Torino – 29 aprile 2016 – L’omelia dell’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, alla veglia per il mondo del lavoro in occasione della festa del 1° maggio 2016, pronunciata questa sera, a Torino, in cattedrale.
OMELIA DELL’ARCIVESCOVO DI TORINO, MONS. CESARE NOSIGLIA,
ALLA VEGLIA PER IL MONDO DEL LAVORO IN OCCASIONE DELLA FESTA DEL 1° MAGGIO
(Torino, Cattedrale, 29 aprile 2016, inizio omelia ore 21,15 circa)
«Cari amici,
la celebrazione del Giubileo, che ci ha visti passare poco fa la Porta Santa, ci introduce nella ricorrenza del 1° maggio ormai imminente per la festa del lavoro e, per noi credenti, nella festa di san Giuseppe patrono dei lavoratori. La Chiesa, presentandoci la figura e la vita di S. Giuseppe, artigiano di Nazareth, sposo di Maria e Padre putativo di Gesù, ci richiama all’azione di Dio, che fa del lavoro un’esperienza forte e ricca di valori, non solo umani e sociali, ma anche religiosi e spirituali. Gesù paragona infatti il Regno dei cieli ad un lavoro svolto a giornata in una vigna (Mt 20,1ss).
È bello pensare che il Figlio di Dio abbia fatto propria per molti anni la realtà del lavoro di suo padre Giuseppe, tanto da essere chiamato dai compaesani «il figlio del falegname» (Mt 13,55); realtà che a noi risulta dura ed impegnativa esperienza quotidiana. Gesù sembra voler dire con la sua scelta che il Regno si conquista anche con il nostro lavoro, che non è un’altra cosa rispetto alla preghiera e alla fede, ma rappresenta il terreno quotidiano in cui siamo chiamati a scorgere la via per giungere alla salvezza, contribuendo altresì a quella degli altri.
Certamente l’esperienza di lavoro di Gesù con suo padre ha inciso profondamente nella sua cultura e nella sua vita, tanto che non poche sono le parabole in cui Gesù richiama il mondo del lavoro. Quella che abbiano ascoltato è particolarmente adatta ai nostri tempi e ci presenta un datore di lavoro che possiede una fertile vigna ed esce a diverse ore del giorno per cercare operai; si preoccupa dunque che nessuno resti senza lavoro e non disdegna nemmeno di chiamare a lavorare coloro che, all’ultima ora, hanno pochissimo tempo per impegnarsi.
Nessuno, sembra dire il Signore, deve restare privo di lavoro, perché è lì che gli vengono riconosciute la dignità e le competenze appropriate per trovare il sostegno alla sua vita ed il benessere di cui ha diritto per sé e per i propri cari. Quest’anelito ampio e continuo nel cercare che tutti trovino un lavoro sottolinea come Dio sia dalla parte di chi lavora e come Egli desideri che ciascuno abbia sempre la possibilità di svolgere il proprio servizio ed essere remunerato con giustizia.
La disoccupazione e la precarietà o assenza di un impiego, per i giovani in particolare, è una piaga sociale che qui nel Nord Ovest si cerca di debellare; segni di ripresa ci sono e si vanno consolidando, ma purtroppo ancora tanti lavoratori e anche addetti ai quadri intermedi e professionisti qualificati si trovano improvvisamente, in un’età ormai considerata avanzata, a casa dopo anni e anni di lavoro o debbono restare senza occupazione, con gravi ripercussioni sulla famiglia e la serenità della vita e del futuro. Assai grave rimane anche la situazione di tanti giovani che, sfiduciati, non studiano più e nemmeno cercano impiego, rimanendo in una specie di limbo che umilia la loro dignità di persona e tarpa le ali al loro domani.
Il Papa, nel suo discorso in piazzetta Reale il 21 giugno scorso, ha detto con forza: «È giunto il tempo di riattivare una solidarietà effettiva tra adulti e giovani per ricuperare fiducia reciproca, dando vita a un patto sociale e generazionale. Questo comporta aprire nuove possibilità di credito per nuove iniziative, attivare un costante orientamento e accompagnamento al lavoro, sostenere l’apprendistato e il raccordo tra imprese, l’alternanza scuola-lavoro, la scuola professionale e l’Università. A Torino e nel suo territorio esistono ancora notevoli potenzialità da investire per la creazione di lavoro».
Chiedo pertanto con insistenza – come ho già fatto in questi mesi – che tale problema sia preso in seria e convinta considerazione da tutte le componenti del mondo del lavoro e della società, a cominciare dalla politica, e non solo, come spesso si usa in questo momento, con promesse o riferimenti a impegni pure importanti promossi nel nostro territorio, ma con un comune progetto concreto, fattibile e realizzabile nel breve periodo, da parte di quanti hanno attivamente partecipato all’Agorà del sociale negli scorsi anni. Iniziative importanti ma circoscritte non possono affrontare il problema se non parzialmente: occorre un’ampia alleanza strategica e convergente su alcuni obiettivi concreti e precisi, su cui ognuno faccia la propria parte, ma operando insieme e perseguendo obiettivi comuni e tralasciando i rispettivi interessi o programmi di parte. Ci stiamo giocando il futuro di intere generazioni di giovani, per cui è necessario dare loro la prova che, come mondo degli adulti, ci sentiamo responsabili insieme con loro dei problemi che li assillano.
«Nessuno ci ha presi a giornata», dicono nella parabola gli operai dell’ultima ora; e il padrone risponde: «Andate anche voi nella mia vigna» (Mt 20,7). Il diritto al lavoro resta il punto centrale di ogni società, di ogni sviluppo, ed esige dunque il massimo di impegno da parte di tutti. Il diritto al lavoro porta con sé quello di condizioni dignitose ed umane del lavoro stesso, rispettoso di altri importanti diritti quali la famiglia, il tempo libero, il riposo.
C’è inoltre un altro aspetto del lavoro che oggi sta venendo meno: è la solidarietà tra tutti i lavoratori. Certo a ciascuno è dovuto un giusto salario e un uguale sostegno per una vita dignitosa ed un futuro assicurato, ma resta anche determinante promuovere un ambiente di lavoro dove ogni personale possa sentirsi a proprio agio, parte di una squadra in cui ognuno è valorizzato e non “scartato”, un gruppo che accoglie e opera fraternamente e non discrimina nessuno. Giustizia, fraternità e solidarietà camminano insieme e si realizzano tra i lavoratori quando ci si rende conto che le difficoltà di alcuni sono difficoltà di tutti e i diritti di alcuni sono da difendere e promuovere come diritti di tutti. Questa è la certezza che deve animare il cristiano anche nel mondo del lavoro, dove sembrano prevalere logiche e leggi assolute e dove ci si sente come schiacciati da una realtà che appare a volte invincibile e di cui si è succubi.
È necessario che non dall’esterno, ma dal di dentro dell’esperienza lavorativa, dal di dentro di ogni ambiente di lavoro, i cristiani sappiano proporsi come lievito e forza di cambiamento interiore e sociale dell’uomo che lavora, valorizzando le grandi energie di comunione e di unità che sono proprie della tradizione sociale cristiana e che una diffusa cultura individualistica ed economicista tende a snaturare e a distruggere. Se vogliamo che l’uomo sia al centro del lavoro, occorre che su questo tutte le forze sociali puntino con grande determinazione e siano coerenti poi nel mantenere fermo questo obiettivo, perseguendolo non solo sul piano sociale ma anche culturale e spirituale.
La fede in Cristo ci aiuta a raggiungere questo traguardo. Noi sappiamo infatti che chi crede immette anche nel mondo del lavoro la forza sconvolgente della Pasqua di risurrezione del Signore. La risurrezione di Cristo è il fondamento ultimo di una speranza vitale, che investe l’azione sociale di chi crede in essa e diventa fermento di cambiamento anche dell’intera società. Tutto deve dunque convergere verso questo centro vivo della fede cristiana, da cui scaturiscono forza e vigore di ideali e di speranza non vacua ma efficace per la nostra vita personale, familiare, sociale.
Il punto decisivo è unire insieme, sempre con vigore, anzitutto nella nostra coscienza, la promozione della giustizia e la solidarietà verso i più deboli ed indifesi. La giustizia passa attraverso la volontà di abbattere le sperequazioni esistenti, anche sul piano economico e finanziario, sia nei rapporti personali che in quelli collettivi. I cristiani non possono tacere di fronte alle ingiustizie, alla corruzione e a forme a volte larvate di disequità, perpetuate verso le categorie meno protette nel mondo del lavoro, come spesso sono le donne e i precari. Se agiscono nel sociale, debbono farlo salvaguardando sempre tre principî basilari:
–il primato dell’uomo e di ogni persona sulle cose;
–il primato dell’essere sull’avere;
–il primato della condivisione e della solidarietà sul possesso.
Solo così si supera una visione del lavoro ridotto a merce, oggetto di scambio e puro strumento di profitto, staccando dunque l’attività economica dal contesto della vita umana e rendendola fine a se stessa. Se il primato è dato al rendimento e alla tecnologia, non alla persona, l’uomo è frantumato e il lavoro non è più luogo di crescita, ma avvilente necessità. Occorre dunque umanizzare il lavoro e questo è e resta sempre l’obiettivo di ogni società e di ogni azione dei cristiani nell’ambito del sociale. Il Papa, nell’incontro a Torino con il mondo del lavoro, ha invitato a perseguire un modello economico che non sia organizzato in funzione del solo capitale e della produzione, ma piuttosto del bene comune. Un lavoro quindi che ci sia per tutti e sia un lavoro degno di ogni lavoratore, svolto nella sicurezza, attento al rispetto dell’ambiente, del tempo da dedicare alla propria famiglia e aperto a forme di sostegno sociale delle fasce più deboli e povere del territorio.
Carissimi,
chiediamo la forza di operare perché, quanto il Vangelo del lavoro ci indica nella testimonianza di Cristo e di san Giuseppe, sia vissuto da noi credenti con sicura fede e speranza e mai vengano meno la tensione e l’impegno a far sì che il lavoro promuova l’uomo in tutte le sue dimensioni, umana, spirituale, familiare e sociale; un lavoro giustamente retribuito in cui la solidarietà sia vissuta da tutti i lavoratori con spirito di coraggio e di servizio gli uni verso gli altri; un lavoro che apra prospettive di sicurezza e di speranza per ogni uomo, soprattutto per i più poveri e bisognosi.
A san Giuseppe, patrono dei lavoratori, affidiamo le nostre preghiere e chiediamo la sua potente intercessione, perché anche in questo nostro territorio e tempo l’uomo che lavora possa guardare avanti nella vita con rinnovata fiducia e serena certezza di poter trovare nel proprio lavoro il sostegno necessario alla sua vita e a quella dei suoi cari.
+ Cesare Nosiglia
Arcivescovo di Torino»
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