SANTENA – 2 settembre 2022 – Il 20 settembre: al via la Scuola della Pubblica Amministrazione e Premio Nazionale Camillo Cavour 2022 a Renato Brunetta. Pericoli di chiusura per tante aziende agricole, posti di lavoro a rischio dopo siccità e inflazione. Come cambiano lo stile di vita e il consumo del cibo? Omaggio a Michail Gorbaciov lo statista che tentò di riformare e di collocare l’URSS nell’Occidente.
Il Castello Cavour di Santena è un pozzo inesauribile. Da queste parti c’è una lunga esperienza in fatto di cambiamenti climatici, politici, colturali e culturali. Nei secoli se ne sono viste di tutti i colori. Le attese per questo 20 settembre da parte del Presidente della Fondazione Camillo Cavour, Marco Boglione, e dei volontari dell’Associazione Amici di Camillo Cavour sono tante. Per i volontari, in particolare, l’apertura del polo formativo della Scuola Nazionale della Pubblica Amministrazione (SNA) è un tassello che si aggiunge ai risultati realizzati in 26 anni di attività rivolta a promuovere e valorizzare il patrimonio culturale, paesaggistico, agricolo, storico e sociale raccolto nel Castello Cavour. Uno dei siti della memoria patria che custodisce memorie ed esperienze di valore zonale e globale oggi più che mai attuali e di straordinaria modernità.
Cambia il clima. Nel 1816, “l’anno senza estate”, i contemporanei di Camillo Cavour furono colti di sorpresa. A differenza di oggi, dove il cambiamento climatico è stato testato da decenni dai coltivatori nei loro campi e confermato dagli scienziati. Camillo allora aveva solo sei anni. Era piccolo ma in famiglia il racconto degli effetti devastanti avvenuti fu sempre ben presente nel corso della sua formazione. Quell’anno la primavera e l’estate furono straordinariamente fredde. Piogge e nevicate rovinarono i raccolti di mais, fieno, grano, castagne, avena, fagioli, verdure e patate. Animali domestici e selvatici e uomini patirono la fame e cominciarono a dimagrire per mancanza di cibo. In autunno piovve poco. L’inverno fu secco e senza neve. Il grano ingialliva nei campi. La mietitura fu un disastro. Quando venne l’ora di seminare le patate e il mais la terra era secca. Nei prati il maggengo non cresceva. I torrenti, i fossi, le peschiere e le tampe erano asciutti. Si andò avanti con maledizioni, rogazioni e processioni per un anno e mezzo, fino alla fine di Maggio del 1817. Poi finalmente la provvidenza fece piovere. Metà del raccolto però era perso. Il 1816 e 17 furono terribili. La gente moriva di fame. Mancava il cibo di base della dieta tradizionale: pane, polenta, patate, castagne, erbe, fagioli, ortaggi, pesci, pollame e volatili, latte e uova. Le chiese, i comuni e i ricchi distribuivano caldaie di minestroni per alimentare i poveri votati a morire di fame e mal nutrizione. Basta sfogliare gli archivi parrocchiali dei morti. Poi si scoprì che non era una punizione divina. Anzi forse lo era. Il cambiamento climatico dipendeva dall’eruzione di un lontano vulcano, della lontana Indonesia. Il Tambora, nell’aprile del 1815, era esploso lanciando nell’atmosfera ceneri che modificarono l’andamento delle stagioni in tutto il Globo, compresa l’Europa. Quella carestia globale alimentare scosse profondamente la società. I caratteri dell’agricoltura Padana e del Chierese-Pianalto-Carmagnolese cambiarono profondamente.
Clima e prezzi. Vent’anni dopo, nel 1835, Camillo fu un diretto protagonista delle vicende. Nel 1833-34-35 in Piemonte i raccolti furono abbondanti sia per il grano che per il mais. I prezzi calarono, spinti in basso dall’arrivo di cereali di Odessa, noto porto ucraino sul Mar Nero. Gli agricoltori sabaudi protestarono chiedendo la limitazione delle importazioni dai Balcani e dal Parmense. Dicevano di essere in rovina. In autunno la situazione però si ribaltò. Abbondanti piogge che si ripeterono nella primavera del 1836 rovinarono i campi di grano. Poi subentrò la siccità che danneggiò mais, miglio, avena, patate, fagioli e verdure. Rapidamente il prezzo del grano raddoppiò. Mentre quello del mais triplicò. L’inflazione cominciò a galoppare. Stavolta fu il popolo a protestare. La politica intervenne. Il Governo tolse i dazi in entrata nel tentativo di far scendere i prezzi del pane e della polenta. La manovra diede buoni frutti in Liguria. Andò meno bene in Piemonte perché causa infrastrutture stradali antiquate e inefficienti aumentarono vertiginosamente i prezzi dei trasporti delle merci. “Ci fosse stata una ferrovia o un canale a collegare il Piemonte a Genova la carestia avrebbe avuto effetti meno gravi”. Così scrisse Camillo Cavour nel 1841, sette anni prima dell’avvio della costruzione della ferrovia Torino-Genova, nelle “Note sur les produtions agricoles des Etats de terre ferme de S.M. le Roi de Sardaine”. Quelle esperienze insegnano che l’inflazione e la crisi non dipendono da un solo fattore. Che i trasporti, le infrastrutture e le relazioni commerciali sono importanti quanto il funzionamento del mercato delle derrate alimentari e l’andamento della domanda di cibo. Figurarsi poi se in mezzo scoppia una guerra tra due stati come la Russia e l’Ucraina. Paesi esportatori di materie prime, gas e cereali in cui il cambiamento climatico con l’innalzamento della temperatura sta modificando l’uso del suolo agricolo e le coltivazioni.
Veniamo all’oggi. Forti ricadute si manifestano nel campo dell’agricoltura asse portante del sistema sociale della zona assurta a Distretto del Cibo del Piemonte e della Provincia di Torino. I discendenti dei contemporanei di Camillo Cavour, in questo 2022, fanno i conti con gli effetti della pandemia da Covid, con una siccità impressionante e con l’esplosione della Guerra tra Russia e Ucraina. Una situazione che ha generato un‘inflazione galoppante sostenuta dapprima da aumenti dei costi dei trasporti marittimi, dei materiali per l’edilizia, dei sistemi telematici, delle materie prime e poi dei concimi, dei mangimi e delle fonti energetiche. Tirando le somme del 2022 è probabile che la maggior parte delle aziende agricole registri una perdita. Ciò non è dovuto alla cattiva amministrazione bensì alla necessità di fronteggiare una crisi dalle dimensioni mai viste prime. Per ora i contadini resistono ricorrendo all’aumento delle ore lavorate e a risparmi sulle spese aziendali e famigliari. I conti sono presto fatti. Le aziende agricole non riescono a trasferire gli aumenti di combustibili, energia, fitofarmaci, materiali, concimi e mangimi sui prezzi di vendita all’ingrosso e talvolta perfino al dettaglio. E’ un discorso che vale per tutti. Per chi produce carni, cereali, frutta e ortaggi.
Le previsioni per il 2023 non sono incoraggianti. Per chi coltiva cibi, prodotti notoriamente deperibili, la situazione è critica. L’inflazione non è solo uno straordinario strumento di redistribuzione del reddito. L’inflazione, cioè l’aumento del costo della vita, può portare con sé un ridimensionamento dei volumi dei consumi e un mutamento tra la domanda e l’offerta. C’è il rischio che molte aziende agricole, in particolare di quelle piccole dimensioni tipiche del nostro territorio, chiudano perché già gravate dell’invecchiamento delle persone, dalla difficoltà di impiegare manodopera, dalla complessità di stare al passo con le innovazioni, dalla precarietà finanziaria dell’impresa, dai ritardi nel dotarsi di efficaci forme di associazionismo. In questi frangenti ci si interroga per capire di fronte agli aumenti dei costi del gas, dell’elettricità, dei combustibili e di tanti beni necessari alla vita quotidiana come cambieranno le abitudini alimentari e gli stili di vita delle persone. Domanda non banale. Basta pensare a come si trasformò il rapporto col cibo nel 2020, nella prima fase della pandemia da Covid, quando di fronte alle chiusure e alle limitazioni si registrò un ritorno a consumare cibo, sia a casa, sia nella ristorazione, proveniente dal territorio circostante.
Gino Anchisi
da Santena, la città di Camillo Cavour, 2 settembre 2022