Santena: 1847-1848 due anniversari memorabili. Puntata 332

SANTENA – 13 dicembre 2022 – Il 15 dicembre è il 175° anniversario dell’uscita del primo numero de “Il Risorgimento”. Il 1° gennaio inizia il 175° del Quarantotto, l’anno delle rivoluzioni sociali in tutta Italia, in cui nasce la nuova Europa. Santena si prepara a ricordarli come meritano, senza dimenticare la ricorrenza della morte di Augusto Benso di Cavour.

Immagine  sita in biblioteca Enzo Marioni di Santena

                                                                                         

Il cambiamento era nell’aria.

Negli anni ‘40 dell’Ottocento la società in tutta Europa era in subbuglio più o meno come adesso. Il potere dei monarchi  e delle caste dei nobili, del clero e dei militari veniva messo in discussione dai ceti emergenti produttivi. Il principio “no taxation without reppresentation”, nessuna tassazione senza rappresentanza, sorto negli Stati Uniti in contrapposizione al colonialismo inglese, dilagava tra il popolo e la borghesia europea. Come al solito, Camillo Cavour fu il più lesto di tutti. In tanti cercavano di mettere in piedi giornali per orientare l’opinione pubblica verso i nuovi orizzonti politici. La sua grande attenzione alla sociologia e all’economia politica finalmente poteva essere messa a frutto. Il 15 dicembre 1847, bruciando tutti sul tempo, uscì il primo numero de “Il Risorgimento”. Subito la grande politica di respiro europeo e mondiale si calò sulla scena sabauda e sul resto d’Italia. Chi è curioso di leggere le analisi sociali, geoeconomiche e politiche trova i suoi articoli sul sito www.camillocavour.com curato dall’Associazione Amici della Fondazione Cavour di Santena.  Cavour avvertiva l’inevitabile cambiamento. Per contrastare la deriva di rivoluzioni sanguinarie alla francese sosteneva la necessità di rivoluzionare il sistema sociale attraverso le riforme. Emblematico è  il suo editoriale pubblicato sul primo numero (rossosantena puntata 324 del 24/09/2022). Un manifesto del Riformismo che poneva in evidenza il tema della uguaglianza e della inclusione delle categorie emergenti nel governo dello Stato, compresi gli operai.

Nel 1847 Camillo Cavour era già un politico con una solida formazione culturale e imprenditoriale.  Mentre preparava l’uscita de “Il Risorgimento” il 3 marzo scrisse a William De La Rive la lettera sulla coltivazione dell’asparago che segna la svolta in direzione dell’innalzamento della produttività in orticoltura e agricoltura. Intanto insieme a suo padre Michele Benso, vendette la Cascina del Lago di Cremes (Lai) con 37 giornate di terra ai fratelli Cavaglià, fu Giuseppe Maria (Mercandin). E’ la Cascina, oggi organizzata in fattoria didattica, che si trova nel SIC (Sito Importanza Comunitario), territorio protetto di 1845 ettari tra i comuni di Santena, Poirino, Villastellone. E ancora fondò la società chimica Rossi e Schiapparelli per la produzione di concimi e fu tra i soci fondatori della Banca di Torino.

Goffredo Mameli

Nel 1848 succede un “Quarantotto”. Un modo di dire ancora oggi in uso. Il 7 gennaio, a Torino, incontrando una delegazione di rivoluzionari e giornalisti genovesi, Cavour rigettò l’idea di cacciare i Gesuiti e di istituire la guardia nazionale, cui contrappose la richiesta della Costituzione, per rafforzare le istituzioni e i diritti sociali e civili. La linea istituzionale cavouriana prevalse su quella movimentista. Il giorno dopo, l’8 febbraio, per le vie di Torino si cantò l’inno di Mameli. La rivolta, di dimensione europea, iniziò a Palermo il 12 gennaio. La Rivoluzione dilagò in Francia, Austria, Berlino e in tutti gli Stati italiani. Venezia proclamò la repubblica. I Milanesi applicarono la protesta fiscale. Il 4 marzo il re Carlo Alberto concesse lo Statuto che sanciva la separazione dei poteri, la formazione di un parlamento di rappresentanti eletti e l’estensione dei diritti civili e politici ai Valdesi e solo i civili agli Ebrei.  Tra gli autori della Costituzione figurava l’amico Cesare Alfieri di Sostegno. Si passava dal sistema monarchico al costituzionale. Su “Il Risorgimento” il 23 marzo Cavour scrisse “L’ora suprema per la monarchia sarda è suonata, l’ora delle forti deliberazioni, l’ora dalla quale dipendono le sorti dei popoli…”  (n° 74, anno I). Lo stesso giorno il Regno di Sardegna dichiarò guerra all’Austria. Klemens Metternich, il cancelliere austriaco, l’uomo guida della Restaurazione, fece un clamoroso errore di valutazione sostenendo che “L’Italia non è che un’espressione geografica”. L’avventura europea del Regno di Sardegna confermava il ricorso alla guerra nazionale contro l’Austria. I patrioti italiani avevano ormai un punto stabile di riferimento nell’Europa e nel più europeo degli “staterelli” italiani: il Regno di Sardegna. Scoppiò la I guerra d’Indipendenza. Nella battaglia di Goito del 30 maggio, morì Augusto, il nipote prediletto. Il 7 maggio a Torino si aprì il primo Parlamento. L’8 giugno anche agli Ebrei furono riconosciuti i diritti politici. Nelle elezioni suppletive della Camera, il 30 giugno Cavour entrò in Parlamento. Emanuele d’Azeglio, figlio di Roberto e di Costanza Alfieri fu nominato ambasciatore a Londra. Cesare Balbo, cofondatore nel 1847 con Camillo Cavour de “Il Risorgimento”, fu il primo deputato eletto nella Camera dei Deputati a rappresentare il mandamento di Chieri in cui rientrava la borgata di Santena. Il Chierese Giuseppe Avezzana (1797-1879) rivoluzionario del 1821 divenne ministro della Guerra della Repubblica Romana. Fu proprio lui a nominare Giuseppe Garibaldi generale.

Per documentazione riportiamo quanto scrisse a proposito dello Statuto Albertino, Camillo Cavour su “il Risorgimento” anno I, n° 63, 10 Marzo 1848.

Inizio modulFine moduloCritiche allo Statuto

Noi abbiamo sentito con infinito rincrescimento essere stato da molte persone, segnatamente in Genova, lo Statuto male accolto; esso è oggetto di critiche varie ed acerbe. Noi non vogliamo assumere l’incarico di ribatterle tutte e di porre in luce i molti e reali pregi di questa nostra legge fondamentale. Ma non dubitiamo di affermare, senza timore di essere contraddetti da chiunque lo abbia studiato attentamente con animo imparziale, ch’esso racchiude tutti i più grandi principi delle libere costituzioni, ch’esso consacra fra noi tutti i diritti di cui godono tutte le nazioni le più incivilite.
      Infatti lo Statuto introduce l’elemento elettivo largamente e potentemente in tutte le parti dell’edificio sociale. Consigli comunali e provinciali, Guardia nazionale, Camere legislative, tutte le nostre istituzioni politiche ed amministrative saranno d’ora in avanti figlie dell’elezione. La nazione è chiamata a partecipare direttamente a tutti gli atti che riflettono l’interesse del paese in generale, o di qualunque frazione di esso.
      Lo Statuto circoscrive il circolo d’azione del potere esecutivo in giusti e severi limiti, in modo da non potersi più oltre restringere, senza indebolire soverchiamente la forza governativa: ciò che sarebbe contrario all’indole delle società moderne europee, e funesto al nostro paese, che si trova formare l’avanguardia dell’Italia al cospetto dello straniero.
      L’indipendenza del potere giudiziario è assicurata; la libertà di stampa, la libertà individuale sono solennemente guarentite. Il sacrosanto principio dell’eguaglianza civile è altamente consacrato. Ogni privilegio di casta, di ceto è abolito. Tutti i gran principi in una parola proclamati dalla nazione francese nel 1789, e che costituiscono le vere basi del vivere libero, sono francamente, risolutamente proclamati.
      Ma, dicesi, la libertà dei culti non è pienamente riconosciuta. Ciò è vero. E da questo lato dichiariamo non essere lo Statuto del tutto conforme ai nostri desideri. Tuttavia ci pare essere questa quistione piú di parole che di fatti. L’emancipazione dei protestanti ha fatto sparire una parte delle fondate obbiezioni a cui l’articolo primo poteva dar luogo. Non dubitiamo che la prossima emancipazione ridurrà quest’articolo ad essere nella pratica un semplice omaggio reso alla religione cattolica, al quale faremo allora plauso di tutto cuore.
      Si dice inoltre essersi conservati i titoli e gli ordini cavallereschi, cose contrarie all’indole dei tempi. Sarà forse stato questo un errore, noi non vogliamo negarlo in modo assoluto. Ma, per Dio! che errore minimo a cospetto dei tanti pregi testé indicati nello Statuto! Che cosa sono alcuni vani titoli che non conferiscono né privilegi, né vantaggi, in confronto dei diritti cittadini che abbiamo acquistati? Oramai la qualità di deputato, che dico, di semplice elettore, ha un pregio assai maggiore agli occhi d’ogni uomo assennato, di qualunque distinzione gentilizia.
      Si fanno ancora alcune critiche allo Statuto sopra alcuni articoli di poco momento che tralascieremo per brevità, giacché, se siamo bene informati, non è tanto contro le disposizioni in esso contenute, quanto contro a quelle che si pretende avrebbe dovuto contenere contro cui si muovono le maggiori querele.
      É questo errore gravissimo. Uno Statuto organico deve racchiudere, a senso nostro, i principi fondamentali della costituzione e nulla più. Onde siamo disposti a credere piuttosto essere esso sceso in troppi particolari.
      Le leggi organiche che il legislatore ci annunzia, quella elettorale segnatamente, sono il complemento dello Statuto, sono esse che ne costituiscono in massima parte il merito reale.
      Noi abbiamo ferma fiducia che se i critici malevoli dello Statuto avessero aspettato la pubblicazione della legge elettorale, che sappiamo essere imminente, non avrebbero trovato nessun ascolto nella parte sana del pubblico. Questa toglierà ogni menomo pretesto a coloro che si studiano, mercé false interpretazioni, di denigrare nello spirito dei nostri concittadini l’opera magnanima del sommo nostro legislatore.
      Finalmente i malcontenti, non paghi di sinistramente interpretare molte delle disposizioni dello Statuto, alzano la voce al cielo contro la frase che lo dichiara legge fondamentale ed irrevocabile della monarchia, come se con ciò fosse tolta la via ad ogni futuro progresso e stabilito un sistema d’immobilità assoluta, contrario al buon senso ed ai bisogni delle società moderne. Una tale imputazione muove o da chi è affatto ignaro delle teorie costituzionali, o da chi cerca a suscitare, con falsi pretesti, pericolosi mali umori.
      Come mai puossi pretendere che il legislatore abbia voluto impegnare sé e la nazione, e non mai portare il più leggiero cambiamento od operare il menomo miglioramento ad una legge politica? Ma questo sarebbe voler far sparire il potere costituente dal seno della società, sarebbe privarla dell’indispensabile potere di modificare le sue forme politiche, a seconda delle nuove esigenze sociali. Sarebbe un concetto talmente assurdo, che non poteva venire concepito da nessuno di coloro i quali cooperarono alla redazione di questa legge fondamentale.
      Una nazione non può spogliarsi della facoltà di mutare con mezzi legali le sue leggi politiche. Non può menomamente, in alcun modo, abdicare il potere costituente. Questo, nelle monarchie assolute, è riposto nel sovrano legittimo; nelle monarchie costituzionali il Parlamento, cioè il Re e le Camere, ne sono pienamente investiti.
      Una tale sentenza è verità triviale per tutti i popoli che hanno una vera pratica del sistema costituzionale. É un assioma per tutti gl’inglesi, che considerano l’onnipotenza parlamentare come articolo di fede.
      Lo sia pure per noi; e spariscano questi mal fondati timori, queste insussistenti inquietudini.
      La parola IRREVOCABILE, come è impiegata nel preambolo dello Statuto, è solo applicabile letteralmente ai nuovi e grandi principi proclamati da esso, ed al gran fatto di un patto destinato a stringere in modo indissolubile il popolo ed il Re.
      Sí, noi consideriamo il patto che sanziona lo Statuto come legge IRREVOCABILE, che non potrebbe venir violata senza farci spergiuri e colpevoli della più mostruosa ingratitudine.
      Ma ciò non vuol dire che le condizioni particolari del patto non siano suscettibili di progressivi miglioramenti operati di comune accordo tra le parti contraenti. Il Re, col concorso della nazione, potrà sempre nell’avvenire introdurre in esso tutti i cambiamenti che saranno indicati dall’esperienza e dalla ragione dei tempi.
      Ma se un tale potere sta nel Parlamento da noi dichiarato onnipotente, il Re solo non lo possiede più. Un ministro che gli consigliasse di farne uso senza consultare la nazione, violerebbe i principi costituzionali, incorrerebbe nella più grave responsabilità.
      Rispetto adunque allo Statuto, accettiamo con riconoscenza, con gioia sincera i larghi principi ch’esso proclama; e se scorgiamo in esso difetti secondari, abbiamo piena fiducia nel Parlamento che sta per riunirsi; e nel ministero che sta costituendosi sotto la direzione di quei due sommi uomini, Pareto e Balbo, che furono i nostri maestri in tempi difficili, e che saranno ora le nostre guide nella via del progresso indefinito, che la Provvidenza e Carlo Alberto hanno aperto alla nazione italiana”. C. Cavour

Gino Anchisi
da Santena, la città di Camillo Cavour, 13 dicembre 2022