Chierese-Carmagnolese uniti per tutelare l’alimentazione. Puntata 114.

SANTENA – 24 marzo 2018 – Santena-Leri-Poveri Vecchi e i capolavori al Louvre. La forza di una foto cult. Per bilanciare gli interessi agricoli, serve la lobby degli orticoltori, professionisti e amatoriali: uniti per tutelare l’accesso dei cittadini alle verdure: alimenti indispensabili alla salute e al benessere umano.

1) Due secoli in una foto. L’autore è Aurelio Riva. Classe 1952. Scattata con una Reflex Exacta, costata un mese di stipendio da operaio della Stars. “Ero impallinato dalla fotografia. Per qualche anno ho fatto una valanga di foto che sviluppavo nella camera oscura. Poi, la passione è passata”. …“Era un sabato mattina di fine maggio 1977. Lo si vede dal grano già alto alle spalle del raccoglitore. A piedi passavo dalle parti del Brin, vicino al Pilone. Vidi Martino Elia, di Tetti Elia. Gli domandai se potevo fotografarlo. Mi chiese chi fossi. Risposi che ero il marito di Marilena Lisa, e Lui, in dialetto, aggiunse “la figlia del figlio del Lisun che tosava i cavalli”. “Si scusò. Aveva sospettato fossi un ladro di asparagi. Tolse il cappello, passò la mano sui capelli, e se lo rimise in testa. Scatta pure”. …“L’emozione era forte, se notate non è completa, è tagliata sui piedi. Tornai a casa, la sviluppai, dopo qualche giorno la presentai al concorso fotografico organizzato dalla festa dell’Unità di Santena, nel Parco Cavour. Vinse il primo premio”.

2) La forza del folclore.  E’ una foto cult che fa parte del patrimonio di Santena e del Pianalto. La sua forza sta nella rappresentazione del lavoro agricolo. L’abbigliamento porta indietro nel tempo, in pieno Ottocento. Così erano vestiti i contemporanei di Camillo Cavour, i nostri antenati al lavoro nei campi e nell’aia. Le rughe sul volto raccontano lunghe esposizioni all’aria e al sole. Al caldo, al freddo che faceva venire i geloni. All’acqua fresca del pozzo, per la faccia, le mani e il bere. La mano destra col “Ciat” in pugno, è grande, ancora forte, nonostante l’avanzante deformazione, ben distinta dal polso ossuto. Un intrigo di rughe, vene, peli e calli, trasformato in un vero e proprio attrezzo da lavoro, fatto di carne e ossa usurate, rivestite di dura e resistente pelle. Il modo di tenere gli asparagi, indica una manualità e praticità studiate per abbreviare i tempi, le fatiche e la complessità della raccolta. Il bianco dell’asparago riproduce l’antica abitudine di tagliare in profondità il germoglio, dettata della necessità di fare peso, ma anche di conservare la freschezza della punta che nutriva i ricchi borghesi torinesi.

3) Il PSR non basta. Serve il Distretto del Cibo. Lo spiega l’Atlante del Cibo a pag. 3. “…La scarsa efficacia della Politica Agricola Comune (PAC) e, in particolare, dei Programmi di Sviluppo Rurale (PSR) nelle zone urbane e periurbane, rimarcata anche dalle più recenti esperienze di ricerca, ha fortemente compromesso il mantenimento e lo sviluppo dell’agricoltura in tali aree. Il sostegno delle zone rurali, la mancanza di criteri e priorità territoriali coerenti con le finalità paesaggistiche e territoriali regionali, così come la scarsa integrazione con le altre politiche settoriali, hanno dunque contribuito al rafforzamento di una distribuzione de-territorializzata del sostegno, anche in Piemonte”.

4) Crescono gli orti di Torino. Orti urbani e aree agricole di Torino nel 2015 rappresentano un po’ di più del 9% del verde urbano totale ed equivalgono a 2,2 mq di verde per abitante. Se agli orti municipali aggiungiamo l’attuale dimensione degli orti privati e spontanei, il contributo dell’agricoltura urbana alla disponibilità di verde urbano a Torino salirebbe al 18%, con quasi 5 mq ad abitante. Gli orti rappresentano la tipologia di verde urbano che ha avuto la maggiore crescita negli ultimi anni. Nell’arco degli ultimi cinque anni, la superficie di orti, ottenuta mediante le realizzazioni delle Circoscrizioni della Città, è più che raddoppiata, passando da 52.115 mq a 104.966 mq. (Fonte Atlante del Cibo 2017. Torino Food System pag.19)

5) Orti Metropolitani e distretto del cibo. La Città Metropolitana ha molti orti, in particolare nella Zona Omogenea del Chierese-Carmagnolese. Per controbilanciare il peso politico delle lobby che operano in agricoltura, e che pesano sulle risorse del PSR e dell’Unione Europea è necessario che gli orticoltori, professionisti e amatoriali, uniscano le loro forze formando il Distretto del Cibo metropolitano.

6) Cosa si coltiva nei dintorni? La coltivazione di ortaggi è concentrata nei comuni a sud e a est di Torino, con un addensamento nei comuni di Carmagnola, Santena, Trofarello, Cambiano, Chieri, Poirino, Isolabella, Villastellone, Andezeno e Moncalieri. In questa stessa porzione dell’area metropolitana torinese si concentra anche la maggior parte dei territori di produzione degli ortaggi riconosciuti come prodotti tipici dal Paniere della Provincia di Torino e dai Presidi Slow Food. Nello specifico: l’asparago di Santena, il cavolfiore di Moncalieri, il topinambur di Carignano, la cipolla piattina bionda di Andezeno, il ravanello lungo di Torino, il peperone di Carmagnola. (Atlante del Cibo. Torino Food System pag. 15)

7) XIX. I Morra e le Opere del Louvre. I Morra sono stati protagonisti di rivolgimenti sociali dalla Rivoluzione francese fino ai giorni nostri. Subito rimasero bruciati. Solo dopo vent’anni si resero conto che la causa dei loro dispiaceri, quel Pietro Valle, bettoliere, non aveva capito quanto Napoleone fosse differente dai Giacobini e compagni. Pietro fu un capro espiatorio, come, in un certo senso lo fu, Maximilien Robespierre.

I Morra, da bravi mezzadri, ebbero almeno la fortuna di poter stare da parte. Rientrarono in scena dopo la fine di Napoleone. E lì avvenne un miracolo. Per combinazione la loro vita riprese in coincidenza con il processo di innovazione nella produzione del vino nelle Langhe, Monferrato, Roero. Fu la loro fortuna. In questo modo intrecciarono il loro destino con Grinzane, San Martino Alfieri, Santena, Torino, il Piemonte, l’Italia e l’Europa.

Rientrarono in scena quando si mise in moto l’ascensore sociale che per l’Italia e per i Paesi dell’Europa occidentale ha operato dal 1750 fino all’inizio degli anni Ottanta del Novecento. Una fase di crescita sociale quasi continua, terminata nel 2008. Un breve e circoscritto lasso di tempo, nella storia dell’umanità, che la nuova globalizzazione ha bruciato, riportando di attualità l’esigenza di un governo mondiale che faccia giustizia. L’Ottocento, per quelli come i Morra iniziò con una forte insicurezza. La vicenda della Repubblica di Asti restò fissa nella memoria famigliare per oltre un secolo. Fino alla prima guerra mondiale, poi passò nel dimenticatoio per lasciare spazio ad altre. Comunque dopo Napoleone, le cose migliorarono. La Restaurazione, pur contrassegnata da ambiguità e pregiudizi, non era in grado di frenare la modernizzazione innescata dall’Illuminismo e dalle scoperte scientifiche e tecniche. Ormai i nuovi ceti emersi a livello sociale e politico esigevano di governare e gestire i loro interessi.

L’essere mezzadri di Giulia e Tancredi di Barolo li aiutò. I nuovi padroni non erano né reazionari, né codini. Sapevano cogliere i segni del tempo e ascoltare la domanda di nuovi servizi e di sicurezza che veniva dalle categorie che col lavoro manuale producevano ricchezza. L’Illuminismo creò il contesto che poneva il lavoro e il lavoratore, il prodotto e la produzione in primo piano. Come scrissero Adam Smith e Cesare Beccaria la ricchezza, nella visione rivoluzionaria, era formata dalla produttività del lavoro. E se al lavoro veniva riconosciuta una funzione centrale, era naturale che si affermasse il ruolo sociale dell’imprenditore e del lavoratore. Anche la Chiesa e con essa il clero, stava cambiando.

Successe che dopo la caduta di Napoleone il Mediterraneo non fu più lo stesso. Le super potenze al Congresso di Vienna, senza volerlo modificarono gli equilibri italiani, quando decisero di incollare la Liguria e il Piemonte. E chi fu uno degli artefici della decisione? Quel Carlo Emanuele Alfieri che incontreremo ancora per un po’ di tempo. Con il porto di Genova le cose, per il Regno di Sardegna, per l’Italia, per la Francia e per il Mediterraneo non furono più come prima.

Tutte queste cose Matteo le seppe da un tipo sveglio.  Quel tale di Santena, da cui aveva comprato la mucca e che si chiamava Bosco. A proposito, la tomba dei Bosco, fattori di Camillo Cavour, è ancora visibile nel cimitero di Santena. Un raro, splendido, monumento storico all’aristocrazia rurale e contadina dell’Ottocento. Matteo raccontò a Bosco la storia di Valle-Robespierre. Il Santenese, per contro,  gli parlò di un medico di Santena, un Cavaglià o Cavajà, che pure era soprannominato Robespierre, che, avendo simpatizzato per i francesi nel modo giusto, era vivo e vegeto e comprava la Cascina Massetta.

Erano davvero anni di radicali cambiamenti. L’alta borghesia salvava la vecchia e stanca nobiltà. La media e la bassa borghesia si alleavano talvolta con il popolo lavoratore per acquisire quote e ambiti di potere. Per capire appieno le faccende bisogna ritornare al mitico 1819 e al terrazzo, di cui scrive il piccolo Camillo nella letterina, indirizzata al papà Michele. Da quel terrazzo ci si accorge quanto i castelli di Bellangero e San Martino siano vicini. Due basi operative di una strategia politica, imprenditoriale e famigliare, incuneata nei processi in corso intorno ai posti di comando nella corte di Torino. Bellangero e San Martino sono terre di produzione del vino collegate con Grinzane e tramite essa con La Morra e con Pollenzo.

Tra i due castelli c’è il Tanaro, il cui bacino raccoglie le acque di Langhe, Monferrato e Roero. Attenzione: il Tanaro è il corso d’acqua, insieme al Po che riunisce la storia della pianura e delle colline piemontesi. Per milioni di anni scorrendo a sud della collina di Torino, ha accomunato il Chierese-Carmagnolese, alle Langhe, al Roero, al Monferrato. E’ per questo che nel Pianalto e a Santena dall’inizio dei tempi si è depositata, insieme a quella trasportata dai venti del Sahara, la finissima sabbia in cui crescono gli asparagi verdi più pregiati d’Italia. Poi Tanaro e Po si sono separati per ritrovarsi, stavolta sotto Alessandria. Il primo passando per Bra, Pollenzo, Alba e Asti. Il secondo aggirando la collina di Torino da Nord. E’ per questo che  il legame territoriale tra il Pianalto e le Colline è sempre rimasto forte e produttivo.

Dalla lettera di Bellangero si scopre che i Benso di Cavour, il giovedì successivo, furono ospiti di Carlo Emanuele Alfieri di Sostegno, padre di Cesare il grande amico di Camillo Cavour.

Quella lettera conferma legami famigliari inossidabili tra gli Alfieri e i Benso. Così forti da rivelare, che è in corso una vera e propria operazione politica di vitale importanza per tutti gli Italiani. Da cinque anni, cioè da quando Napoleone era caduto, i Cavour stavano lavorando per risalire la china del potere. Non era facile. Si erano troppo sbilanciati verso i Francesi. Non avevano preparato una strategia di rientro all’altezza di quella realizzata dagli Alfieri. L’Ottocento era iniziato imponendo grandi sforzi ed equilibrismi a tutti. In poco tempo passarono quattro regimi diversi: la Monarchia assoluta sabauda, la Repubblica, l’Impero di Napoleone I e la Restaurazione. Decidere cosa fare, e come e con chi stare non era agevole. Quando i Francesi la prima volta invasero il Piemonte, nobili e non nobili, stettero con i Savoia. Poi la situazione si fece più complicata. Dopo i furori della Rivoluzione, Napoleone rappresentava l’elemento di stabilità, sicurezza e cambiamento. Il Bonaparte seppe legare gli interessi dei possidenti e dei ceti sociali più bassi ma produttivi alle riforme e alle aspirazioni di chi voleva affrancarsi dalle logiche di antichi privilegi e da corporazioni che soffocavano lo sviluppo sociale ed economico. Fu così che dal 1802 anche gli Alfieri di Sostegno, i Benso di Cavour, i D’Azeglio, i Balbo e tanti altri si misero a piena disposizione dei Francesi entrando nella corte di Camillo Borghese e di Paolina Bonaparte, governatori del Piemonte. Il legame per i Benso si consolidò ulteriormente nel 1810, quando i due famigli dell’Imperatore fecero addirittura i padrini di battesimo del secondogenito dei Cavour, cui significativamente furono dati i nomi di Camillo e Paolo. Di sicuro i Benso esagerarono sollevando invidie e sogni di vendetta. E qui inizia la storia che ci porta alle opere del Louvre e al modo i cui i Benso avvicinandosi ai Savoia, grazie all’aiuto degli Alfieri e dei Barolo entrarono in possesso della tenuta di Leri, vicino a Trino Vercellese….

Gino Anchisi, da Santena, la città di Camillo Cavour, 24 marzo 2018

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