SANTENA – 10 marzo 2018 – A Carmagnola inizia il conto alla rovescia per l’avvio della Campagna 2018. Distretto del Cibo per superare il vuoto di idee delle istituzioni competenti. Asparago significa tradizione, studio, innovazione, ricerca, lavoro, sperimentazione e selezione di nuove varietà coltivate in modo salubre, produttivo e sostenibile. Un modello che punta sulla vendita diretta in cascina.
5) Domenica la semina. Domenica mattina, 11 marzo, in Piazza Italia, nel Padiglione Italia, della 554° Fiera Primaverile di Carmagnola sarà firmato l’accordo per le prove di selezione di nuove varietà di asparago tra l’Istituto d’Istruzione Superiore Statale BALDESSANO-ROCCATI, l’Associazione Produttori Asparago di Santena e delle Terre del Pianalto, Agrion Cuneo, Associazione Amici Fondazione Camillo Cavour di Santena. L’accordo completa e sostanzia la Convenzione per l’Alternanza Scuola-Lavoro siglata il 12 gennaio 2016. In mostra: la semina, le zampe e le piantine di asparago della campagna 2018.
2) L’asparago va a scuola. Da quest’anno l’asparagiaia, impiantata tre anni fa nei terreni dell’Istituto Agrario di Carmagnola, entra in piena produzione. Visto il positivo risultato raggiunto, adesso si avvia la sperimentazione e la selezione tramite la semina, in vivaio e poi in terreno, di nuove varietà di asparagi. L’Associazione Produttori Asparago fornirà i semi di prova e darà l’assistenza tecnica per la loro coltivazione, avvalendosi dell’esperienza della Azienda Agricola Griva di Santena e di altre aziende iscritte all’Associazione.
3) Selezione e sperimentazione. La collaborazione è finalizzata alla formazione e istruzione di persone adatte a dare un contributo per la produzione di asparagi e di ortaggi nel territorio di quello che, a tutti gli effetti, è un vero distretto. Un Distretto del Cibo metropolitano, che dà vita a un sistema di produzione di cibo sostenibile, facilmente accessibile e di qualità, integrato con il tessuto culturale, turistico, commerciale, sanitario, alberghiero, ricreativo, paesaggistico, architettonico, logistico e agroalimentare. Un sistema in cui un ruolo importante di istruzione e formazione è svolto dall’IISS “Baldessano-Roccati” di Carmagnola.
4) Aperte le iscrizioni all’Associazione. L’area territoriale di riferimento dell’Asparago di Santena e delle Terre del Pianalto comprende i seguenti Comuni della Provincia, oggi Città Metropolitana di Torino: Carmagnola (limitatamente alle località Casanova e Vallongo), Cambiano, Chieri (limitatamente alle località Fontaneto, Mosi e Mosetti), Isolabella, Poirino, Pralormo, Santena, Trofarello e Villastellone. (Per informazioni tel. 3470570302).
5) Franzo, amico di A. Fenoglio. Renzo Franzo è morto a 103 anni. Amava Santena, perché era un estimatore e conoscitore dell’opera e dell’azione di Camillo Cavour. Amico del Dottor Arrigo Fenoglio, indimenticabile Veterinario e Sindaco, ricordava con piacere le Sagre dell’Asparago del 1964 e del 2011. Era nato a Palestro nel 1914, anno d’inizio della Grande Guerra. Presidente del Comitato di Liberazione Nazionale, fu eletto deputato per la Democrazia Cristiana per cinque legislature dal 1948 al 1968. Ufficiale dei bersaglieri durante il II conflitto mondiale, a Palestro sfoggiava orgogliosamente il cappello piumato nelle celebrazioni dedicate alla guerra d’indipendenza del 1859. Franzo è stato Presidente dell’Ente Nazionale Risi, Presidente di Coldiretti Piemontese e Presidente nazionale dell’Uma.
6) Museo cavouriano mondiale. Torino e Santena hanno l’occasione unica di allestire un nuovo museo dedicato all’azione e all’opera degli Italiani vissuti nella Penisola e nel Mondo prima, durante e dopo il Risorgimento. Mentre si stanno per avviare i lavori di restauro nel Castello Cavour, si può già lavorare perché il Museo ridiventi un centro di elaborazione della memoria patria, ritornando ai fasti di Italia ‘61. Tra i tanti sul Risorgimento, il nostro può fare da filo conduttore che unisce e collega quelli sparsi nelle città italiane e all’estero. Un museo “allargato”, grazie al web, di dimensione mondiale, capace di comprendere gli altri, dando a tutti un nuovo senso, aggiornato ai tempi e alle differenti dimensioni, visioni e interpretazioni. Un’operazione culturale su cui le istituzioni devono investire per ricavare una lettura meno miope del complesso processo sfociato nella formazione dello Stato unitario. Ma non solo. Un’operazione che, collegandosi con le grandi istituzioni museali e culturali internazionali, può dare benefici in termini di ricerca, innovazione, investimenti, occupazione e sviluppo 4.0.
7) XVII. 1797, Pietro Valle è fucilato. Tutti sapevano quanto le strade notturne fossero insicure, impraticabili, popolate da masche e banditi. Per le consegne superiori ai 25 chilometri, a seconda della stagione, bisognava dormire fuori. Quello strano pomeriggio Andrea non andò in centro, a segnarsi in San Secondo. In un angolo dell’osteria sei persone confabulavano. Non erano garzoni e neppure contadini, si vedeva dalle mani. Neppure commercianti o mediatori, non parlavano di soldi. Comunque erano persone ordinarie. Pietro, il bettoliere, lo invitò ad avvicinarsi. Si misero d’accordo per la notte. Il cavallo doveva riposare. Lui invece avrebbe dormito sul fienile, pronto a partire appena faceva luce. Da Asti a Cherasco ci volevano nove ore, al minimo. Al tavolo discutevano un carradore, un barbiere, un pretino, un avvocato e due camerieri. Nessun nobile. Si diceva ci fosse già stato un morto. L’indomani, di sicuro, sarebbe successo qualcosa di grosso. Bisognava essere decisi. I Francesi, una volta saputo che loro combattevano per Napoleone, sarebbero subito intervenuti in soccorso. La riunione durò quattro ore poi se ne andarono convinti di fare come a Parigi. La serata trascorse, fin troppo tranquilla. Alle cinque Andrea fu svegliato dal trambusto. Nel cortile sfilavano fucili, pistole, forconi, mazze, zappe, coltelli e spade. Andavano verso il centro della città. Pietro con la sua gamba di legno e la stampella, una pistola in mano, dirigeva l’operazione. “Fammi un favore. Mettiti in viaggio subito. Porta questa lettera a San Martino ”. Era chiusa in una busta. Non c’era il nome del destinatario. “Lasciala nel tronco del gelso morone di fianco alla chiesetta di San Rocco, sulla strada che va da San Martino a Govone. Se ti fermano di che la devi lasciare nella parrocchia di San Martino, quella sotto il Castello. Passa da Antignano, la strada da quella parte è più sicura. Ma fai in fretta, che stavolta facciamo la rivoluzione”. Andrea si sentì importante, infilò la busta nella tasca della giacca di fustagno comprata a Chieri. Tirò fuori dalla stalla il cavallo. Gli diede da mangiare. Lo attaccò alle stanghe del carro. Coprì le botti con la cerata. In pochi minuti era sulla via del ritorno. Dal centro di Asti si sentivano provenire colpi, urla e scoppi. Fu tentato di tornare indietro a curiosare, per poter raccontare. Cambiò subito idea. Doveva tornare perché c’erano la vigna da accudire, le botti da svuotare, il fieno da portare sulla stalla, l’orto da vangare e la mucca doveva fare. Fuori Asti, passata la Borbore, sotto al Chiossetto, la cascina che è appartenuta a Isacco Artom, fu fermato dai soldati del Re. Gli chiesero se venisse da Asti. Gli chiesero cosa nascondesse. Lo perquisirono. Trovarono la lettera. L’aprirono. C’era scritto “qui tutto procede come deve essere” firmato, Pietro. Il sergente biondo con i baffi lo interrogò, puntandogli la spada. Andrea disse che uscendo da Asti, un tale gli aveva chiesto per favore di portare la busta in chiesa, di posarla nel confessionale a sinistra. Non sapeva né chi era ‘sto Pietro né chi era il destinatario.
Sequestrarono la lettera. Gli chiesero dove fosse diretto e in quale cascina di Cherasco fosse mezzadro. Avevano fretta. Chiesero se sapeva ciò che stava succedendo in città. Se c’erano blocchi stradali. Rispose che non ne aveva la minima idea. Guardavano verso Asti. Ogni tanto si udiva un boato. Erano colpi di cannone. L’impazienza di correre in soccorso delle autorità ebbe il soppravvento. Fu la salvezza di Andrea. “Ci faremo senz’altro sentire”. Fortunatamente lo lasciarono andare. Maledì la sua stupidaggine. A casa non fece parola dell’accaduto.
Il primo agosto seppe che il giorno della sua partenza, ad Asti era scoppiata una furibonda rivolta. Che era durata due notti e tre giorni. Che c’erano stati morti, feriti e arresti. Che i capi della rivoluzione erano stati imprigionati. Che tutti sarebbero stati fucilati. Dicevano fossero tutti avvocati e medici. Che la rivoluzione era guidata da gente altolocata, invidiosa, ambiziosa e traditrice. Più tardi Andrea scoprì che non era vero. Erano brave persone però non bisognava dirlo. E non era neppure vero che c’erano solo altolocati. Faceva comodo dire che il popolo non aveva partecipato alla rivolta. Fece comodo dirlo anche dopo. Qualcuno lo afferma ancor oggi. Invece sulle piazze c’erano i popolani e la categoria più numerosa dei condannati era formata da osti. In prima fila c’era il suo amico Pietro Giacomo Valle. Non poteva essere che così perché le osterie erano centri sociali in cui, tra gli altri, si incontravano persone provenienti da altri luoghi, appartenenti a categorie nuove, desiderose di cambiare il sistema. Pietro era dipinto come un essere orribile, con una gamba di legno, pronto ad uccidere a sangue freddo a pistolettate un bravo padre di famiglia.
Il peggio arrivò il 10 agosto, San Lorenzo. Il mondo gli crollò addosso. Entrarono nell’aia i gendarmi. Gli chiesero della lettera e se l’autore fosse il tal Pietro Valle, l’oste cui aveva venduto il vino. Sapevano tutto o quasi. Avevano spie ovunque, anche a Cherasco. Lo accusavano di essere uno dei portalettere dei rivoluzionari. Quello incaricato di portare ordini nelle altre città per far scoppiare la rivolta tutt’intorno. Dissero che l’avrebbero arrestato e poi fucilato. Doveva fare subito i nomi dei complici. Si sentì morire. In cascina tutti piangevano impauriti. Riuscì, non si sa come, a trattenere il panico. Non sapeva niente e non era stato Pietro Valle a dargli la lettera. Fu fortunato. I Morra attribuirono la salvezza alla intercessione del santo martire, arrostito sulla griglia. In verità il clima era cambiato rapidamente. Già allora l’arte della politica era trovare i giusti compromessi, gli equilibri, tra interessi configgenti. Dopo gli arresti e le torture, l’ordine superiore adesso diceva di calmare gli animi. La rivolta era finita. Le autorità volevano normalizzare la situazione. I Francesi se n’erano lavati le mani. Bastava fare le fucilazioni già decise. Le torture cui erano stati sottoposti i prigionieri, avevano strappato le necessarie confessioni. Stesse disposizioni circolavano a Chieri e nella borgata di Santena. In tutte le case, compresa quella dei Cavour, si seguivano gli avvenimenti con apprensione. Coscienti che tutto avvenisse in barba alle elucubrazioni anti sevizie del caro Jean Jacques De Sellon, fratello della futura mamma di Camillo, e seguace di Cesare Beccaria l’autore del volume “Dei delitti e delle pene”. Preoccupati che pure in Piemonte potesse accadere ciò che era successo ai loro parenti savoiardi con la rivoluzione francese, i Benso seguivano con apprensione gli eventi. Tremarono quando, proveniente da Chieri passò davanti al Castello un corteo di villani che cantavano la Marsigliese. Dicevano fossero diretti a Carmagnola e poi a Bra. Quell’esperienza insegnò a loro e a tanti altri, che il Bonapartismo, dopo il Giacobinismo, era la stabilità e la normalizzazione. Morti, torture e violenze giocarono in favore del povero Andrea lasciando spazio a un clima ormai rilassato. Lo aiutò la consapevolezza savoiarda che Napoleone aveva giocato un brutto scherzo ai rivoluzionari. Non essendo interessato alle loro idee, Bonaparte li aveva tranquillamente lasciati in pasto alle truppe inviate dal Re di Sardegna. Lui era interessato alla Lombardia e al resto d’Italia e soprattutto a regolare i conti col Direttorio a Parigi. Infatti, solo in seguito avrebbe messo a posto anche il Reame di Sardegna, annettendolo direttamente all’Impero, nel 1802.
Dei riottosi sudditi non gliene importava nulla. Anzi, presentandosi come uomo d’ordine e controrivoluzionario, puntava a portare dalla sua parte la nobiltà e l’alta e media borghesia. Così la pensava Filippina di Sales, la tenera e ingenua sposina del nonno Benso venuta dalla Savoia, rivelatasi una perfetta e raffinata stratega politica. Fu lei, infatti, a far compiere alla famiglia la giravolta politica. Dopo Marengo, Napoleone ormai rappresentava la calma che seguiva alla tempesta rivoluzionaria del 1789. A lui e non al Re Carlo Emanuele IV, dovevano rivolgersi le attese e i favori dei Benso. Filippina dopo il 1800 investì sull’Imperatore. I Benso e con loro altre famiglie meno reazionarie e conservatrici, passata la buriana, fatte le necessarie fucilazioni, sedate col terrore le folle, videro nel Bonaparte colui che tutelava al meglio i loro interessi. Questo stesso clima politico salvò la pelle di Andrea. Due settimane dopo i fatti di Asti e di Chieri il potere non aveva interesse a scatenare più paure del necessario. L’interrogatorio, via via meno pesante, durò tutto il giorno. La mamma e la nonna dovettero preparare un pranzo per i gendarmi e il magistrato. Tre galli ci rimisero le piume. Prima fu servita una zuppa di verdure, con il piedino del porco messo in salamoia. Il vino di Cherasco fu molto apprezzato dagli interroganti. Ciascuno, nel pomeriggio, se ne andò con le tasche piene di uova, formaggio stagionato e un’anatra spennata a testa. Il 24 agosto Andrea seppe che il suo amico Pietro Valle era stato fucilato, il giorno prima, su una piazza di Asti. Colpevole, per essere uno degli organizzatori e capi della rivolta e per aver sparato un colpo di pistola a un tale che voleva opporsi alla loro azione.
Visto lo scampato pericolo, i Morra se la segnarono al dito, scomparendo dalla vista di tutti coloro che non rientravano nella ristretta cerchia della famiglia e del lavoro. L’esilio casalingo durò fino al 1819. L’anno della famosa lettera del piccolo Camillo al Papà. Intanto nel 1800 nacque Matteo, il vero capostipite dei Morra. Una famiglia dell’alta aristocrazia contadina protagonista della storia delle Langhe, Monferrato e Roero, del Piemonte, dell’Italia e dell’Europa.
Gino Anchisi
da Santena, La città di Camillo Cavour, 10 marzo 2018.
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