Santena – 6 novembre 2010 – Di seguito, l’intervento del sindaco Benny Nicotra, pronunciato in occasione del 4 novembre, giornata delle forze armate e festa dell’unità nazionale.
La celebrazione è iniziata attorno alle 18, nella centralissima piazza Martiri, il ritrovo era fissato davanti alla lapide dei caduti affissa sulla facciata del palazzo municipale. L’intervento del sindaco è arrivato dopo una breve sfilata; il corteo era aperto dalla banda musicale, seguita dalla corona preparata in onore dei santenesi caduti per la patria. Dietro la filarmonica il gonfalone della città, autorità civili e militari, un buon numero di rappresentanti delle associazioni e alcuni cittadini. Dopo la deposizione della corona ha preso la parola il sindaco.
«Oggi si celebra la ricorrenza di due date importanti – ha detto Benny Nicotra – quella dell’armistizio del 1918, che pose fine alle terribili stragi della prima guerra mondiale e quella del milite ignoto. Si tratta di due ricorrenze tristi ma dal significato simbolico e importante perché ci ricordano, ogni anno, il ruolo fondamentale dell’esercito e del difficile mestiere di coloro che svolgono questo servizio».
Il sindaco ha continuato: «Negli ultimi anni, in questo periodo, abbiamo purtroppo dovuto piangere altri caduti, da quelli di Nassiria, a quelli recentissimi, gli alpini, il 9 ottobre di questo anno. E’ un mestiere difficile quello del militare. Chi fa questa scelta – come avviene anche per le forze dell’ordine – a differenza di quasi tutti gli altri mestieri, sa di poter morire compiendo il suo lavoro. Non lo fanno per soldi, perché nessuna retribuzione può compensare la morte, ma perché credono nel valore della missione che stanno svolgendo. E proprio lo svolgimento della missione, il suo successo, è ciò che giustifica anche la perdita del bene supremo, la vita. Questo concetto è valido soprattutto per le missioni internazionali, in cui si opera per garantire alla popolazione dei Paesi una speranza di vita migliore, la pace».
«Tutti speriamo che l’Afganistan possa, in tempi ragionevoli – ha aggiunto il sindaco – diventare autonomo nella difesa della democrazia e i nostri ragazzi possano finalmente tornare a casa. A mio parere non si sottolinea mai abbastanza quanto il lavoro del contingente italiano sia apprezzato dalla Nato che in vista di questo obiettivo ha chiesto di potenziare il nostro intervento di formazione e addestramento per le forze di polizia e l’esercito locale. Un intervento ritenuto particolarmente efficace e prezioso. Pensare di poter abbandonare la partita, lasciando semplicemente il campo ai talebani è, in primo luogo, un’offesa ai nostri militari, che in questa nobile azione hanno perduto la vita. Chi si dedica a tale compito accetta con generosità e coraggio la possibilità del sacrificio, ma certamente una cosa non può accettare: che il sacrificio sia stato inutile. Quando si inizia un’opera importante e nobile come questa bisogna arrivare fino in fondo. Non ci si può fermare a metà strada».
Il sindaco ha chiuso così: «Questo io mi sentivo di dire nella ricorrenza dei caduti. Concludo, dedicando un commosso ricordo ai nostri caduti santenesi della grande guerra e degli altri conflitti, i cui tanti nomi sono riportati qui nella lapide alle mie spalle. E’ giusto che la corona sia stata depositata a loro. Ringrazio tutti voi. Ringrazio l’arma dei carabinieri. Ringrazio il parroco don Nino e, lo ripeto, non finirò mai di ringraziarvi per la vostra presenza in un momento così dedicato».
Dopo l’intervento del primo cittadino la celebrazione è continuata in chiesa parrocchiale con la messa, celebrata dal parroco don Nino Olivero. I componenti la banda musicale si sono seduti nella fila di banchi a sinistra dell’altare; nella fila centrale il sindaco, il maresciallo Giovanni Esposito, il comandante dei vigili Alutto e alcuni esponenti delle associazioni cittadine. Le file di banchi a destra vedevano le penne nere degli alpini, guidate dal signor Chiesa e una pattuglia di bersaglieri ed ex carabinieri. Dietro l’altare, i gagliardetti delle associazioni cittadine. Sparsi tra i banchi una trentina di santenesi.
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