SANTENA – 17 novembre 2019 – Mettere in moto dinamiche usando il Psr, Piano di sviluppo rurale. C’è bisogno di idee, progetti, imprenditorialità e politica lungimirante. Esempio di due aziende agroindustriali con 550 addetti in totale. L’enologia e la carne rossa devono aiutare la gastronomia. Da non perdere: Carmagnola a scuola di Cimice Asiatica, di Peperone e Pomodoro, il 28 novembre.
Nel Torinese la ferita industriale non si rimargina. Per un po’ s’è voluto credere che musei, turismo, rassegne, gastronomia, enologia e università bastassero a rendere felice una crescita sociale che non poteva avverarsi. Adesso s’impone la cruda realtà. Lo spettro della chiusura di altri stabilimenti crea nuovi incubi di mancato lavoro e di assistenza a tempo, determinato o indeterminato. Di conseguenza vengono meno le prospettive. Anche a Santena e dintorni si sente il vuoto di progettualità e di idee.
Come l’Italia, il Torinese oggi non è una terra che attira gli investimenti interni ed esteri. L’Embraco di Riva di Chieri, con 400 addetti, langue irrisolta. La vicenda Ilva nell’acciaio apre buchi nella metallurgia. La privatizzazione dell’Alitalia non decolla. L’ipotesi di cedere il prezioso Comau a un gruppo straniero, forse cinese, è dietro l’angolo. La ricerca di un accordo tra Peugeot e Fca per l’auto dice che è ora di fare sul serio una politica industriale e del lavoro nella Città Metropolitana Torinese.
Stesso discorso vale per altri comparti settoriali su cui regna il silenzio. Il riferimento è al comparto degli ortaggi, bisognoso della politica agricola e del cibo. Un ramo importante, vitale per il nutrimento delle persone, perché produce alimenti salubri, sani e freschi, indispensabili al corpo e alla mente. Cibo buono, di zona, a tempo zero e a chilometro zero, garante non solo di freschezza, ma pure di un certo grado di autosufficienza alimentare per la comunità metropolitana e piemontese. Cibo accessibile e sostenibile, in grado di mantenere alta anche la qualità delle verdure “importate”: dal Centro-Sud Italia, dall’Europa e dall’estero.
La produzione nostrana di ortaggi è in difficoltà. Sottoposta ai colpi di un mercato sregolato e quindi di una concorrenza distorta che rischiano di far crollare in poco tempo le piccole e medie aziende famigliari, con danni enormi per la società e per il paesaggio urbano e rurale. Un crollo che avverrà quando si sarà esaurita la forza lavoro dei vecchi agricoltori.
Dopo aver ceduto il comparto del commercio della grande distribuzione alla Francia, adesso l’Italia rischia di perdere in Europa il secondo posto nel manifatturiero. C’è inoltre il pericolo di lasciare alla Spagna mano libera sul mercato interno ed europeo delle verdure.
Per questo motivo, prima che la Provincia e Torino vadano in B, bisogna fare per l’orticoltura metropolitana ciò che è stato fatto solo qualche decennio fa per la carne rossa e per il vino. Passata la rendita di posizione delle Olimpiadi invernali, oggi bisogna guardare al modello produttivo e paesaggistico delle Langhe.
Un sistema che, grazie alle risorse impiegate nel comparto del vino, della nocciola e dei prodotti del territorio ha saputo collegare paesaggio, sviluppo agrario, alimentare e agroindustriale, con l’industria e con i servizi erogati dal pubblico e dai privati.
Il Piemonte ha dei buoni esempi davanti a sé. Basta copiare quanto fatto nel comparto vinicolo dopo il caso “Vino al metanolo” e nel comparto dell’allevamento di bovini dopo “Mucca Pazza”. Drammi da cui si è usciti investendo capitali sorretti dalle risorse della PAC e dettando nuove regole di comportamento.
L’enologia e la carne rossa oggi devono aiutare l’orticoltura e la gastronomia vegetariana. Per la Città Metropolitana è giunto il momento di sfruttare le sue notevoli potenzialità agricole traducendole in fattori di crescita sociale per la sua comunità.
Sarebbe un grave errore dimenticare che la Provincia di Torino è una grande produttrice di ortaggi. Un comparto diffuso nella pianura, nella cintura torinese e negli orti urbani. Nel quale operano migliaia di orticoltori professionisti con aziende che nutrono la Città Metropolitana e migliaia di hobbisti che nutrono le famiglie coltivando orti privati, sociali o comunali. Un comparto particolarmente forte nel Chierese-Carmagnolese, storico distretto alimentare, in cui Cavour e i suoi contemporanei, nell’Ottocento, hanno gettato le basi della modernizzazione dell’agricoltura. Una zona, ben integrata nella Città Metropolitana, in cui operano aziende agricole, imprese agroindustriali che producono alimenti di qualità destinati al mercato metropolitano, nazionale e internazionale. I punti di forza del distretto sono: la qualità della terra, la capacità innovativa degli agricoltori, la voglia di fare degli imprenditori dell’ agroindustriale, la tradizione plurisecolare nelle coltivazioni e selezioni varietali, il legame con il mercato di sbocco metropolitano, la presenza di due scuole agrarie, il Baldessano-Roccati di Carmagnola e il Vittone di Chieri. L’altro grande fattore di forza è legato alla logistica, alla vicinanza con il sistema di collegamenti autostradali e ferroviari europei, mediterranei, padani e mondiali. Non è un caso dunque se ancora recentemente si è insediata un’industria dolciaria con 250 addetti e si sta collocando un’azienda alimentare con 300 addetti.
La Città Metropolitana ha bisogno di crescere, adesso e subito. Bisogna recuperare nei settori tradizionali la cultura della produttività e il vantaggio competitivo che hanno caratterizzato Torino e il Piemonte nei secoli passati. Da qui la proposta di dare vita a un vero e proprio Distretto del Cibo della Città Metropolitana. Distretto che deve puntare sulla trasformazione digitale in atto, sulla rivoluzione verde e su ricerca, formazione, innovazione, nuove tecnologie, immissione di nuove e fresche risorse umane, organizzazione di reti in grado di garantire redditività ai lavoratori e agli imprenditori, prezzi giusti per i consumatori.
La nascita del Distretto implica l’immissione di mezzi finanziari, pubblici e privati. Ciò significa che le risorse della PAC governate dalla Regione con il PSR dovranno riservare una quota al comparto orticolo, in modo da stimolare gli investimenti. L’operazione non è difficile.
Basta copiare dalle buone pratiche di cui il Piemonte è ben fornito. Fare per l’orticoltura quanto realizzato anni fa per il comparto del vino e della carne.
Gino Anchisi
da Santena, la città di Camillo Cavour, 17 novembre 2019.
Da non perdere.
Giovedì 28 novembre, ore 14, Salone Antichi Bastioni, Carmagnola.
Incontro tecnico sul Peperone e Pomodoro Cuore di Bue.
Relazioni:
1) Monitoraggio e lotta alla Cimice Asiatica in Piemonte.
Prof.ssa L. Tavella, Università Agraria, Grugliasco. DISAFA.
2) Virosi Peperone e Pomodoro.
Dr. M. Turina, CNR.
3) Strategie genetiche Peperone.
Prof. E. Portis, Università Agraria, Grugliasco. DISAFA.
4) Impiego teli a luce diffusa per Peperoni e Pomodori.Dr. Cristiano Carli, Fondazione Agrion.
L’ingresso è libero e gratuito.
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