SANTENA – 28 ottobre 2024 – Don Alberto Ravagnani, prete, youtuber, influencer e molto altro, è sbarcato in città mercoledì sera, 23 ottobre 2024. Sull’austero palco del Teatro Elios, davanti a tanti giovani e non solo, ha risposto a una fitta selva di domande, arrivate da Matteo Caparelli e Carlo Mosso, giovani conduttori della rubrica Un modo di voci di RadioBase2.0, web radio santenese. Una serata, organizzata dalla biblioteca civica Enzo Marioni, che ha calamitato sulle sedie dell’Elios tanti, tanti giovani. Di Santena e non solo. Davvero pochi i boomer.
DON RAVA Don Alberto Ravagnani, “don Rava”, 31 anni, sui social si presenta così: “Prete, youtuber e molto altro”. E’ forte di mezzo milione di follower tra Youtube, Instagram, Fb e TikTok, con milioni di visualizzazioni. E’ diventato prete a San Michele Arcangelo, di Busto Arsizio, in provincia di Varese. Dal settembre 2023 è arrivato in parrocchia a Milano, sui Navigli, vicario in San Gottardo. Si occupa di giovani, di fraternità, di social e di produrre contenuti. Scrive libri. A Milano il sacerdote vive in una casa con alcuni studenti che hanno scelto un percorso di vita comune. Don Alberto Ravagnani, brianzolo, ordinato sacerdote sei anni fa, ha ampiamente spaccato nel mondo dei social, trattando temi profondi con gli adolescenti: fede, liturgia, scienza, vangeli, preghiere. Tutto è partito con qualche clip artigianale, montata all’oratorio nel tempo della pandemia. Da allora non ha più smesso. Raggiungendo successi sempre crescenti. Sui social parla di Chiesa e religione al di fuori dei canali tradizionali. Sulla rete veicola contenuti niente affatto noiosi e seguiti da un vasto pubblico. Il canale Youtube di don Rava conta 150mila iscritti e i suoi contenuti, aggregati, totalizzano milioni di visualizzazioni. Su Instagram supera i 150mila follower, su Fb oltre 40mila; 90mila su Tiktok. E’ stimato e amatissimo tra i giovani. Ha scritto un libro, “La tua vita e la mia” (Rizzoli). A Santena ha presentato il libro “Dopo la festa”, sempre per i tipi della Rizzoli. Ecco una supersintesi della serata.
I CONTI CON LA NOTORIETA’ «La mia vita è molto cambiata da quando sono diventato popolare – ha detto don Rava-. Oltre 150 mila follower su Instagram. 90mila su TikTok, milioni di visualizzazioni di You Tube. Sono stato messo molto in vista. Molto esposto sia alle critiche sia agli elogi. Il mondo dei social e la popolarità hanno aumentato il numero delle relazioni significative con credenti e non credenti. Sui social mi hanno scritto e mi scrivono una marea di persone. Sono venuti a trovarmi tantissime persone. Da quando sono sbarcato sui social la mia via ha preso una bella accelerata. Si è espansa molto. Le mie relazioni si sono allargate. Parecchio. Io nasco prete normale, classico. Questo mio modo di fare il prete oggi prevede questi canali. Sono presente sui social. Scrivo libri. Faccio video. Si tratta di strade un po’ nuove. Tutto naturalmente collegato alle dinamiche diocesane. Il tentativo è riuscire a dare il mio contributo a ogni livello possibile della chiesa».
LA PARROCCHIA DI OGGI MILANO NAVIGLI «Sono in una parrocchia un po’ particolare – ha spiegato don Alberto Ravagnani -. Dopo alcuni anni nella parrocchia di Busto Arsizio ora sono a San Gottardo al Corso. In centro. Navigli. Zona movida. La darsena. Parrocchia che in passato era zona molto povera, con formaggiai, pescatori e mafiosi. Oggi è diventata zona ricchissima ed esclusiva. Gente famosa. Artisti. Erasmus della Bocconi. Zona di passaggio. Il concetto di parrocchia oggi è diventato relativo. E’ una risposta al cambiamento della società, che è diventata più fluida, gassosa. E la città di Milano negli ultimi anni è molto cambiata. In parrocchia ho la possibilità di portare avanti cose un po’ sperimentali e vedere se funzionano. Provo a fare il pioniere su alcune dinamiche di Chiesa. Ad esempio con l’esperienza di Fraternità. È una comunity. Sono legami tra persone che si riconoscono dentro un certo stile. Una certa appartenenza. Fraternità è una comunità di giovani che vogliono ispirare altri giovani a vivere da Dio. Fraternità è semplicemente vivere da cristiani. Fraternità sono modi concreti per fare esperienza, reale, di Dio. In Fraternità facciamo niente di diverso dalle cose di sempre: parola di Dio, liturgia delle Ore. Relazioni fraterne. Se il cristianesimo prima di tutto non è esperienza di fraternità non serve. Una Chiesa che non è fraternità, che non è relazione accogliente è una Chiesa che non è fedele a tutti. Per tanti è molto difficile accedere alla Chiesa a partire solo da precetti morali e catechismo».
CIRCONDATI DA AMICI SI FA ESPERIENZA DI DIO Don Rava ha aggiunto: «Si arriva a fare esperienze di Dio se si è circondati da amici. Da gente che ci vuole bene. In oratorio restano coloro che sono amici. Fraternità è la consapevolezza che insieme è più bello. La fede va condivisa con gli altri. Fraternità è il tentativo di tirare fuori questo lato della Chiesa e condividerlo. Missione oggi è portare Cristo agli altri. Non accontentarci di casa nostra, del nostro oratorio, del nostro gruppo di amici. In oratorio sono con amici cristiani. Se però nella mia classe nessuno è cristiano questo mi deve preoccupare. Se la gente non conosce Gesù questo problema mi deve tormentare. Se invece a un ragazzo viene esigenza di incontrare Gesù le cose cambiano. Tutto questo nei social è chiaro. I social mi permettono di dare un contatto anche se siamo distanti. I social permettono di rimanere vicini anche se siamo in regioni diverse. Nella nostra fede questo si chiama comunione dei santi. I social permettono di avere una concreta comunione di santi. Nonostante siamo distanti come tempo e spazio in realtà i social avvicinano».
FRATERNITA’ E COMUNITY. NESSUNO SI SALVA DA SOLO «Chi fa parte della fraternità ha appartenenza in parrocchia o nei movimenti – ha proseguito don Rava -. Il cammino spirituale lo si fa in parrocchia o nei movimenti di appartenenza. Fraternità sono legami di amicizia tra ragazzi, con cammino cristiano, che si vogliono sentire parte di quest’avventura più grande. A Milano, tutti i giovedì, facciamo adorazione organizzata come parrocchia. Arriva gente, anche tanta gente, da fuori. Con il passaparola. Le persone si incontrano. Diventano amici. Anche se arrivano da esperienze diverse. E nessuno può controllare questo. I ragazzi, nei loro rapporti, fanno quello che vogliono. Nella Chiesa le persone hanno la libertà di chiamarsi amici. Anche se provengono da esperienze diverse. Se si accettano, le diversità non sono un ostacolo, ma una risposta».
BISOGNO DI RELAZIONI «L’amicizia in genere a volte viene vista come qualcosa di banale – ha spiegato don Rava -. Gesù invece dice che non c’è amore più grande che dare la vita per gli amici. Occorre coltivare amicizie profonde. Mettere al centro l’amore libero dell’amicizia significa fare esperienza dell’amore più grande. Questo lo vedo nei ragazzi che accompagno. Nel momento che ho accanto un amico, vero, ho un alleato potentissimo per affrontare ogni difficoltà della vita. Gli amici veri sono quelli con cui uno sperimenta davvero una grande libertà. Non c’è competizione. Non c’è invidia. Si sta insieme non perché simpatici o perché conviene. Semplicemente si sta insieme perché io sono io e tu sei tu. L’amicizia è alla base di ogni tipo di relazione umana. C’è bisogno di amicizia in classe, tra prof, e alunni. C’è bisogno di amicizia tra marito e moglie. Tra mamma e figlio. Gesù più volte ci ha chiamato amici. Se la Chiesa riuscisse a vivere l’amicizia, fino in fondo, credo che coloro che oggi sono fuori inizierebbero a guardare la Chiesa con più simpatia. La gente oggi è sola. La gente ha soldi e possibilità… Tutto si può comprare, ma le relazioni sono una cosa gratis. Non si possono comprare. E sono difficili da trovare. Oggi alle persone mancano le relazioni vere. Oggi la gente è sola».
AMICIZIA. PROFEZIA CHE OGGI LA CHIESA PUO’ DARE «Per questo è importante far sapere alle persone come funzionano, come vivono e quale clima si respira in oratorio – ha spiegato il don -. Quanto bene ci si vuole in oratorio. Occorre comunicare quanto è bella l’amicizia tra generazioni. La Chiesa è chiamata a rimettere al centro l’amore fraterno condito da amicizia, credo che offrirebbe a questo mondo la migliore testimonianza possibile. La profezia che oggi la Chiesa può dare al mondo è l’amicizia. Nel nostro mondo così iperconnesso in realtà mancano relazioni vere. La gente ha un sacco di possibilità ma è sola. Siamo sempre più individualisti. Stiamo dimenticando che siamo persone. Che dipendiamo gli uni dagli altri. La Chiesa può ricordarci che essa stessa è fraternità. Essa stessa è relazione. Che noi veniamo fa Dio che è comunione eterna, nel Padre, Figlio e Spirito Santo. Oggi siamo chiamati a dire bene che la Chiesa è questo. E, soprattutto, a farlo vedere. Per fare questo siamo chiamati a trovare modi pazzeschi e nuovi».
DOPO LA FESTA «Ho scritto questo libro pensando di dare ai ragazzi una storia che li potesse accompagnare nel vivere la propria – ha spiegato don Rava -. Racconto di un ragazzo che vuole diventare grande e vivere i propri sogni. Raggiungere i propri sogni è una grande sfida. Piena di rischi e pericoli. Uno nella vita può diventare chi vuole. Però se lo facciamo da soli rischiamo di perderci. Nessuno diventa veramente grande se va avanti da solo. Avere degli amici diventa una condizione imprescindibile per essere se stessi. L’ho scritto anche pensando di dare agli adulti uno spaccato del mondo giovanile. Una finestra dentro cui vedere come stanno i ragazzi. Cosa dicono. Cosa pensano. Le fragilità che vivono. Certo ci sono professionisti che possono aiutare a vivere meglio. La risposta mia è che comunque avere accanto qualcuno di vero, di fidato, un vero amico, è il modo migliore per affrontare qualsiasi tipo di problema e di difficoltà».
FORMAT DELL’ORATORIO DI BUSTO ARSIZIO «Avevo capito che in quell’oratorio stava capitando davvero qualcosa di grandioso – ha detto don Rava -. Ma non si vedeva da fuori. I ragazzi si divertivano. Io e due altri seminaristi ci volevamo bene. E’ stato contagioso. Tanti ragazzi hanno potuto aprire le porte del cuore a Dio, che è entrato in loro. Sono rinati. Si pregava. Insieme. I rapporti crescevano in intensità e qualità. In oratorio si trovavano tanti amici e ci si metteva in gioco. Ero appena diventato popolare e ho capito che quel format oratorio era davvero geniale. Ho voluto celebralo con un video. Per far vedere i cambiamenti spirituali. L’oratorio di Busto Arsizio era molto tradizionale. E’ stato fondato nel 1887. A volte è difficile cambiare le cose in contesti che apparentemente funzionano bene. Ma a volte c’è proprio bisogno di cambiare. Il mondo oggi corre. Anche nelle parrocchie le cose tradizionali vanno cambiate. Ho capito che quell’oratorio doveva cambiare. Doveva diventare un po’ meno un luogo di ritrovo. Un parcheggione. Un luogo di massa, con 500-600 persone. Le classi di catechismo erano strapiene. Le feste della parrocchia erano popolate di gente. Quella dimensione non bastava più. Ne serviva una più famigliare. Più intima. Dove i ragazzi potessero sentirsi a casa. E quindi ho voluto rendere l’oratorio un po’ più domestico. Un luogo dove vivere in amicizia. Ho introdotto cambiamenti esteriori che hanno veicolato i cambiamenti interiori personali. L’oratorio è diventato la casa di tanti ragazzi. L’oratorio era sempre aperto. Mi rendo conto che questo ha generato tanto bene. Forse, semplicemente c’era bisogno di questo. Un luogo che i ragazzi potessero sentire come domestico, familiare. Io ora sono a Milano. Alcuni di questi ragazzi mi hanno seguito nella nuova esperienza di fraternità. A essi se ne sono aggiunti altri. Provenienti da tutta Italia. Ragazzi che, a un certo punto, si sono chiesti che cosa volessero fare della loro vita. Volevano fare di più. Volevano compromettersi di più con Dio. Si sono trasferiti a Milano. Studiano teologia. Si mettono a servizio della fraternità. Impariamo cose nuove. Facciamo video e organizziamo eventi. Giriamo l’Italia. Acquisiamo competenze trasversali che mettiamo a disposizione della missione della Chiesa. Intanto questi giovani proseguono il cammino per capire cosa chiede loro il Signore. Fanno discernimento mentre si cammina. Mentre si vive. Credo che in questo momento storico questo sia utile. Mentre si è in missione incontriamo un sacco di ragazzi e di giovani. Facciamo eventi in tutta Italia. Utilizziamo i social per annunciare il Vangelo. Creiamo progetti per fare partire cose nuove all’interno della Chiesa».
VENT’ANNI. ETA’ PERFETTA PER FARE GRANDI COSE Don Alberto Ravagnani ha aggiunto: «E la cosa bella è che tanti hanno solo vent’anni. Mi sono però reso conto che hanno l’età perfetta per fare grandi cose. Per sognare in grande. Per mettersi in gioco. Per imparare. Per impostare una vita che, in futuro, potrà diventare la loro vita. E’ proprio perché sono giovani che riescono a essere così brillanti. Così capaci dire le cose giuste. Di avere idee innovative. Sono tanti giovani che io e altri accompagniamo. Sono giovani che si stanno fidando di Dio e della Chiesa».
NON TUTTI I GIOVANI POSSONO VENIRE A MILANO Matteo e Carlo hanno fatto presente a don Rava che non tutti i giovani possono andare a Milano. «Ogni diocesi ha una proposta vocazionale e di discernimento – ha detto il sacerdote brianzolo -. La pastorale ordinaria è il luogo della pastorale vocazionale. Per capire a cosa il Signore ci chiama non per forza occorre andare fuori dal mondo. Più uno si mette con le mani in pasta con Dio e nella chiesa più uno ci capisce di più. Capire cosa il Signore mi sta chiedendo per essere fecondi nella vita è importante. Vivere insieme in profondità alcuni contesti della vita pastorale: questo spacca. Vivere insieme. Giovani con i grandi. Ragazzi con i preti. Vivere insieme, per potersi trasmette qualcosa, fino in fondo. Avere la possibilità di guardarci. Di crescere, correggerci e irrobustirci. Io credo che i contesti di vita comune siano fondamentali».
SERVE UN ANNO SABBATICO Da don Alberto Ravagnani è arriva una proposta: «Io credo che tutti i ragazzi, dopo la maturità, debbano fare un anno di discernimento, di vita comune e poi possano capire cosa fare nella vita. Mi rendo conto che tanti ragazzi, a 19 anni, dopo la maturità non sanno ancora bene che fare della loro vita. Non è scontato che, a 19 anni, uno sappia di preciso cosa fare della propria vita. Tante volte la scelta dell’università è spinta da genitori. O da altri. Inoltre, se uno sta sempre tutto dentro le mura domestiche, sotto il controllo di mamma e papà, non diventerà mai se stesso. Uno lo diventa quando va via di casa. Quando inizia a diventare autonomo. Quando inizia a chiamare padre e madre altri che non sono mamma e papa. Quando si mette in gioco. Impara a cucinare. A lavare. Ad accudire. A gestire i propri soldi. A sbattere il muso contro i propri limiti. Tutte cose normali, ma fondamentali per capire chi sei. Un tempo c’era l’esperienza del militare o del servizio civile. Erano esperienza antropologicamente fondamentali. Erano un anno sabbatico». Don Alberto ha aggiunto questo: «E’ importante lavorare su se stessi. A 19 anni è fondamentale capire chi sei. Rielaborare il passato per prendere consapevolezza dei propri talenti. Non è perdere tempo. E’ guadagnare tempo. Serve questo per diventare bravissimi nella materia della nostra umanità. Occorre essere consapevoli del nostro passato. Della nella nostra storia. Riuscire a lavorare sulla nostra vita, almeno per un anno, è fondamentale. Quindi io credo che tutti i ragazzi dovrebbero fare un anno di vita comune dopo la maturità. Lo dice anche il mio vescovo. E poi, vivere insieme in comunità, in fraternità, è una cosa che funziona. È stradivertente. È strastimolante. E poi, è oltremodo utile».
FEDE INFANTILE E CHIESA VECCHIA? «Oggi la fede spesso viene percepita come qualcosa di infantile. Così come la Chiesa viene vista come “vecchia”. Proprio questo è l’aggettivo più usato dai giovani per descrivere la Chiesa. – ha proseguito don Alberto -. Certo, a volte, la Chiesa si preoccupa solo di tramandare il passato. Di guardare indietro. Di custodire quello che ha già detto. Io penso che la Chiesa sia chiamata ad aiutare l’‘umanità ad andare verso il futuro. Il futuro promesso da Elon Musk è ben poca cosa rispetto alla Vita eterna e al Paradiso annunciati dal Cristianesimo. Spesso la Chiesa è prigioniera del passato, delle tradizioni. In questi contesti essere un buon cristiano vuol dire recitare a raffica le preghiere. Conoscere la storia della chiesa. Stare dentro le tradizioni. E poco altro ancora. Un bravo cristiano invece è uno che, come i santi, deve spaccare. Essere intraprendente e capace nella realtà in cui vive ogni giorno. Fare cose nuove e ispirare gli altri a farle, in famiglia, al lavoro e tra gli amici. Il cristianesimo non può essere qualcosa di vecchio o infantile, cosa che invece oggi pensano tanti. E poi, ancora, come è possibile che il cristianesimo sia oggi associato a cose infantili? Forse il cristianesimo era insegnato in modo infantile perché il catechismo era rivolto ai ragazzi. E allora ecco giochini e preghierine. Certo va anche detto che poi, quando si tratta di presentare il cristianesimo ai preadolescenti, ai giovani, a volte abbiamo dei problemi. E lì casca l’asino. A raccontare ai ragazzi e ai giovani, un cristianesimo vero, possibile, attuale, spesso facciamo fatica. Oggi la maggior parte dei cristiani è rimasta con la fede di quando era bambino. Spesso non si va oltre qualche formuletta di catechismo e due preghierine in croce. Non c’è la capacità di essere cristiani adulti nella fase e nello spazio di vita che si abita quotidianamente ogni giorno. C’è poi il problema di un catechismo presentato spesso da donne di una certa età. La fede non dovrebbe avere solo codici femminili e materni. Occorre anche avere toni paterni, giovani e maschili. Con tutto rispetto, la trasmissione della fede non può essere delegata e lasciata solamente alle donne che parlano ai bambini. Se questo accada ecco che poi il cristianesimo è percepito come una cosa infantile. Naturalmente io non ho una ricetta per rimediare a questo. Occorre provarci. Questo è certo. Per questo serve fare cose nuove. Mettersi in gioco. C’è bisogno di novità…»
COSA VUOLE DIO DA ME? Tra le domande di Matteo e Carlo c’è stata anche questa: «Don, hai capito cosa vuole, Dio da Te?». Don Rava ha bevuto un po’ d’acqua e poi ha detto: «Questa è una domanda complessa. Potrei farla semplice. Dio vuole che io diventi santo. Il problema è che la santità vuol dire essere molto, molto originali. Restando attaccato all’origine. Al nostro fondamento. A Dio. A Gesù. Io ho 31 anni, negli ultimi tempi la mia vita è cambiata. E sta cambiando ancora tanto. Sono arrivate tante cose nuove. Mi sono capitate anche tante provocazioni. Ogni giorno ho tanti incontri. Faccio fatica a incasellare tutto. Tempi, ritmi, spazi di vita sono cambiati. La stabilità non so cosa sia. Non riesco mai a fermarmi. A riposarmi. A provare a guardare le cose, a bocce ferme. Le bocce non sono mai ferme. Io però, in questo momento, so che devo continuare ad andare avanti. Devo continuare ad assecondare la realtà che, in qualche modo, prova a comunicarmi la volontà di Dio. Sono in una fase di grande confusione. Sto andando avanti. Chissà se riuscirò mai a fermarmi e tirare i remi in barca. Per capire bene cosa sta succedendo. Lo farò. Ma ora, non è ancora questo il tempo di farlo. Serve a tutti ritagliarsi tempo. Sano. Di preghiera. Di relazioni. Di silenzio. Di normalità. Lontano dai riflettori, che sono diventati la normalità della mia vita. Io so che devo tutti i giorni lottare per prendermi tempi e spazi di quotidianità, di normalità, che mi aiutano a ricaricarmi. Io però posso correre quanto voglio se penso di avere le spalle coperte. Se ho addosso sguardi di persone amiche che mi vogliono bene. Persone con cui ho una storia di stima e di affetto, una storia di Dio. Che ci lega». Dopo avere calamitato l’attenzione dei presenti, in un Teatro Elios quasi colmo, in tanti hanno comprato una copia del libro Dopo la festa, messo a disposizione da Libricadabra, di Chieri. Dopo l’acquisto, tutti sul palco. Per una dedica. Sin qui la cronaca, un po’ lunga, di una serata importante per la generazione Y, detta dei Millenials (nati dal 1981 al 1996) e per la generazione Z, o delle reti (nati tra il 1997 e il 2012). E non solo. Per chi si è perso questo evento cittadino, è in arrivo il podcast di RadioBase2.0, rubrica Un mondo di voci.