SANTENA – 27 giugno 2020 – Non è vero che l’Italia è stata fatta da una ristretta élite. Carlo Borini (1833-1913) vicino di casa dei nostri antenati e bisnonno di Carla Bruni. Ma chi è il rivoluzionario sostenitore della pensione e di riforme per l’equa distribuzione della ricchezza tra i ceti più poveri. E’ un contemporaneo di Don Bosco (1815-1888), di C. Marx (1818-1883), di F. Engels (1820-1895).
Single. Interessato a relazioni non troppo impegnative. Buon patrimonio. Imprenditore agricolo. Ex militare del Genio. Solida formazione religiosa, scolastica, economica, scientifica e lavorativa. Buona conoscenza dell’Europa. Riformista. Esperto di fisco, finanza, trasporti ferroviari e infrastrutture. Amante innovazione tecnologica e istituzionale.
Camillo Cavour (1810-1861) fondò un giornale: “Il Risorgimento”. Nel primo articolo –Influenza delle riforme sulle condizioni economiche dell’Italia, anno I, n°1, 15 Dicembre 1847 *– scrisse “tutti coloro che intrapresero volonterosi la pubblicazione di questo foglio, unanimemente dichiarano che non avrebbero per buono, per veramente utile al paese alcuno aumento di ricchezze, se ai benefici di esso non partecipassero coloro che vi ebbero parte, la massima parte, gli operai”. Era liberale. Faceva parte della nobiltà imprenditoriale. Aveva il coraggio di guardare in faccia la realtà senza ipocrisie. Già nel 1847 affermò una verità che ancor oggi stranamente è negata: tra i protagonisti del Risorgimento italiano c’erano le nuove categorie emerse nella società sull’onda delle innovazioni tecniche e istituzionali. Tra queste, gli operai, cui riconosceva di avere un grande ruolo.
Dire che il processo culminato con la realizzazione dell’Unità d’Italia ha avuto come protagonisti solo una ristretta élite di nobili, alto borghesi e militari non è dunque corretto. Fa comodo ai negazionisti, ma non rende giustizia agli antenati degli Italiani.
E’ un errore che sottovaluta la dimensione in cui tale processo si è manifestato. Un contesto, interno e internazionale, in cui emergevano nuovi ceti sociali portatori di interessi che imponevano profonde riforme del sistema sociale in cui agivano e lavoravano.
La dimensione di questi interessi si manifestava in ambiti comunitari e territoriali sempre più vasti, ai quali in Italia si doveva rispondere superando il comunalismo e il regionalismo dei piccoli staterelli in cui era divisa la Penisola.
La possibilità di diventare proprietari di terra da parte di un gruppo sempre più consistente di persone; la crescita della popolazione e della domanda di alimenti; l’irruzione della scienza e delle tecnologie nel lavoro quotidiano; l’aumento della richiesta di beni strumentali e di servizi pubblici e privati imponevano dal basso un cambiamento della società che i regimi monarchici oligarchici non erano in grado di governare. Un passaggio dell’articolo è molto significativo: “Facciamo sì che tutti i nostri concittadini, ricchi e poveri, i poveri più dei ricchi, partecipino ai benefici della progredita civiltà, delle crescenti ricchezze, ed avremo risolto pacificamente, cristianamente il gran problema sociale, ch’altri pretenderebbe sciogliere con sovversioni tremende e rovine spaventose”.
Come si vede, il Risorgimento italiano è indissolubilmente figlio dell’Illuminismo e del cristianesimo. L’accesso alla proprietà privata portava sulla scena contadini, commercianti, uomini delle professioni, artigiani e impresari che, alleati ai nuovi impiegati, pubblici e privati, e agli operai delle fabbriche e della terra, costituivano un blocco sociale capace di rivoluzionare i contesti in cui lavoravano producendo la ricchezza della nazione.
Gli operai a cui ci si riferiva non erano quelli sprofessionalizzati della catena di montaggio. Bensì persone che, uscite dallo stato di servi della gleba, con la loro opera costituivano una categoria sociale che basava la sua emancipazione sulla professionalità, sull’uso delle nuove tecnologie. E’ il caso di Carlo Borini, il bambino che voleva fare il muratore, emigrato in Francia e diventato impresario.
Cavour conosceva bene il mondo del lavoro, della produzione e la nuova società: “Ma l’aumento dei prodotti nazionali non sarà il solo scopo economico che il giornale prenderà di mira: esso metterà eguale o maggior cura nella ricerca delle cause che influiscono sul benessere di quella parte della società, che più direttamente contribuisce a creare la pubblica ricchezza: la classe degli operai”.
Non erano solo proclami o vuote parole. Seguirono i fatti. Nel 1859 Cavour pensò di estendere la funzione della Cassa Depositi e Prestiti a sostegno della previdenza sociale e cioè alla creazione di un moderno sistema pensionistico. Con la legge 15 luglio 1859 n. 3595 istituì la “Cassa di Rendita Vitalizia per la Vecchiaia” che prevedeva la pensione tra i 50 e i 65 anni –la speranza di vita in Italia, nel 1881, secondo l’Istat era di 35, 2 anni per i maschi e 35,7 per le femmine – mentre fissava un tetto pensionistico massimo a 1200 lire l’anno. Purtroppo la legge non trovò applicazione. Vuoi perché si era in periodo di guerra per l’Unità d’Italia (1859-1861). Vuoi per la prematura e incredibile morte del Contadino-Tessitore avvenuta il 6 giugno 1861. Vuoi per l’incapacità riformista dimostrata dai suoi successori.
Nell’Ottocento, l’Illuminismo metteva in campo la combinazione tra proprietà e lavoro, tra imprenditore e operaio. La produttività diventava la forza trainante della rivoluzione. Inoltre, tagliava fuori le categorie dominanti preesistenti, costringendole a mutare i comportamenti, gli interessi e le alleanze. Non a caso la nobiltà e l’alta borghesia imprenditoriali furono protagoniste del cambiamento insieme alle nuove categorie emergenti.
Nel 1852 il Connubio con Urbano Rattazzi segnò l’incontro tra forze differenti, interessate alla trasformazione della società nel segno del progresso e dello sviluppo.
Gli interessi materiali influivano fortemente sulla politica in tutte le parti in cui era divisa la Penisola. Il risorgimento politico si saldava al risorgimento economico in modo differente a seconda degli staterelli. Il conflitto di interesse alla base della rivoluzione del Quarantotto consisteva nella necessità di una legge, la Costituzione, che sancisse la parità dei diritti tra le persone e un ordinamento politico in cui poter esprimere la rappresentanza degli interessi. Anche per il risorgimento italiano valeva il principio alla base della rivoluzione americana: No taxation without representetion, nessuna tassazione senza rappresentanza.
Ormai una cosa era evidente. La ricchezza di una nazione si creava con la produttività del lavoro e dell’impresa, con la libertà e l’uguaglianza, con l’abbattimento dei dazi e delle frontiere, con un fisco adeguato ai tempi.
Chi cerca tracce del ruolo politico dei ceti emergenti nel processo di costruzione dell’Unità d’Italia trova in questo articolo -praticamente il manifesto del nuovo giornale nato per orientare l’opinione pubblica alla vigilia della rivoluzione europea del 1848- la conferma del loro crescente peso nella società : “Il giornale si farà a promuovere le istituzioni di credito, le scuole professionali, le onorificenze industriali; mezzi, che, adoperati accortamente, daranno un rapido sviluppo ai vari rami d’industria che mirabilmente si confanno alle condizioni dell’Italia, che fra breve forse l’innalzeranno a prender posto fra le prime potenze economiche del mondo”.
L’articolo è del 15 dicembre 1847. Pochi giorni e scoppiava il Quarantotto. Rosmini, Manzoni, Cattaneo, Gioberti e tanti altri discettavano sulla forma dello Stato unitario e sull’essere italiani. Di lì a quattro anni, nel 1852, Cavour prese in mano le redini del Governo che guidò il processo di formazione dell’Italia unita. Purtroppo pochi giorni dopo aver fatto la rivoluzione e cioè l’unificazione, Camillo Cavour, improvvisamente e sorprendentemente morì. Il 6 giugno 1861, venne a mancare lo statista che aveva meglio compreso la portata delle trasformazioni indotte dalle riforme necessarie a governare i processi avviati nel Settecento e maturati nell’Ottocento.
Un politico di razza, consapevole che l’Unità d’Italia si poteva compiere solo se vi partecipava tutto il popolo, in particolare quello delle nuove categorie emergenti nella società.
Camillo Cavour e i suoi contemporanei sono i primi a smentire l’idea che l’Unità d’Italia è stata fatta solo da una ristretta élite. Altro discorso è ragionare su cosa è successo dopo l’unificazione.
(*w.camillocavour.com/archivio/articoli-risorgimento)
Gino Anchisi da Santena, la città di Camillo Cavour, 27 giugno 2020.