Salvatore. Ci sono nomi famosi nella storia sacra, ma anche noni di gente semplice e addirittura non certo esaltanti dal punto di vista religioso. Essi però sono stati scelti, nel misterioso disegno di Dio, per diventare protagonisti del disegno storico di Dio per l’umanità. Le loro vite, come le profezie che annunziavano la venuta del Messia, sono cariche di speranza e puntano in avanti sempre, senza stancarsi.

Tale è anche la nostra vita oggi. Ciascuno di noi è inserito in un contesto storico, che ci trascina in avanti. Sembra che la storia sia tutta nelle nostre mani e determinata da noi o dai potenti della terra, ma in realtà non è così. Dio scrive dritto anche sulle righe storte dell’uomo, dice il proverbio, e conduce il suo progetto a compimento. Lo fa servendosi dei poveri, degli umili, degli ultimi, di chi sembra contare poco nella storia, ma conta molto, per la propria fede, davanti a Dio. Alla luce di questa Parola biblica, desidero riflettere con voi sul Natale, che ci propone ogni anno l’evento della nascita nella carne del Figlio di Dio fattosi ultimo e povero, solidale con chiunque nel mondo è rifiutato o subisce ingiustizia, ma ricco di speranza e di bene per tutti.

«Pace agli uomini di buona volontà» (cfr. Lc 2,14), hanno cantato gli angeli a Betlemme. Oggi, chiediamoci realisticamente: esistono ancora questi uomini di buona volontà? Di fronte a tante persone per bene che soffrono, lottano e agiscono con impegno nel loro lavoro, in famiglia e nella società, sta il mondo dei potentati che sembrano invincibili e che agiscono per anni indisturbati e protetti, ostentano il loro orgoglio e delirio di onnipotenza, sfruttano persino l’apparente servizio ai poveri e immigrati pur di arricchirsi e contagiano i politici e gli uomini di affari, il mondo economico e finanziario.

Sembra paradossale che questo accada in questo periodo in cui una lunga e pesante crisi, che stiamo vivendo, attanaglia persone e famiglie e rende difficile la stessa esistenza quotidiana di una porzione sempre più grande di popolazione. Per cui, si constata con mano quanto siano illusorie certe attese paradisiache sbandierate ancora pochi anni fa e basate sul bene-avere più che sul bene-essere e soprattutto sulla ricerca assoluta del profitto per se stessi a scapito di quello comune, dileggiando i principî di onestà, di eticità e di fraternità, che dovrebbero stare a fondamento del vivere insieme nella città degli uomini.

La cronaca di ogni giorno ci parla di scandali derivanti dall’esercizio delle cose pubbliche, di infiltrazioni mafiose nella realtà non solo nazionale, ma locale e vicina a noi, qui nel nostro territorio. Non illudiamoci di esserne esenti, perché spesso il costume di vita e di impostazione della gestione della res pubblica come della propria vita privata è sempre più marchiato da queste ferite alla legalità nei diversi ambienti, costume che contagia un po’ tutti e punta a perseguire l’individualismo come regola portante.

C’è dunque bisogno di un sussulto di coscienza etica da cui discendano precise responsabilità anche sul piano sociale, oltre che personale. Senza questo riferimento ogni altra via, che pure aggravi le pene per chi delinque o susciti giusta riprovazione da parte dell’opinione pubblica, viene facilmente riassorbita in breve tempo dalla ingiustificata restrizione di questo fenomeno a pochi casi giudicati certo gravi ma che coinvolgono altri e non se stessi.

Gli uomini di buona volontà che Dio ama e predilige sono coloro che resistono dal tradire la propria coscienza di fronte al facile guadagno o al potere e sanno essere fedeli ad essa, costi quello che costi. Essi devono però impegnarsi a reagire contro il malcostume dilagante, pagando anche di persona se necessario, ma senza timore e partendo dall’impegno di rendere visibile la testimonianza di onestà, di legalità e di bene compiuto in modo gratuito e disinteressato perché solo il bene alla lunga vince e suscita bene attorno a sé.

«Che giova, infatti, all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde se stesso?» (cfr. Lc 9,25). Quest’affermazione pone al centro dell’etica del lavoro e del welfare la promozione della persona, sia sul piano individuale che familiare e collettivo. L’ansia del possedere e dell’avere ad ogni costo allontana da se stessi e rende schiavi del denaro e della riuscita personale, a scapito anche di regole morali nei confronti degli altri.

Un altro grande principio evangelico al riguardo dice che il lavoro è fatto per l’uomo e non l’uomo per il lavoro, nel senso che anche il lavoro va redento e reso strumento per la crescita della persona, che non va mai sacrificata ai ritmi della produzione o del profitto. Lo sviluppo dell’impresa è importante e necessario per assicurare lavoro e il suo profitto è certamente uno degli obiettivi, ma lo sono anche bilanci sani ed onesti, il rispetto delle norme di sicurezza, la ricerca di vie compatibili con l’ambiente, la valorizzazione delle risorse umane mediante la formazione permanente, l’assunzione di precise responsabilità verso ogni lavoratore, la sua famiglia e il territorio in cui l’azienda opera e spesso è anche nata e cresciuta.

Purtroppo, è in corso una progressiva vendita o spostamento all’estero del baricentro di alcune eccellenze del mondo industriale che hanno dato lavoro e benessere al nostro Paese e al nostro territorio. Tali scelte, oltre a produrre un impoverimento dell’occupazione e accentuare la ripresa ormai ampia dell’emigrazione di tanti ricercatori e professionisti di valore, danno l’idea di un Paese non più affidabile e quindi avviato a un progressivo ed ineluttabile declino. Sono problemi che richiedono un forte senso di responsabilità anzitutto da parte della politica e poi dell’intero mondo produttivo, che non può assistere impotente e rassegnato a tale situazione senza tentare vie alternative ed efficaci misure per affrontarla.

C’è poi un’altra questione di fondo su cui siamo oggi invitati a riflettere per agire di conseguenza: si tratta del grande tema della solidarietà tra chi lavora e chi non ha più un lavoro o l’ha saltuario e privo di garanzie per il domani; tra chi gode di un certo reddito o comunque possiede beni che gli garantiscono un futuro sereno e chi ne è privo e lotta ogni giorno per la sua stessa sopravvivenza o ha una vita di stenti e di sofferenza, di solitudine e abbandono… Occorre che nessuno si senta estraneo a questi problemi che assillano oggi tante persone e famiglie: la stretta unione e collaborazione tra tutte le componenti della “città” è condizione fondamentale per raggiungere insieme il risultato di garantire a ciascuno i diritti fondamentali per un’esistenza dignitosa e il riconoscimento del proprio essere soggetto attivo e protagonista della vita cittadina, superando quella condizione di scarto o di emarginazione sociale di cui tanti – e soprattutto molti giovani – soffrono.

L’amore, che Gesù ci indica come via di riscatto dal peccato e dall’egoismo improduttivo, non chiude dentro il cerchio di se stessi e dei propri interessi, ma apre vie di condivisione solidale, che conducono a coinvolgersi concretamente con le difficoltà degli altri nella misura alta del dono di sé, che dà anche la vita per i fratelli. L’amore vero si attua nella responsabilità verso tutti: «Chi ama Dio non può riservare il denaro, la salute, la casa, il lavoro, la sua stessa vita solo per se stesso: li deve distribuire in modo divino secondo giustizia e carità» (San Massimo il Confessore).

Il regno di Dio che Gesù è venuto ad attuare non è in un aldilà immaginario, che non arriva mai; il suo regno è presente là dove ci si ama come Lui ci ha amato fino a insegnarci che niente e nessuno deve mai essere considerato estraneo alla propria vita, ma fratello e amico con cui condividere gioie e dolori, pene e speranze.

Discernere ed agire secondo questo equilibrio tra il già e il non ancora non è mai stato facile: è la fatica che il laico cristiano, singolo o associato, è chiamato ad affrontare, in comunione con il Magistero e sotto la guida dello Spirito Santo, che nutrono la sua intelligenza e la sua coscienza di battezzato. Ai laici tocca discernere nelle concrete pieghe della storia di ogni giorno i semi del Verbo di Dio e farsene carico, con la libertà propria del cristiano, nelle scelte storiche e con il rispetto di quell’autonomia delle realtà terrene che Dio ha immesso nella sua creazione.

L’attività lavorativa, l’impegno della formazione e il welfare dipendono da tanti fattori umani e sociali oggi sempre più complessi, ma non avulsi dal riferirsi ad un disegno di Dio che li investe nell’ordine dei fini e delle vie. Per questo, Cristo ci ha insegnato a pregare nel Padre nostro: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». Come dire: dacci quanto ci serve per vivere in questo giorno e tutto ciò che serve anche agli altri per vivere, perché è vero che questo dipende dal nostro lavoro, ma anche dalla capacità di accogliere la vita stessa come un dono da gestire non solo per noi stessi ma per tutti.

Desidero infine ringraziare molti di voi che hanno dato vita con impegno all’Agorà del sociale e che adesso continuano a crederci, favorendo quella rete che essa ha indicato come base portante del nuovo modello di sviluppo basato sulle relazioni fraterne, vero cemento di unità e di comunione su cui puntare per il patto sociale e generazionale. Riprenderemo presto il cammino con l’avvio della cabina di regia per definire le scelte operative su cui puntare insieme e l’ambito privilegiato attorno cui coagulare l’azione dei processi formativi, lavorativi e di welfare sul nostro territorio.

Mi auguro che, venendo a Torino, Papa Francesco possa rivolgere al mondo della formazione, del lavoro e del welfare il suo messaggio di speranza, ma anche le sue preziose indicazioni di marcia su cui camminare insieme.

Cari amici,
l’avvicinarsi del Natale del Signore ci sproni a riflettere seriamente se la sua venuta tra noi è diventata veramente il metro di scelta e di vita che seguiamo, accogliendone l’esempio sia nell’aver cura della nostra fede e del rapporto con Dio, sia nell’aver cura dei nostri fratelli prossimi o lontani. Aggiungo un aspetto che è decisivo: la cura anche della comunione nella comunità cristiana di cui siamo partecipi. La parrocchia in particolare deve essere una casa e scuola di comunione, dove trovano posto itinerari differenziati e molteplici esperienze di fede che lo Spirito promuove e che sono chiamati a incontrarsi e collaborare per tutti i servizi pastorali. Tale comunione è tanto più esigita sulla frontiera della missione, là dove l’unità di coloro che credono in Cristo, anche se provenienti da parrocchie e aggregazioni laicali diverse, ma tutti animati dallo stesso fuoco dell’Amore più grande, lo manifesta e propone come via di gioia e di piena promozione umana e sociale.

Ci sorregga dunque nel cuore e nella vita questa indomita speranza, che trascina la fede e la carità sulle strade impervie della storia con la sicurezza di chi sa che nulla è impossibile a Dio. A Maria, che di questo impossibile si è fatta discepola e maestra, chiediamo di sorreggere il nostro impegno di credenti ogni giorno, senza timori e senza scoraggiamenti, ma forti e coraggiosi nel testimoniare Cristo, nostra speranza e speranza del mondo.

+ Cesare Nosiglia
Arcivescovo di Torino »

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Fonte:

ARCIDIOCESI DI TORINO – CURIA METROPOLITANA

www.diocesi.torino.it

Ufficio Comunicazioni Sociali