Torino – 5 marzo 2016 – La misericordia fa crescere una Chiesa accogliente: questo il tema dell’intervento di oggi dell’arcivescovo mons. Cesare Nosiglia alla Giornata diocesana della Caritas.
Oggi, sabato 5 marzo 2016, dalle 8.30 alle 13, al Teatro Grande Valdocco di via Sassari 28/B a Torino, si è svolta la XXVII Giornata Caritas, momento di riflessione ed approfondimento sul cammino della vita di carità nella comunità ecclesiale diocesana. Di seguito, il testo dell’intervento dell’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, alla giornata diocesana Caritas
LA MISERICORDIA FA CRESCERE UNA CHIESA ACCOGLIENTE
«Cari amici, vi saluto e auguro un incontro fruttuoso di idee e prospettive positive per il vostro impegno nella Caritas. Il tema di questo incontro annuale si collega con il grande Giubileo della Misericordia che segna il cammino della Chiesa in questo tempo e chiede di guardare alla misericordia di Dio, fonte prima e stimolo per essere misericordiosi verso il nostro prossimo.
-PRIMA DEI SERVIZI L’ACCOGLIENZA DELLA PERSONA
Se guardiamo a Gesù e ai suoi gesti di misericordia, vediamo che egli privilegia, tra tutti, coloro che mettono al centro l’accoglienza quale atteggiamento fondamentale verso ogni persona e soprattutto verso chi è peccatore, povero o scartato dagli altri, ultimo o invisibile ai benestanti del proprio tempo, disprezzato e umiliato, mantenuto succube di un’elemosina saltuaria e che ignora la dignità e la giustizia, limitandosi ad essere un aiuto dato a volte anche solo per apparire buoni e farsi considerare onesti dall’opinione pubblica. Ci ricorda in particolare il capitolo 15 del vangelo di Luca che i farisei e gli scribi mormoravano contro di lui perché accoglieva i peccatori e mangiava con loro (cfr. Lc 15,2). In quei “peccatori” erano compresi un po’ tutti coloro che vivevano ai margini della società del suo tempo, dai lebbrosi ai ciechi, dagli storpi a chi chiedeva l’elemosina o era considerato lontano dal Tempio e non osservante la legge di Mosè.
Quello che disturbava nel comportamento di Gesù era il suo atteggiamento giudicato troppo arrendevole e buonista, un accogliere a buon mercato senza richiedere niente in cambio, per puro dono gratuito. In realtà Gesù voleva rivelare a tutti quanto Dio fosse vicino e prossimo ad ogni persona e prediligesse proprio coloro che meno erano considerati degni di accoglienza e di amore. Un’accoglienza che ci insegna a privilegiare la relazione con la persona più che i servizi e i beni di cui pure ha necessità, lo stile dell’incontro amicale, sereno e coinvolgente, che riempie il cuore prima che il portafoglio e la borsa della spesa, od ogni altro pure necessario sussidio di sussistenza. È questo il più importante tratto dell’accoglienza che vogliamo attuare giorno per giorno verso ogni nostro fratello e sorella che ci interpella direttamente o indirettamente, ci cerca e ci chiede o che andiamo a incontrare, visitare, trovare nei luoghi esistenziali dove vive e abita.
-OLTRE L’ASSISTENZIALISMO PER LA PROMOZIONE INTEGRALE DELLA PERSONA
Papa Francesco a Torino ci ha detto a chiare lettere: «La Chiesa non fa assistenzialismo ma predica e testimonia il Vangelo che promuove la dignità di ogni persona in quanto tale e la accompagna passo passo verso la piena autonomia gestionale della propria vita, famiglia e futuro, liberandola dunque da ogni dipendenza anche buona e giusta per ritrovare il passo giusto e le sue concrete possibilità di riscatto dalla sua situazione di povertà». Per questo, ricorda il Concilio, non si può accontentarsi di dare «come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia» (Apostolicam actuositatem, 8) e chi vuole accogliere il suo prossimo deve anche interessarsi che abbia quei diritti fondamentali dovuti ad ogni persona: alla vita, al lavoro, alla salute, alla casa, alla piena e responsabile partecipazione alla vita pubblica della città dove abita.
Non ci stancheremo dunque di denunciare scandali e corruzioni da parte di chi, avendo un potere sia politico che economico e finanziario, persegue i propri scopi e interessi personali o di cordata ignorando ogni regola etica e di equità e solidarietà. E non ci stancheremo di stimolare le istituzioni, le forze del lavoro e dell’economia, il terzo settore e il volontariato a trovare insieme vie convergenti di “rete” che siano concrete, per affrontare e sostenere le necessità delle persone, delle famiglie e dei poveri. Se ogni componente si chiude dentro i propri ambiti di riferimento non si riuscirà mai a uscire fuori della crisi in corso. Comunque non siamo qui oggi per puntare il dito contro nessuno, ma per rimotivare il nostro impegno e percorrere le vie di una accoglienza e ospitalità incisiva ed efficace a vantaggio di ogni persona, famiglia e dell’intera società.
-L’ACCOGLIENZA CON OPERE CONCRETE
Un altro tratto fondamentale che oggi è particolarmente decisivo per una giusta e feconda accoglienza di misericordia è quello delle opere. Diceva già l’apostolo Giacomo nella sua lettera: « Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve?» (Gc 2,15-16). E Papa Francesco, nell’incontro con i giovani, parlando dell’amore, ha detto: «Parlare di amore è bello e si possono dire cose belle. Ma l’amore ha due assi su cui si muove e se una persona non ha questi due assi, queste due dimensioni dell’amore, non ama veramente. Prima di tutto l’amore è più nelle opere che nelle parole: l’amore è concreto. L’amore sa donare se stesso, non solo dei beni o delle cose, ma opere, gesti concreti, che coinvolgono anche a costo di sacrificio.
Sì, chi ama sa sacrificarsi per l’altro, paga di persona un prezzo e si mette a servire gli altri con umiltà e gioia. No, chi non si sacrifica per l’altro non ama».
Potremo dunque dire che accogliere significa fare posto nel cuore all’altro, abitare le sue stesse fatiche e assumere le sue stesse ferite come fossero le nostre. La misericordia delle opere è quella marcia in più che come cristiani siamo chiamati a portare nella società, sapendo osare anche quello che in quel momento ci sembra impossibile. I nostri santi – dal Cottolengo a Don Bosco, dal Murialdo a tanti testimoni anche laici, come la venerabile marchesa di Barolo e suo marito e tanti e tante persone che hanno segnato il cammino di questa città della Provvidenza, avviando opere che restano ancora oggi punto di forza della carità e della solidarietà verso i senza fissa dimora, i Rom, i disabili, le famiglie senza casa o lavoro, i minori abbandonati, i giovani privi di speranza nel futuro – ci dicono che se non sappiamo osare sulla base dell’amore misericordioso di Dio, su questa roccia solida della sua provvidenza di Padre, non riusciremo mai a vincere la dura battaglia delle povertà. È ancora Papa Francesco che ci ha detto: «Sulle orme dei nostri Santi e beati liberi e testardi ma fondati saldamente sull’amore di Dio possiamo vivere la gioia del vangelo, praticando la misericordia, condividendo le difficoltà di tanta gente fragile e indifesa e segnata da ferite umane, sociali e morali profonde. Non rassegnatevi mai, ma osate con coraggio, solidi sull’amore roccioso di Dio che vi permetterà di non scoraggiarvi di fronte alle difficoltà del momento presente e di affrontarle con speranza».
Cari amici, quante volte ci scopriamo impotenti – ogni giorno di più – di fronte ai problemi che assillano tanta gente che ci chiede aiuto. Ci sentiamo spesso soli a combattere le nuove povertà di cui soffre la nostra società e ci sembra di trovarci davanti a un muro di gomma che respinge il nostro impegno e non lo accoglie, ma ignora o rigetta indietro ogni tentativo di radicare il vangelo della carità nel tessuto concreto della vita delle famiglie e dei poveri. La loro voce debole non giunge là dove chi avrebbe il potere di ascoltarla, dando una risposta dovuta e appropriata alle loro necessità, si accontenta di promesse di circostanza, di provvedimenti tampone per carpirne un po’ di audience, tanto più in questo momento. E ciò aggrava il divario tra quelle “due città” di cui spesso ho parlato e che, malgrado tanti sforzi, resta tutt’oggi presente, se non aggravato addirittura per certe fasce di popolazione come sono quelle del ceto medio e di non pochi professionisti.
Il motivo sta nel fatto che ci si accontenta di un welfare privo di una strategia che affronti seriamente i nodi di fondo dei problemi, che sono: gli investimenti per il lavoro, anzitutto; la cura della salute e dunque dei servizi sanitari, che preoccupa la famiglia e gli anziani, i disabili psichici e fisici sia minori che adulti e chiunque deve sottostare a tempi biblici per un esame diagnostico o altra cura specialistica pure dovuta; e ancora la casa, vero dramma della nostra città, per molte famiglie sottoposte a condizioni di affitto insostenibili data la precarietà del lavoro o la scarsità di risorse su cui poter contare. Non secondario è anche l’impegno comune delle diverse componenti civili, etniche e religiose della nostra società, per promuovere conoscenza e incontro, mutua accoglienza, fraterne relazioni con immigrati e rifugiati, donne sole con minori, senza dimora e comunità Rom, su cui si è comunque attivato uno sforzo non indifferente – ad esempio per il superamento del degrado di alcuni campi – che non va vanificato, ma sostenuto e indirizzato su vie di accompagnamento e orientamento al lavoro, se vogliamo offrire a ciascuno un futuro di cittadino a tutti gli effetti.
-LA CULTURA: UN BENE E UN VALORE PER I POVERI
Tra i beni che possono e debbono essere a disposizione non solo di chi può pagarseli, vi è la cultura, patrimonio di tutti e per tutti, compresi i poveri, che ne hanno diritto come qualsiasi altro cittadino. Più volte ho chiesto che le iniziative culturali non siano limitate al centro storico, ma abitino anche le periferie della città, per animare e promuovere nella popolazione meno abbiente e che vive situazioni ambientali difficili quelle esigenze interiori e spirituali dell’anima con la gioia che nasce dallo stare insieme per gustare opere artistiche e culturali ricche di fascino e di valori emozionanti.
Non dimentichiamo poi che fa cultura anche la comunicazione e informazione delle cosiddette “buone pratiche”, che sono tutta quella miriade di opere buone che si compiono ogni giorno nella città e territorio mediante l’apporto di tante associazioni laiche e religiose, famiglie e singoli cittadini. Mi permetto su questo punto di invitare i mass media e gli stessi operatori del settore a far emergere nei loro programmi e servizi tali fatti positivi che danno speranza ed equilibrano quell’ampia accentuazione di fatti negativi e di cronaca nera che si rovesciano ogni giorno sulla vita della gente.
Il bene fa meno notizia e questo ostacola il suo espandersi nella mentalità delle persone, che hanno della società un’opinione sempre più problematica, tetra e scoraggiante. Io sono certo invece che nella nostra Diocesi e città è molto più ampio, capillare e forte il bene che il male, i fatti positivi che quelli negativi, anche se tutto ciò non fa rumore e non ottiene l’attenzione che meriterebbe.
-ACCOGLIENZA E ANNO DELLA MISERICORDIA
Ne è una prova evidente, riconosciuta anche a livello nazionale, questo fatto: la nostra Diocesi è stata ed è una delle prime in Italia ad aver accolto con grande disponibilità l’appello del Papa, insieme al mio, di aprire le porte delle proprie case e comunità parrocchiali e religiose ai fratelli e sorelle rifugiati e immigrati, cogliendo in questo segno un’opportunità grande per vivere e testimoniare in concreto il valore dell’accoglienza a trecentosessanta gradi, come si dice, senza remore o priorità o steccati di sorta. Sono state soprattutto le famiglie le più pronte, numerose e disponibili a quest’accoglienza, dimostrando quanto estesa sia la loro volontà di mettersi in gioco concretamente. Ora non possiamo lasciarle sole e vanno dunque sostenute in ogni modo da parte delle parrocchie e dei Comuni.
Questo riferimento ai rifugiati pone il risalto uno degli insegnamenti fondamentali del Signore: ogni persona al di là della sua nazionalità, cultura, religione va considerata come un fratello e una sorella da riconoscere e accogliere come la viva presenza di Gesu’ e va dunque amato e servito nelle sue necessità umane, religiose e sociali.
Non è facile far fronte a tanti drammi esistenziali che ci interpellano; ma abbiamo compreso che, se anche noi possiamo avere bisogno, c’è sempre qualcuno che ha più bisogno di noi e arranca nelle retrovie più estreme della società, privo delle condizioni elementari per vivere. È questo sguardo alle fasce meno protette e scartate della società che dobbiamo intensificare e che dovrebbero intensificare anche coloro che stanno ai piani alti della scala sociale o che si impegnano a farsi responsabili, come politici, del futuro di questa città.
Ripartire dagli ultimi e colmare il gap che esiste e spesso si allarga tra chi sta bene e chi soffre è un dovere civico e un obbligo morale primario, che non può essere delegato o circoscritto ai tanti volontari che se ne occupano con generosità o ai servizi sociali, ma attiene primariamente alla coscienza e all’impegno di ogni persona, in qualsiasi ambito professionale opera o ambiente della propria vita, ed è una precisa e inderogabile responsabilità da esercitare nei diversi campi della finanza, economia e lavoro e in particolare nel campo politico, che ha come scopo il bene comune di tutti i cittadini e la giustizia ed equità tra di loro. Sono lieto di constatare che su questo terreno dell’accoglienza l’impegno congiunto e la collaborazione anche tra Comuni e parrocchie e realtà associative si sta diffondendo a macchia d’olio e raggiunge territori sempre nuovi e diversi della nostra Diocesi. Occorre dunque educare a cominciare dalle nuove generazioni e incentivare questo preciso obbligo evangelico che attiene alla vita e missione delle nostre comunità.
L’Anno Santo ci ricorda anche un altro versante altrettanto importante di accoglienza che riguarda la sfera interiore e spirituale delle persone e che forse è addirittura più doloroso e faticoso di questi ambiti concreti delle povertà di cui ci preoccupiamo. Ce lo richiama bene il Papa, parlandoci dell’ospitalità che si attua mediante le opere di misericordia: non solo quelle corporali ben note (dare da mangiare a chi ha fame, da bere a chi ha sete, vestire chi è nudo, accogliere il forestiero, visitare i malati e i carcerati, seppellire i morti), ma quelle spirituali meno note (aiutare ad uscire dal dubbio che fa cadere nella paura e che spesso è fonte di solitudine; vincere l’ignoranza in cui vivono milioni di persone, soprattutto bambini, privati dell’aiuto necessario per essere riscattati dalla povertà; stare vicini a chi è solo e afflitto; perdonare chi ci offende e respingere ogni forma di rancore e di odio che porta alla violenza; avere pazienza sull’esempio di Dio che è tanto paziente con noi; affidare al Signore nella preghiera i nostri fratelli e sorelle, vivi e defunti). Credo che dovremo imparare a gestire le emergenze in modo che la scelta dell’accoglienza, a cui ci richiamano queste opere di misericordia sia corporale che spirituale, ci garantisca di aver attuato il comando del Signore, che ci ha detto: «Chi accoglie uno solo di questi fratelli più piccoli accoglie me» (cfr. Mt 25,31-46).
A volte penso che, quando diciamo il Confesso all’inizio della Messa e affermiamo di chiedere come singoli e comunità intera perdono per i peccati di omissione, dovremmo pensare a questo comando del Signore, perché spesso omettiamo di compiere tali opere per tanti motivi, considerati giusti e validi e in realtà frutto di indifferenza, di pregiudizi o di paure e chiusura del cuore. Se facciamo qualcosa che non va bene chiediamo perdono; se non facciamo qualcosa che dovremmo fare siamo portati a giustificarci facilmente.
-LA COMUNITA’, SOGGETTO DI ACCOGLIENZA
La Chiesa che papa Francesco ci delinea nella Evangelii gaudium è una comunità in uscita, dunque che apre le porte per andare verso le persone che vivono ai suoi margini o sono lontane dal punto di vista morale, culturale e sociale, e per accogliere quanti entrano in essa bisognosi di quella tenerezza di madre che essa deve esprimere verso ogni persona “povera” di Dio, di speranza, di amore, di pace e di giustizia. E qui si apre un vasto campo di conversione, perché troppe comunità risultano ancora spettatrici mute, invitati di pietra al banchetto della gioiosa accoglienza e dunque dell’amore vissuto e attuato con l’apporto di tutti. Ce ne sono, a dire il vero – e non poche –, che in questi ultimi tempi si sono aperte molto a un impegno non solo di singoli volontari o di gruppi ma di comunità in quanto tali, ma molto resta ancora da fare per far crescere questa sensibilità ecclesiale in ogni battezzato e in ogni cittadino. Ne fa fede il fatto che spesso chi “tira” in questo ambito della missione siano un po’ sempre le stesse persone, testimoni volenterosi e generosissimi che avrebbero però bisogno di nuove leve e di un sostegno meno esterno e più coinvolgente ben altre forze, che pure apprezzano e seguono con aiuti finanziari e stimano il loro servizio.
La Chiesa, per fare bene la carità, deve essere carità, dicevano i padri antichi; deve vivere come un cuor solo e un’anima sola soprattutto in quest’ambito della pastorale, così come celebra all’unisono l’Eucaristia domenicale, dove accanto ai vari ministeri di pochi c’è tutta l’assemblea che prega insieme e vive insieme l’esperienza della comunione e dell’unità nella fraternità. Per questo occorre superare l’idea dei volontari intesi come persone che si prestano a nome di tutta la comunità a svolgere il servizio ai poveri: la carità e la solidarietà non sono oggetto del volontariato di pochi, ma devono essere un dovere primario di ogni fedele e cittadino che assume l’impegno di viverli, per testimoniare al mondo la propria fede nel Vangelo e quell’impegno civile che pone il bene comune al primo posto rispetto al bene individuale.
Continuiamo dunque senza stancarci a puntare a quest’obiettivo, perché allora nessun traguardo ci sarà precluso, se cammineremo insieme e con i poveri, resi attivi protagonisti, perché il Signore moltiplica ogni nostro minimo sforzo ecclesiale facendolo diventare grande e fecondo all’inverosimile di frutti per tutti.
-CURARE LA VOCAZIONE AL SERVIZIO DI CIASCUN FEDELE E CITTADINO
Fa parte di questo rinnovato slancio ecclesiale e civile la cura delle “vocazioni” al servizio gratuito nella comunità non solo di anziani e adulti, ma anche di giovani, per far fronte ai tanti bisogni di povertà e sofferenza che assillano molti. Per questo invito tutti, ogni singolo fedele e cittadino, a non tirarsi indietro e a non passare oltre di fronte a una qualsiasi persona che incrocia la propria vita o la propria giornata e chiede in modo diretto o indiretto un sostegno umano, spirituale o materiale. Sappiamo che per adempiere efficacemente quest’impegno possiamo contare su una forza interiore e sulla potenza di Dio, che vale più di ogni sostegno umano, politico o sociale che sia. «Tutto posso – diceva l’apostolo Paolo – in Colui che mi dà la forza» (Fil 4,13).
-IL PELLEGRINAGGIO ALLA PORTA SANTA AL COTTOLENGO
Mi pare dunque che possiamo ben affermare che la nostra Diocesi sta celebrando il Giubileo della Misericordia nel suo significato più ampio possibile e lo fa con impegni e scelte concrete che realizzano da parte di molti le opere di misericordia sotto il segno dell’accoglienza.
Per questo vi invito, carissimi, a compiere insieme ai vostri assistiti un gesto significativo proprio dell’Anno Santo, da cui non possiamo e dobbiamo escludere i poveri: si tratta del passaggio della Porta Santa della Misericordia che abbiamo aperto al Cottolengo. Lo abbiamo fatto proprio per richiamare l’importanza di vivere il Giubileo a partire dalle opere di misericordia che al Cottolengo sono di casa per tutti, ospiti e operatori, e vengono attuate e vissute giorno per giorno. Allora vi chiedo di partecipare, voi volontari insieme ai poveri con cui avete a che fare ogni giorno, a un pellegrinaggio alla Porta Santa che abbiamo programmato il giorno 18 marzo alle ore 15 al Cottolengo, per vivere un momento di preghiera e di gioiosa accoglienza del perdono del Padre. Come abbiamo fatto in occasione dell’ostensione della Sindone, quando sono venuti anche da Roma gruppi di poveri a contemplare e pregare davanti al Sacro Lino.
Le suore e i padri del Cottolengo saranno ben lieti di ospitarvi nella loro chiesa per compiere con fede e fraternità tale pellegrinaggio e pregare sulla tomba di uno dei nostri Santi della carità, testimone esemplare di un’accoglienza che ancora oggi continua nel silenzio, ma nell’efficacia del dono offerto, a portare i suoi frutti per la nostra Chiesa e per tanti fratelli e sorelle infermi, poveri e bisognosi.
Vi rinnovo il mio grazie e la mia riconoscenza per il vostro prezioso servizio e la vostra testimonianza. Dio misericordioso e fedele vi conforti con la sua tenerezza di padre amorevole e provvidente. Buon incontro.
+Cesare Nosiglia
Arcivescovo di Torino»
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