SANTENA – 18 luglio 2021 – 150° del Tunnel del Frejus. Per Marco Boglione, Ugo Baldi e Gianni Ghio un anniversario da celebrare perché a Santena si ritrova il vero spirito del Risorgimento e dell’Italia Unita. Importante perché riafferma, se ce ne fosse ancora bisogno, il grande valore del Castello Cavour nel panorama dei beni culturali metropolitano, piemontese, nazionale ed europeo.
Centocinquanta anni fa, esattamente il 17 settembre 1871, fu inaugurata l’opera pubblica che mise gli Italiani al centro dell’ammirazione mondiale. Il Tunnel ferroviario del Frejus era la più lunga e moderna galleria mai scavata nella viva roccia. Il treno passava per la prima volta le Alpi collegando il Mediterraneo e la Pianura Padana al resto d’Europa e del Mondo. La ferrovia congiungeva Londra a Brindisi e via mare si collegava al Canale di Suez, al Medio Oriente, all’Africa Orientale. All’India, all’Indonesia, all’Indocina, all’Australia e alla mitica Cina.
Il tunnel ebbe numerosi artefici. Alcuni dimenticati. Altri ancor oggi ricordati. Tra questi: Francesco Medail ne concepì la realizzazione. Luigi Des Ambrois, ministro di Carlo Alberto, ne sostenne l’utilità. Il giovane ingegnere Quintino Sella fu impegnato nella predisposizione. Germano Sommeiller, Sebastiano Grandis e Severino Grattoni ne furono i progettisti. Su tutti svettò la figura di Camillo Cavour. Il Primo Ministro del Regno di Sardegna e d’Italia che, dopo la Guerra di Crimea, intuendo la rivoluzione in corso nei commerci e nelle infrastrutture trasportistiche a livello globale, impose l’avvio dell’ opera pubblica. Una delle meraviglie del Mondo, che si affiancava al favoloso Canale di Suez. Due infrastrutture che nessuno aveva osato realizzare. Di cui si favoleggiava già ai tempi dei Romani per aprire le vie di collegamento con l’Oriente e con le terre dei Galli.
Ci furono ancora altri protagonisti. Altrettanto importanti. Senza i quali l’opera non si sarebbe mai realizzata. Protagonisti di cui si era quasi persa la memoria. Per lungo tempo il ricordo degli operai costruttori infatti è stata relegata in una valle alpina dietro Biella. I veri e orgogliosi costruttori del Tunnel rischiavano come al solito di essere cancellati dalla storia. Vuoi perché altre categorie non avevano interesse a perpetrare la loro memoria. Vuoi perché gli stessi curatori degli interessi degli operai italiani non si sono preoccupati di conservare e divulgare le loro memorie. Eppure erano coloro che materialmente scavarono e rifinirono il tunnel. Posero i doppi binari. Fecero la linea del telegrafo. Costruirono massicciate, magazzini, stazioni, ponti e banchine. Tra questi c’erano gli operai che, manovrando le trivelle ad aria compressa, con le mine sgretolarono la dura roccia. Molti di loro venivano dalla Valle Cervo, dietro Biella. La valle parallela a quella di Oropa, ricca d’acqua, in cui i Sella costruirono le prime industrie tessili. In cui abitavano i Rosazza, impresari edili che realizzarono il Tunnel. Erano i diretti eredi di Pietro Micca, il minatore-muratore morto nella difesa di Torino durante l’assedio del 1706. L’antesignano degli operai del Tunnel, un’aristocrazia di lavoratori specializzati, rappresentanti dei nuovi ceti emergenti produttivi nella società del Settecento e dell’Ottocento. Illuministi portatori di nuovi interessi e di una nuova domanda di servizi pubblici e privati. Tecnici che insieme all’imprenditoria pubblica e privata diedero vita a un ceto dirigente che mise in discussione le rendite di posizione fino allora godute dalla nobiltà, dall’alto clero e dai graduati militari.
Per una felice combinazione di orgoglio e di professionalità in Valle Cervo si è conservata la loro memoria. Raccolta nella Società operaia di mutuo soccorso di Campiglia. In quelle stanze aleggia il vero spirito del Risorgimento. Un soffio forte e veloce. Figlio dello scorrere del torrente e del vento che percorrono la vallata. Dell’orgoglio di aver costruito infrastrutture strabilianti in Italia e in tutti i Contenenti. Della brevità del percorso transalpino realizzata grazie al Tunnel. Dell’alta velocità di 40 km all’ora del treno sfrecciante. Contrapposta ai 5 km orari dei cavalli e dei muli su e giù per strade romane e napoleoniche di ghiaia e sassi che valicavano i passi alpini.
Quegli operai e quei tecnici hanno contribuito, insieme ai loro contemporanei sparsi nella Penisola, a far grande e ricca l’Italia. A far crescere un Paese nuovo con ceti emergenti produttivi che avevano come figura di riferimento Camillo Cavour. Ceti comprendenti operai, artigiani, tecnici, impresari, scienziati, imprenditori, agricoltori, dipendenti pubblici, politici, giornalisti impegnati nei nuovi settori in sviluppo sotto la spinta delle nuove tecnologie, delle infrastrutture, della scienza e delle moderne istituzioni.
Un contesto che finalmente si comincia a prendere in considerazione per studiare, capire e spiegare le complessità e le dimensioni in cui hanno agito e vissuto gli Italiani delle generazioni che hanno costruito l’Italia. Un contesto di spirito cavouriano che a Santena, nel Castello Cavour, ha la sua sede naturale e attuale pronta a diventare scuola per gli studi sociali, centro di formazione politica e sede di sperimentazione agronomica.
Gino Anchisi da Santena, la Città di Camillo Cavour, 18 luglio 2021