Santena, intervista al viceparroco don Mauro Grosso

Santena – 7 gennaio 2011 – Pianeta giovani e non solo. Chi fa più fatica nel vivere in città. Alcuni aspetti peculiari della parrocchia cittadina. C’è questo e molto altro ancora nell’intervista realizzata al viceparroco don Mauro Grosso.

La chiacchierata con don Mauro Grosso, viceparroco a Santena, inizia con alcune riflessioni sul pianeta giovani della città: «Premetto che la mia visione è per forza di cose un po’ parziale; io non mi rapporto con tutti i giovani di Santena. Ho sottomano una porzione di giovani della città con cui si è istaurato un rapporto di confidenza e di apertura. Con loro ci si confronta, anche su quanto accade. E’ chiaro che molti giovani della città non li conosco affatto. Forse è colpa mia che non li vado a cercare. A molti poi, in generale, non interessa molto essere cercati. Quando poi a cercarli è il prete qualcuno ha qualche difficoltà in più. Premesso questo, è chiaro che con alcuni parliamo anche in generale e di quello che accade in città. In molti giovani che conosco dico che c’è voglia di fare, di sapere e di impegnarsi, con tutte le fatiche relative che sono legate alla vita di tutti i giorni. I giovani sono propositivi; c’è bisogno da parte dei giovani di ricevere un seme che possa germogliare. E sappiamo che il primo seme che deve germogliare è quello di Gesù Cristo».

Don Mauro prosegue così: «Io ho una opinione positiva dei giovani. E’ chiaro che poi spesso si trovano a dover combattere per le cose semplici: è più facile fare niente che impegnarsi in un qualcosa. E’ più facile andare al bar che trovarsi a pregare. E’ più facile saltare di qua e di là nei rapporti affettivi e nelle cose che si fanno, rispetto a impegnarsi in una direzione e dire ok adesso scelgo qualcosa e lo porto avanti con determinazione. E’ più facile scegliere di fare niente ed essere uccello di bosco. Spesso non ci rendiamo conto che, come formatori, dobbiamo combattere queste battaglie insieme ai ragazzi. E questo, non basta dirlo, occorre proprio farlo. La difficoltà sta nel fare incontrare queste due realtà ed è bello riconoscere che questo accade».

Sempre sui giovani ci sono esperienze positive da segnalare?

«Certamente sì. Tra le cose positive da evidenziare la prima che mi viene in mente è il recente recital, incentrato sulla vita di Gesù, che ha visto impegnati un centinaio di giovani dai 18 anni in avanti. Lo spettacolo è stato presentato per tre serate; in tutto abbiamo avuto settecento spettatori.  Direi che è stato un momento di eccellenza per la nostra pastorale parrocchiale. Il recital ha dimostrato che, se si vuole, è possibile fare le cose bene e con uno spirito positivo.  Naturalmente, io dico anche che poi bisogna sapere andare oltre e non sedersi sui buoni risultati raggiunti. Il recital in molti, naturalmente non in tutti, ha portato frutti positivi. E’ comunque stato un momento forte. Nei momenti formativi i giovani si perdono un po’; spesso si cade preda del fare, si cade nel cosismo, si diventa malati del fare che diventa fine a se stesso».

Naturalmente il pianeta giovani presenta anche criticità.

«Una è senz’altro costituita dalla bassa frequenza ai sacramenti. I giovani sono carenti in quelli che possiamo chiamare i fondamentali della vita di fede. Io dico sempre che – e questo vale non solo per i giovani, ma per tutti i cristiani – venire a messa è fondamentale. Questo aspetto per me è una preoccupazione notevole rispetto ai comportamenti dei giovani. Senza la messa si può affermare che – utilizzando come esempio il programma grafico Photoshop, si è senza una sorta di livello di fondo su cui poggiano tutte le altre esperienze. Se togliamo dalla vita di fede la frequenza dei sacramenti, come la messa e la confessione, noi – cristianamente parlando – siamo spacciati. E questo dobbiamo saperlo. Un altro aspetto problematico riguarda la formazione. Spesso si fanno tante cose; i giovani hanno sempre l’agenda piena di appuntamenti, ma il tempo dedicato alla formazione è del tutto insufficiente. Questo non è bene perché poi quando molti animatori, nel loro impegno quotidiano, si trovano di fronte a tante domande dei loro coetanei non hanno la possibilità di fornire le dovute risposte. Io dico anche che mi commuovo quando c’è un giovane che a fronte delle domande, sue o dei coetanei, è in grado di cercare e fornire delle risposte. Un altro aspetto ancora su cui penso bisognerebbe insistere è quello della carità. Anche su questo, come comunità parrocchiale, dobbiamo lavorare a fondo e, soprattutto, dobbiamo crederci. La carità è un altro fondamentale per la vita del cristiano, è una sorta di cartina di tornasole.  Un altro aspetto da considerare è quello del servizio: non necessariamente i giovani devono fare gli animatori. Faccio un esempio, sarebbe importante mettersi a servizio di coloro che non possono venire a messa perché hanno bisogno di un passaggio. Penso sarebbe cosa normale poter accompagnare queste persone alle funzioni. Un altro aspetto da prendere in considerazione è rappresentato dalle tante persone che sono sole e hanno bisogno di scambiare quattro parole con qualcuno. Un bel servizio che i giovani potrebbero fare è quello di andare a trovare queste persone. Mezz’ora basta per farle felici: io penso che, se uno vuole, nell’arco della settimana almeno una mezzora è possibile trovarla».

In questa città chi è che fa più fatica?

«Qui parliamo della città in generale, andando oltre il pianeta giovani. Anche nel nostro comune ci sono difficoltà diverse. Occorre fare molta attenzione, altrimenti si rischia di fare della sociologia, piuttosto che la constatazione sul reale. La fatica che più si coglie è quella di molti che  non sanno dove battere la testa per arrivare  a fine mese. A volte ho la netta l’impressione che in città vi sia una sorta di area grigia, popolata da soggetti che all’apparenza sono normali, hanno un lavoro, ma che fanno fatica ad arrivare a fine mese. Molti di essi però non chiedono aiuto. Tutto questo mi porta a dire, a ragion veduta, che non siamo ancora abbastanza accoglienti. Nella nostra comunità vige ancora il pettegolezzo; questo non è segno di una comunità vera e viva».

Il lavoro è l’unico bisogno presente nelle richieste di aiuto?

«No. Arrivano anche persone che hanno problemi con la gestione di quanto dispongono. Alcuni non sanno staccarsi dai consumi superflui. C’è chi vive difficoltà economiche ma ha due cellulari. Anche qui non si intende colpevolizzare nessuno: io penso che su alcune criticità bisognerebbe lavorare di più e meglio a livello educativo. Alcuni soggetti non hanno mai avuto insegnamenti rispetto alla esigenza di una vita sobria, senza fronzoli che spesso prendono il posto delle cose essenziali, valori compresi. Forse, questo è un’altra cosa su cui la comunità cristiana dovrebbe riflettere un po’ più a fondo. E magari bisognerebbe anche che noi preti insistessimo un po’ di più nella predicazione, come nella catechesi».

Ci sono altri problemi che arrivano dalla gente che incontri ogni giorno?

«Certo, c’è in molti una grande ricerca di senso della vita. Si tratta di cose che emergono in alcune occasioni, ad esempio la perdita di una persona cara e durante fatti importanti della vita. C’è una grande ricerca di senso per la propria vita, ma c’è anche una grande dispersione. Io non lo so se è anche per il lavoro che noi preti non sempre facciamo bene, ma non sempre la ricerca è orientata nella giusta direzione. E qui occorre denunciare la fuga di cuori. La gente va a cercare altrove perché noi non diamo queste risposte. Questo per la comunità cristiana è una cosa che reputo grave. Io penso anche che la mia convinzione di credente, il mio avere incontrato realmente il Signore, si deve vedere subito, da fuori, senza bisogno di dover pronunciare troppe parole. Noi a Santena abbiamo ancora la chiesa piena, ma molti sono già scappati perché non siamo capaci di una testimonianza credibile».

Un altro problema è dato dalle tante agenzie educative che pesano sulla formazione dei giovani come degli adulti.

«Più che di agenzie educative parlerei di agenti educativi che spesso diventano un po’ pericolosi; la gente rischia di legarsi alla persona. Faccio un esempio: la gente viene a parlarmi, viene da me don Mauro Grosso e non vede in questo l’incontro con la comunità, con un senso di chiesa. La gente vede solo l’incontro con me, come con altri sacerdoti; molti dicono anche “Come era bravo quel prete”. Così facendo si rischia di cadere in una ottica eccessivamente individualistica. Occorre fare attenzione, anche noi sacerdoti dobbiamo lavorare su questi aspetti. Segnalo anche che da molte persone arriva una forte richiesta di chiarezza. La gente si pone tanti perché rispetto agli insegnamenti del Papa e dei vescovi.  Molte volte la gente non ha però ben chiari i problemi, altre volte non va oltre i soliti luoghi comuni. Io riscontro che quando le cose vengono spiegate in genere la situazione migliora. Magari gli insegnamenti continuano a non piacere, ma almeno la situazione è chiara. Molti dubbi non sempre fondati arrivano rispetto ai sacramenti. Mi chiedo anche se non vi siano responsabilità rispetto all’insegnamento catechistico. Io riscontro che, una volta fatta la dovuta chiarezza, la gente se ne va rasserenata. Oltre a dimorare (accogliere, suscitare…) le domande uno dei nostri compiti è anche quello di indicare delle risposte. Gesù ha risposte e noi dobbiamo essere in grado di trasmetterle».

La parrocchia di Santena ha qualche peculiarità da citare?

«Santena è un terreno fertile, non c’è niente da fare, è così. E’ un dato di fatto. Proprio per questo sono terribilmente dispiaciuto di non avere più molto tempo a disposizione da dedicare alla comunità. L’incarico di segretario dell’arcivescovo necessariamente fa si che abbia molto meno tempo per la comunità santenese. Santena è terreno fertile sui giovani e in generale; bisognerebbe avere le risorse e le capacità di lavorare questo terreno fertile sempre di più e sempre meglio. Santena è una comunità viva. I rapporti con la società civile, con le associazioni sono buoni. Anche con l’amministrazione, al di là del colore politico, si lavora in sintonia. Certo ci è chiesto un ulteriore sforzo rispetto all’integrazione degli stranieri e anche nell’accoglienza dei poveri che aumentano sempre più».

Ci sono altri aspetti che richiedono sforzi ulteriori?

«Un altro tema da seguire è quello della missionarietà.  Segnalo come esperienza positiva il lavoro comune che si sta portando avanti con il gruppo missionario e la Caritas. Abbiamo messo insieme le risorse per avviare un corso di alfabetizzazione informatica rivolto a ragazzi e ad alcuni adulti. Lo stesso percorso lo stiamo facendo con altre realtà più legate al sociale; lavorare insieme porta valore aggiunto».

Un punto di riferimento per la comunità è Villa Tana e l’oratorio dedicato a san Luigi.

«Su Villa Tana ci sono considerazioni di merito decisamente di segno positivo. Guardando anche ad altre realtà simili io non ho parole sufficienti e adatte per esprimere la gratitudine per quello che sta facendo Matteo De Martino con la sua famiglia. Certo è il suo lavoro, ma noi sappiamo bene che c’è lavorare e lavorare. Ci  tengo e mi piace dirlo, Matteo è una presenza encomiabile. A volte dobbiamo insistere per fargli fare qualche giorno di giuste e meritate vacanze che, tra l’altro sono un diritto. Senza Matteo e la sua famiglia l’oratorio sarebbe del tutto diverso. Sappiamo che l’oratorio è frequentato quotidianamente da un buon numero di giovani che non partecipano alle attività parrocchiali. D’altro canto, chi partecipa ai gruppi formativi spesso non ha nell’oratorio il suo abituale ritrovo. Per tutti Villa Tana è un luogo accogliente e rappresenta anche una delle poche aree attrezzate della città dove le mamme possono portare a giocare i figlioletti».

La parrocchia ha appena rinnovato il consiglio pastorale.

«E’ iniziato un nuovo mandato. Il consiglio è stato rinnovato con modalità di rappresentanza diverse rispetto al passato. L’obiettivo che si è perseguito è avere persone motivate che si impegnano non  per mettere in agenda una riunione in più, ma diano una mano nella lettura della realtà parrocchiale e cittadina e che possano contribuire a delineare  le linee pastorali, le sostengano e le portino avanti. Nelle intenzioni il consiglio  pastorale parrocchiale deve diventare un po’ il pensatoio della parrocchia, aperto alla realtà cittadina, assolutamente non chiuso su se stesso. E i nuovi eletti stanno lavorando in tale direzione».

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