SANTENA – 27 gennaio 2024 – Il Direttivo Unitre di Santena e Cambiano ha inviato al blog il resoconto della gita organizzata all’Abbazia di Chiaravalle e alla città di Monza.
Gita all’Abbazia di Chiaravalle e alla città di Monza
“Prendi un sabato mattina, poche ore di tempo in pullman e la voglia di uscire dall’ordinario”. Così, con questo spirito, lo scorso sabato 20 gennaio 2024 l’Unitre di Santena e Cambiano, insieme ad un nutrito gruppo di colleghi dell’Unitre di Chieri, è partita presto avendo come destinazione le due località della Lombardia.
Quella di visitare l’Abbazia di Chiaravalle è un’idea che ci è venuta a tal proposito, ma che ci ha regalato un paio d’ore di immersione totale nella storia, nell’arte e nella bellezza. L’Abbazia di Chiaravalle (o Monastero di Santa Maria di Chiaravalle) si trova nel Parco agricolo Sud Milano. Conosciuta anche come Santa Maria di Roveniano, l’Abbazia di Chiaravalle fu fondata nel XII secolo – più precisamente nel 1135 – da san Bernardo di Chiaravalle. In quell’anno, il santo riuscì a porre fine alla disputa tra il papa Innocenzo II e l’antipapa Anacleto II, convincendo i milanesi a sostenere il papa legittimo. Per riconoscenza, quest’ultimo gli regalò un terreno e diede via alla costruzione di un monastero per Bernardo e i suoi monaci. La chiesa fu consacrata a Santa Maria nel 1221. Nel 1465, l’abbazia passò sotto la guida di Ascanio Maria Sforza Visconti, fratello di Ludovico il Moro che, a quel tempo, governava Milano. A questo periodo si devono i lavori artistici del Bramante e di Giovanni Antonio Amadeo, mentre ai periodi successivi risalgono i capolavori di Bernardino Luini e dei Fiammenghini. Nel 1798, la Repubblica Cisalpina e Napoleone cacciarono i monaci, e gran parte del complesso venne demolito; quel che rimase cadde in mano a privati, e solo nel 1893 l’Ufficio per la Conservazione dei Monumenti riacquistò il complesso e ne iniziò il restauro. Col passare dei secoli, l’abbazia e il suo monastero divennero il centro di un vero e proprio borgo agricolo, con l’orto, il mulino e la produzione locale; questo borgo a sé stante venne infine annesso al territorio milanese nel 1923. Solo nel 1952, grazie al cardinale Schuster, ai monaci cistercensi fu permesso di riprendere possesso del loro monastero.
Oggi l’Abbazia di Chiaravalle rappresenta uno dei primi e più illustri esempi dell’architettura gotica in Italia, ed è tra le mete preferite dei milanesi e non per godersi un paio d’ore a metà strada tra silenzio, pace e spiritualità. Qui è dove la città lascia il posto alla campagna e dove l’industriosità ha reso vive le tradizioni. Alcune parti del complesso sono tutt’oggi abitate dai monaci cistercensi (attualmente circa una ventina), ma altre parti sono aperte al pubblico, quali la chiesa e il chiostro.
La facciata a capanna della chiesa, semplice e scorsa dalle mille cicatrici del tempo, incornicia una delle prime cose che abbiamo visto appena arrivati all’Abbazia di Chiaravalle : il portone d’ingresso, risalente all’inizio del XVI e scolpito con le figure dei Quattro Santi importanti per l’ordine cistercense: san Roberto, sant’Alberico, santo Stefano e san Bernardo. Dietro, si apre una chiesa ampia e ricchissima di dettagli. La cosa interessante è che le chiese degli ordini cistercensi sono solitamente molto spoglie e sobrie, qui, invece, si trovano tantissimi meravigliosi affreschi a opera di diversi artisti italiani che risalgono, però, a un secondo momento (XVI e XVII secolo) conformemente alle direttive del Concilio di Trento. Gran parte degli affreschi in transetto, presbiterio, volta e controfacciata sono opera dei Fiammenghini, ovvero i fratelli Giovan Battista e Giovan Mauro Della Rovere.
Oltre agli affreschi, si osserva da vicino il coro barocco, intagliato da Carlo Garavaglia a metà del XVII secolo. Realizzato in noce, il coro è composto da due file e decorato da scene della vita di san Bernardo, scolpite in modo davvero magistrale. Poiché ai monaci cistercensi è richiesto di stare in piedi, non ci sono sedute, ma solo piccoli “sellini” che si possono abbassare per appoggiarsi. Infine, prima di uscire dalla chiesa abbiamo dato un’occhiata alla scala che, dal transetto sud, porta al dormitorio. In cima l’affresco della Madonna della buonanotte, dipinta da Bernardino Luini nel 1512. Si chiama così perché i monaci avevano l’abitudine di salutare la Madonna con un’ultima preghiera prima di andare a dormire. Nel periodo medievale, la presenza dei monaci portò alla bonifica di vaste aree della Pianura Padana per la costruzione di nuovi edifici religiosi. Questo nuovo terreno era adatto anche al pascolo e molti monasteri si trovarono con tante mucche e tantissimo latte, così tanto da non sapere come fare a conservarlo. Si racconta che furono proprio i monaci cistercensi dell’Abbazia di Chiaravalle a trovare una soluzione : far cuocere il latte, aggiungere caglio, salare e stagionare. Nasceva così un formaggio caratterizzato più per la sua funzione “anti-spreco” che altro: i monaci lo chiamarono caseus vetus (formaggio vecchio), ma gli allevatori della zona lo chiamavano volgarmente “grana” per via della sua pasta granulosa. Nel corso dei secoli, questo formaggio di recupero venne sempre più apprezzato anche dalle caste più ricche: era nato così l’antenato del Grana Padano.
Parliamo ora del chiostro. La parte vicino alla chiesa è quella originale, che risale al XIII secolo; qui si trova anche il bell’affresco della Vergine con Bambino onorata dai Cistercensi. Il resto del chiostro fu fedelmente ricostruito abbastanza recentemente : in seguito all’Unità d’Italia, nel 1861, iniziarono i lavori per la linea ferroviaria Milano-Pavia-Genova, e parte del chiostro venne abbattuto per recuperare spazio. Una caratteristica del chiostro è la presenza di colonnine “annodate”, così come da frammenti di nodi sparsi per tutto il muretto. Questi nodi sono un simbolo molto importante per i monaci : rappresentano il legame indissolubile tra cielo e terra, così come tra i membri dell’ordine cistercense. Dal chiostro è possibile sbirciare nella grande sala da pranzo dei monaci, e anche nella Sala del Capitolo, sulle cui pareti si notano dei “graffiti” – attribuiti al Bramante – raffiguranti la Milano dell’epoca, con tutti i cambiamenti del caso (il Duomo qui è ancora senza guglie!). Il chiostro, infine, è il posto da cui ammirare una visuale unica sulla meravigliosa Ciribiciaccola : la torre nolare dell’Abbazia di Chiaravalle, oggi purtroppo poco visibile per restauri conservativi in atto. Di pianta prima ottagonale e poi conica, raggiunge un’altezza di oltre 56 metri, risale agli anni ’30 del 1300 ed è decorata da archetti, cornici e colonnine. E’ tutto di un bel rosso mattone come il resto dell’abbazia, ma le bifore, trifore e quadrifore sono in bianchissimo marmo di Candoglia, lo stesso che fu utilizzato per il Duomo di Milano. Forse opera di Francesco Pecorari, la torre ospita la più antica campana a sistema ambrosiano ancora in funzione, risalente al 1453; affettuosamente chiamata Bernarda, viene azionata ogni giorno attraverso una fune, che i monaci tirano per scandire le ore dedicate alle liturgie e alle messe. Ma perché la torre campanaria ha questo strano, buffo nome? C’è un’antica storiella-scioglilingua milanese che parla di Ciribiciaccola e “ciribiciaccolini”; essi potrebbero essere i monaci, oppure i piccoli della cicogna che, un tempo, nidificava nella torre (i suoi colori, bianco e nero, sono gli stessi delle vesti dei monaci cistercensi), forse questo nome nasce proprio dal verso dei cicognini, “ciri ciri”.
Terminata la visita all’Abbazia di Chiaravalle abbiamo raggiunto la città di Monza, Monscia in dialetto monzese, che è il capoluogo della provincia di Monza e della Brianza in Lombardia e centro di una delle aree più produttive d’Europa. È il terzo comune della regione Lombardia per popolazione, preceduto da Milano e da Brescia.
In epoca romana è attestata come Moguntiacum , ma altri fonti storiche segnalano il vicus di Modicia, anche se nel territorio monzese sono state rinvenute testimonianze di presenze umane molto anteriori. Monza si trovava sulla Via Aurea o Via Spluga, strada consolare romana diretta a Como e al passo dello Spluga. La città conobbe un periodo di particolare rilevanza politica e di intenso sviluppo artistico durante il VII secolo, quando fu capitale estiva del Regno longobardo. In seguito la città entrò nei domini del Sacro Romano Impero, pur con ampi margini di autonomia, e infine, dall’XI secolo, entrò nell’orbita di Milano. Monza è stata inoltre sotto la signoria dell’illustre casato dei Principi Morigia alleati dei Visconti. Libero comune nel XIII secolo, nel XIV secolo Monza entrò nei domini dei Visconti di Milano, dei quali seguì la sorte passando poi sotto il dominio della potente famiglia Durini di Milano in pieno periodo di occupazione spagnola. I Durini diedero alla città e a tutto il suo esteso territorio un impulso economico e culturale di grande rilievo, costruirono importanti edifici commissionati ai più importanti architetti del tempo, diedero vita a grandi campagne decorative nei loro palazzi così come nel Duomo. I Durini dominarono la città e il suo territorio fino alla fine del regime feudale. Monza rimase poi sotto il dominio austriaco, fino a diventare parte, nel 1859, del Regno di Sardegna (poi Regno d’Italia dal 1861). Il 29 luglio 1900 viene assassinato a Monza, per mano dell’anarchico Gaetano Bresci il re d’Italia Umberto I. In tutte le direzioni del nucleo originario della città, riunite attorno al duomo di San Giovanni Battista e all’Arengario, sono recentemente emerse aree residenziali e industriali. Monza, già centro tessile e artigianale specializzato in fabbriche di cappelli, ora è diventato un importante centro industriale (ingegneria, industria elettrica, alimentare, cartaria, plastica e abbigliamento e tessile) e servizi, in particolare centri commerciali. È, inoltre, particolarmente nota per la presenza dell’Autodromo nazionale, dove si disputa il Gran Premio d’Italia di Formula.
Secondo una leggenda, la regina Teodolinda, per riposarsi durante una battuta di caccia del re e della corte longobarda, si addormentò lungo la riva del fiume Lambro. In sogno avrebbe visto una colomba, simbolo dello Spirito santo, che le avrebbe pronunciato la parola “modo”, ad indicare che avrebbe dovuto dedicare quel luogo a Dio. La regina a quel punto avrebbe risposto “etiam”, indicando la sua piena accondiscendenza al volere divino.
Dall’unione delle due parole modo ed etiam sarebbe poi quindi nato il nome della città: Modoetia. L’episodio è narrato, insieme ad altri della vita della regina, nel ciclo di affreschi, eseguito nel XV secolo dai fratelli Zavattari, che decora interamente le pareti della Cappella di Teodolinda nel Duomo di Monza.
Alla disgregazione dell’impero romano Monza condivide le vicende dell’intera Italia che subisce lo stanziamento di nuovi popoli. L’arrivo in Italia dei Longobardi (568), guidati dal loro re Alboino segnarono una svolta nella storia di Monza : la conquista longobarda si estenderà a larga parte del territorio italiano (Langobardia Maior e Langobardia Minor) e comporterà un ruolo storicamente importante per la città di Monza (Modoetia).
Non si hanno notizie storiche su Monza per tutto il periodo che intercorre tra la morte di Teodorico ed il regno di Autari che invece sarà, insieme a quello del suo successore Agilulfo, molto importante politicamente per la città. Autari, terzo re in Italia dei Longobardi, aveva sposato, nel 589 Teodolinda, principessa cattolica bavarese, figlia del duca Garibaldo e di Valdrada, principessa della stirpe longobarda dei Letingi. Morto improvvisamente Autari nel 590, Teodolinda sposò in seconde nozze il duca di Torino, Agilulfo, incoronato re d’Italia. La coppia regale stabilì a Milano la propria capitale e a Monza la residenza estiva. Vestigia del tempio teodolindeo, quali muri del VI secolo, iscrizioni, lastre decorate a soggetto religioso si trovano tuttora a far parte dell’odierno Duomo, che forse ne comprende alcune navate. A lato dell’abside rimane anche una torre longobarda usata più tardi come campanile della Basilica e forse in origine posta a difesa dell’adiacente Palazzo Reale di Teodolinda. Papa Gregorio Magno, grazie all’influenza della regina, sostenne la conversione al cattolicesimo del popolo longobardo, ancora in gran parte pagano o ariano. Per incoraggiare e confermare la fede del popolo il papa donò una serie di oggetti di culto, molti dei quali, carichi di valore storico ed artistico, sono ancora oggi conservati nel museo del Duomo, insieme anche a numerosi oggetti d’arte di questo popolo: tra questi l’Evangeliario di Teodolinda, che papa Gregorio Magno donò nel 603 alla regina dei Longobardi. Teodolinda morì nel 627 e venne sepolta nell’Oraculum. Nel 1308 i suoi resti furono trasferiti in un sarcofago nella Cappella a lei dedicata.
Dopo Teodolinda la Chiesa monzese andò assumendo un’importanza spirituale e temporale sempre maggiore. A suo capo fu posto un “Diacono custode” (che successivamente, nell’anno 879, divenne “Arciprete“). In questo periodo la Basilica monzese e le sue terre furono prima soggette a “Principi”, cioè a feudatari inviati dai re longobardi residenti a Pavia. Più tardi l’Arciprete di Monza giunse ad associare il potere temporale a quello spirituale. Nell’anno 774 i Longobardi di Desiderio sono sconfitti dai Franchi di Carlo Magno che riceve la Corona Ferrea nel 775. In seguito la città entrò nei domini del Sacro Romano Impero, pur con ampi margini di autonomia, e infine, dall’XI secolo, entrò nell’orbita di Milano. Monza è stata inoltre sotto la signoria dell’illustre casato dei Principi Morigia alleati dei Visconti.
Il Duomo di Monza si affaccia sull’omonima piazza del centro storico, la tradizione vuole che sia stata la Regina Teodolinda a ordinarne la prima costruzione. Il campanile, eretto nel XVII secolo, è stato restaurato tra il 1999 e il 2006. Il Duomo ospita lo storico Museo. Degna di nota, all’interno del Duomo, è la Cappella di Teodolinda che ospita la Corona Ferrea all’interno di una teca. Con la Corona Ferrea fu incoronato Imperatore Carlo Magno nella Cattedrale di Acquisgrana nel giorno di Natale dell’anno 800 d.C.
Nell’altare della Cappella di Teodolinda è custodita la Corona Ferrea, uno dei prodotti di oreficeria più importanti e densi di significato di tutta la storia dell’Occidente.
Conservatasi miracolosamente fino ai nostri giorni, la Corona è composta da sei piastre d’oro – ornate da rosette a rilievo, castoni di gemme e smalti – recanti all’interno un cerchio di metallo, dal quale prende il nome di “ferrea”, che un’antica tradizione, riportata già da sant’Ambrogio alla fine del IV secolo, identifica con uno dei chiodi utilizzati per la crocifissione di Cristo: una reliquia, quindi, che sant’Elena avrebbe rinvenuto nel 326 durante un viaggio in Palestina e inserito nel diadema del figlio, l’imperatore Costantino. La tradizione, che lega la Corona alla passione di Cristo e al primo imperatore cristiano, spiega il valore simbolico attribuitole dai re d’Italia (o dagli aspiranti tali, come i Visconti), che l’avrebbero usata nelle incoronazioni per attestare l’origine divina del loro potere e il loro legame con gli imperatori romani. Recenti indagini scientifiche fanno prospettare che la Corona, che così come si presenta deriva da interventi realizzati tra il IV-V e il IX secolo, possa essere un’insegna reale tardo-antica, forse ostrogota, passata ai re longobardi e pervenuta infine ai sovrani carolingi, che l’avrebbero fatta restaurare e donata al Duomo di Monza.A partire da allora la storia del diadema fu indissolubilmente legata a quella del Duomo e della città. Nel 1354, ad esempio, papa Innocenzo VI sancì come diritto indiscusso – anche se poi disatteso – del Duomo di Monza di poter ospitare le incoronazioni dei re d’Italia, mentre nel 1576 san Carlo Borromeo vi istituì il culto del Sacro Chiodo, in modo sia da rendere ufficiale il riconoscimento del diadema come reliquia, sia di legarlo a un altro Sacro Chiodo, conservato nel Duomo di Milano, che secondo la stessa antica tradizione sant’Elena avrebbe fatto forgiare a forma di morso per il cavallo di Costantino, come ulteriore metafora dell’ispirazione divina nel comando dell’Impero.
In virtù del suo valore sacro la Corona Ferrea viene conservata in un altare consacrato e ad essa dedicato, eretto da Luca Beltrami nel 1895-96. Il 22 aprile 1859, poco prima dell’inizio della Seconda guerra d’indipendenza, per decreto dell’arciduca Massimiliano la corona e la tazza di Teodolinda furono trasferite a Vienna insieme al manto e alla spada usati per l’incoronazione di Ferdinando I. La Corona Ferrea fu poi riportata in Italia da Isacco Artom, segretario di Camillo Cavour.
Dopo il Duomo ci siamo spostati davanti alla Chiesa di San Maurizio : situata in piazza Santa Margherita, è stata eretta, in origine con altro titolo, nel 1469 e faceva parte del complesso conventuale delle Umiliate, dove visse la Monaca di Monza. Del convento delle Umiliate rimane solo il portale d’ingresso
Un altro edificio di interesse storico è Arengario che si trova nel centro, in piazza Roma, punto da cui partono le vie principali dell’area pedonale. È l’antico Palazzo Comunale di Monza, costruito nel XIII secolo. Inizialmente era privo della torre e della “Parlera”, il balcone da cui si affacciavano i governanti per parlare alla popolazione.
Infine abbiamo visto la Torre detta “di Teodolinda”. Si tratta di un edificio – nonostante l’ambigua denominazione – che risale al XIII secolo, pertanto è logico che non fu la Regina Teodolinda a costruirlo. La torre appartenne alla Famiglia Pessina che qui riscuoteva il dazio sulle merci che entravano in città[1]. La torre è tuttora utilizzata come abitazione privata.
All’inizio la torre faceva parte dell’apparato difensivo della città, ma poi divenne uno dei punti di accesso della città e fu chiamata Porta Lambro, proprio perché serviva di transito delle merci dal fiume Lambro alle piazze della città.
Terminata la visita alla città di Monza le due UNITRE, Santena-Cambiano e Chieri, sono risalite sul pullman destinazione casa, pronti per un’altra avvincente avventura in Savoia nel prossimo mese di marzo.
Santena, 25 gennaio 2024
Il Direttivo Unitre di Santena e Cambiano
N.B. Le informazioni storiche riportate sono originate da quanto esposto dalle guide turistiche che ci hanno accompagnato durante la gita. Ulteriori informazioni sono state dedotte dai siti web dei luoghi visitati.