Torino – 15 dicembre 2015 – Oggi, alle ore 19, l’arcivescovo mons. Cesare Nosiglia ha presieduto la santa messa per il mondo universitario. Di seguito, l’omelia.
OMELIA DELL’ARCIVESCOVO DI TORINO,
MONS. CESARE NOSIGLIA,
ALLA SANTA MESSA DI NATALE
PER IL MONDO UNIVERSITARIO
(Torino, Cattedrale, 15 dicembre 2015, inizio celebrazione ore 19)
I miei pensieri non sono i vostri pensieri e le mie vie non sono le vostre vie». Queste affermazioni del Salmo della Scrittura ci ricordano che la prima tentazione dell’uomo è quella di far coincidere i propri intendimenti e scelte con quelli di Dio. «Gott mit uns», cantavano i soldati nazisti; e di recente i terroristi di Parigi uccidevano scandendo il nome di «Allah Akbar»: Dio è grande. «Una bestemmia», ha detto papa Francesco; e tale è veramente, se guardiamo alla nascita di Gesù, che sceglie una via di assoluta povertà, egli che era il più ricco e potente perché Figlio unigenito del Padre. Nella parabola che racconta oggi il Vangelo, si vede come fare la volontà del Padre non significa dire di sì e poi non metterla in pratica. Meglio dissentire, magari, ma poi pentirsi e compierla. È meglio essere cristiani senza dirlo, affermavano i Padri della Chiesa, che dirlo senza esserlo.
La coerenza delle proprie scelte – e anche l’onestà di riconoscere di aver sbagliato e di cambiarle – non alberga nel cuore dell’uomo, che è sempre portato invece a fare di testa propria o comunque a giustificarsi per ogni azione, anche malvagia, che compie. Ciò che è scomparso oggi dall’orizzonte della cultura e della mentalità della gente e di noi stessi è l’umiltà di considerarsi peccatori e dunque soggetti alla misericordia di Dio e di riconoscere anche di fronte agli altri il fatto che li abbiamo ignorati od offesi, accampando ragioni che ci costruiamo ad arte. Manca l’umiltà nei confronti di Dio e degli altri, dunque. È questa la conseguenza di quella autoreferenzialità basata sull’orgoglio e sulla superbia che ci fa sentire sempre più giusti e a posto di chicchessia. L’ipocrisia si accorda bene con il narcisismo e l’esaltazione di sé a scapito di tutto e di tutti.
Detto ciò, vorrei soffermarmi con voi, cari docenti universitari e studenti, su alcuni tratti caratteristici del vostro impegno di studio e di cultura in rapporto alla vita e agli impegni conseguenti.
In università si impara a conoscere e governare la realtà, a diventare persone libere e responsabili del bene comune non solo individuale. Questo significa abitare l’università e non solo frequentarla, farne un luogo di cultura e di vita, laboratorio di dialogo e integrazione anche sociale, dove la promozione dei valori umanistici che fondano la dignità di ogni uomo o donna si aprono alle diversità di cui ciascuno è portatore in campo culturale, religioso, familiare e sociale. Diventa oggi sempre più importante operare insieme nell’università per una formazione integrale della persona, intesa a suscitare la ricerca del bello, del buono, del vero; a far maturare competenze culturali, tecnologiche e scientifiche senza dimenticare di promuovere una nuova sintesi umanistica, un sapere che sia sapienza, capace di orientare l’uomo alla luce dei principi primi e dei fini ultimi, un sapere illuminato che orienti al senso della propria vita, al “più essere” e non solo al “più sapere” e saper fare. Sono lieto che nelle nostre università torinesi si sia avviato un rapporto di collaborazione che valorizza il rapporto Università-Chiesa locale, sostenendo un cammino insieme per la promozione di un umanesimo integrale che non ammette unilateralismi e assolutizzazioni di alcun genere sul piano dei contenuti come del metodo.
L’Università può trovare nella Chiesa un suo alleato per non soccombere di fronte alle spinte del mercato che tendono a trasformarla in un segmento funzionale ai suoi fini, facendole perdere dunque quella autonomia di pensiero, di ricerca e di critica propria del pensiero forte, che va oltre la parossistica ricerca dell’immediatezza del risultato e sa puntare anche ai tempi lunghi di maturazione delle idee e dei progetti, perché siano a servizio dell’uomo e della società. D’altra parte, la Chiesa trova nell’Università un alleato per incarnare il Vangelo nel tessuto della cultura, trovando quelle vie di comunicazione e di linguaggi appropriati ai tempi e salvaguardando sempre la libertà e responsabilità della propria intelligenza e del cammino graduale e affascinante che essa è chiamata a compiere verso la verità tutta intera. Mi auguro e auspico che, come avviene in tante università italiane e nel resto del mondo si possa giungere anche a riservare un piccolo spazio dove gli studenti possano dialogare tra loro e con i rappresentanti di varie religioni su temi etici e spirituali in un servizio continuato di “capellania”.
A questo si aggiunge un terreno comune di incontro e di impegno che, nel tempo complesso e difficile che stiamo vivendo, diventa sempre più urgente: quello di superare una certa sottovalutazione od oscuramento, avvenuto in questi ultimi decenni, dell’identità specifica dell’Europa, derivante dalle sue radici profonde e tuttora vitali che hanno dato vita a un dialogo e confronto costruttivo tra la fede e la cultura cristiana e laica, nella ricerca dei fondamentali comuni che l’hanno fondata e sostenuta per tanti secoli e ne hanno caratterizzato la civiltà umanistica, ricca di valori di libertà e pluralismo, di solidarietà e di pace universalmente riconosciuti e tanti altri aspetti di democrazia politica e di proposte culturali in tutti i campi del sapere, della scienza e della tecnica, dell’arte e della letteratura, delle scienze umane e tecnologie, della filosofia e della teologia. Si tratta di un “ricupero”, perché è indubbio che l’aver dato ampio spazio al primato dell’economia e della finanza a scapito di questi fondamentali ha fortemente indebolito la vita e le prospettive di futuro stesso del nostro domani – pensiamo anche solo alla grave carenza demografica in corso o alla «cultura dello scarto» rispetto a quella dell’incontro, denunciata anche qui a Torino da Papa Francesco.
L’Europa, se vuole rimettersi in piedi e non sgretolarsi, deve ricuperare, sul piano della cultura, e della spiritualità, dell’accoglienza, dell’inclusione sociale, della solidarietà e integrazione di ogni suo cittadino valorizzando anche l’apporto sia religioso che culturale e sociale, di quanti giungono tra noi per trovare uno sbocco più sereno, dignitoso e giusto per il proprio avvenire. La nostra Università e il Politecnico ne sono un valido esempio e possono dunque essere trainanti per una società aperta all’incontro tra culture, religioni e popoli diversi, ma tutti uniti nella comune ricerca di un’unità basata sui principî democratici e plurali della nostra tradizione. Sì, siamone convinti: le università in Europa possono diventare un modello di dialogo e di convivenza pacifica e solidale, dove le diversità non sono vissute come potenziali nemici, ma valorizzate nelle loro specificità, in vista di un mondo più libero, giusto e pacifico.
Non ci dobbiamo arrendere dunque nel percorrere questa strada e nessun ostacolo – tanto meno quello della violenza del terrorismo fondamentalista – deve fermarci ingenerando paura o rifiuto e indifferenza. Non si tratta di puntare sulla difesa o prevenzione soltanto, ma sulla volontà condivisa soprattutto da voi giovani di impegnare se stessi su questa strada, con spirito di sacrificio – se necessario – e di responsabilità. La Chiesa e ogni componente religiosa e civile della società e le università debbono collaborare su questo punto, per favorire tale processo di unificazione nella pluralità e nella salvaguardia della nostra identità nazionale che del resto la garantisce ed esprime. Non è dunque in questione solo la promozione dei diritti individuali ma in primis di quelli comunitari e sociali perché prevalga quel principio costituzionale del bene comune a cui ogni cittadino deve dare il proprio contributo insieme agli altri membri della comunità. Occorre passare dal semplice rispetto alla collaborazione, condividendo lo stesso fine, che è quello della passione per la verità e per l’uomo, centro vivo di ogni istituzione universitaria.
In questo senso la Chiesa ha sempre confermato la propria fiducia nell’uomo: «Nell’odierno contesto, il primo contributo che possiamo offrire è quello di testimoniare la nostra fiducia nella vita e nell’uomo, nella sua ragione e nella sua capacità di amare. Essa non è frutto di un ingenuo ottimismo, ma ci proviene da quella “speranza affidabile” che ci è donata mediante la fede nella incarnazione e redenzione operata da Gesù Cristo» (Benedetto XVI, Discorso alla 59a Assemblea Generale della CEI, 28 maggio 2009). Il nuovo umanesimo è la persona del Figlio di Dio che, fattosi uomo, ha assunto fino in fondo tutto ciò che fa parte della nostra vita, per condividerla anche nei suoi aspetti più difficili, come la sofferenza e la morte. Di questo “uomo nuovo” noi siamo testimoni e annunciatori anche in Università, perché siamo convinti che «chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo» (Gaudium et spes, 41).
Questo è l’obiettivo di fondo della pastorale universitaria : quello di rendere credibile Dio dentro l’Università, attraverso una fede illuminata e vissuta anche sul piano culturale dai credenti. Infatti, la testimonianza di credenti, che parlano di Dio ma si comportano in modo contrario alla sua legge, oscura la sua immagine e apre le porte dell’incredulità. Abbiamo, quindi, bisogno di docenti e studenti che tengano lo sguardo fisso verso Gesu’ Cristo, imparando da lui la vera umanità. Abbiamo bisogno di docenti e studenti il cui intelletto sia illuminato dalla luce del Vangelo e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e, mediante anche concreti impegni di volontariato e di servizio nel sociale, verso tante persone povere della nostra città. Questo unire cultura e solidarietà non solo sul piano dei principî, ma dell’azione e dei fatti, è venuto con forza da Papa Francesco nel suo discorso a voi giovani il 21 giugno scorso.Soltanto attraverso persone toccate dal Vangelo e amanti di ogni uomo,buoni cristiani e onesti cittadini, Dio può trovare posto nella nostra storia. Altrimenti si ripete il rifiuto nei confronti del suo Figlio Gesù, quando non c’era posto per lui e la sua famiglia nella città di Betlemme.
Buon Natale, dunque, cari amici; e il Dio-con-noi che in questi giorni
celebriamo ci apra il cuore all’attesa gioiosa dell’incontro con Lui,
così che ogni giorno sia Natale.
+Cesare Nosiglia
Arcivescovo di Torino»
Torino, 15.12.2015
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Fonte:
Ufficio Comunicazioni Sociali
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