Santena – 30 gennaio 2011 – Di seguito, alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 30 gennaio al 5 febbraio2011, tratte dalla liturgia del giorno, con spigolature dal secondo capitolo degli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020 “Educare alla vita buona del vangelo” e omelia domenicale della Comunità di Sant’Egidio.
Domenica 30 gennaio 2011
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
Mt 5,1-12a
Non ci va di essere “beati” davvero
Con il Vangelo della quarta domenica del tempo ordinario, inizia la lettura della grande composizione di Matteo che abbraccia tre interi capitoli, dal quinto al settimo, nota come il “Discorso della montagna”, la magna charta del discepolo. Matteo vuol dare a questo messaggio un rilievo tutto particolare. Fa salire Gesù su di un monte, il luogo per eccellenza da cui Dio ammaestra, come per suggerire un parallelo tra l’antica e la nuova alleanza tra Dio e il suo popolo. La prima fu sancita con la legge data a Mosè sul Sinai; la seconda riceve il suo sigillo con questa nuova legge proclamata sul monte delle beatitudini. Nel Vangelo ascoltato domenica scorsa abbiamo visto i primi discepoli e le prime folle raccogliersi attorno a Gesù. Erano uomini e donne conquistati da parole diverse da quelle che normalmente sentivano. Gesù, infatti, non insegnava come facevano abitualmente tutti gli altri maestri del tempo (e ce n’erano sparsi ovunque): egli parlava “con autorità”, nota l’evangelista. Era l’autorità di chi veniva tra gli uomini per servire e non per essere servito, di chi era pronto ad amare il Vangelo anche più della propria stessa vita. E la gente che lo andava ad ascoltare percepiva queste cose, toccava con mano la verità e la concretezza di quelle parole. Era gente spesso stanca e malata, povera e mendicante, talvolta violenta e orgogliosa, altre volte disperata. Gesù l’aveva davanti agli occhi ormai da più giorni. Possiamo immaginarlo mentre guarda quegli uomini e quelle donne che lo seguono anche a costo di sacrifici: li interroga, li ascolta, ha imparato a conoscere alcuni anche per nome, ma soprattutto conosce – se non le loro storie – certamente le loro domande e i loro bisogni. Ne ha compassione ed è proprio da questo sentimento forte di comprensione intima che si trova la ragione di questa scena evangelica. Vedendo quella gente stanca e sfinita sale sul monte, così come oggi, come ogni domenica, il Vangelo sale sul pulpito e ci parla. E inizia a parlare della felicità. Chi è felice? Chi è davvero beato? Il profeta di Nazareth vuole proporre la sua idea di felicità e di beatitudine. Già i salmi avevano abituato i credenti di Israele al senso della beatitudine: “Beato l’uomo che spera nel Signore, beato l’uomo che ha cura del debole, beato l’uomo che confida nel Signore”. Questo è l’uomo che può dirsi felice. Gesù continua su questa linea e dice beati gli uomini e le donne poveri di spirito (e non vuol dire: ricchi di fatto, ma poveri spiritualmente) e poi beati i misericordiosi, gli afflitti, i miti, gli affamati di giustizia, i puri di cuore, i perseguitati a causa della giustizia ed anche coloro che sono insultati e perseguitati a causa del suo nome. Parole così non le avevano mai udite quei discepoli. E a noi che le ascoltiamo oggi paiono molto lontane dal nostro mondo. Sono davvero parole irreali? Sì, potremmo anche dire che sono belle, ma certamente impossibili. Eppure, non è così per Gesù. Egli vuole per noi una felicità vera, piena, robusta, che resiste agli sbalzi di umore e che non soggiace ai ritmi della moda o delle esigenze dei consumi. In verità, quel che a noi sta più a cuore è vivere un po’ meglio, un po’ più tranquilli. E nulla più. Non ci va di essere “beati” davvero. La beatitudine perciò è diventata una parola estranea, troppo piena, eccessiva. È una parola così forte e così carica da essere troppo diversa dalle nostre soddisfazioni spesso insignificanti. La pagina evangelica delle beatitudini ci strappa da una vita banale per spingerci verso una vita piena, una gioia molto più profonda. Le beatitudini non sono troppo alte per noi, come non lo erano per quella folla che per prima le ascoltò. Esse hanno un volto davvero umano: il volto di Gesù. È lui l’uomo delle beatitudini, l’uomo povero, mansueto e affamato di giustizia, l’uomo appassionato e misericordioso, l’uomo perseguitato e messo a morte. Guardiamo quest’uomo e seguiamolo: saremo beati.
Comunità di Sant’Egidio
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Lunedì 31 gennaio 2011
Era stato legato con ceppi e catene
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!». E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione – gli rispose – perché siamo in molti». E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese. C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. E lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare. I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio. Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te». Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati.”
Mc 5,1-20
Di fronte ai nodi che oggi caratterizzano la sfida educativa, ci mettiamo ancora una volta alla scuola di Gesù. Lo facciamo con grande fiducia, sapendo che egli è il «Maestro buono» (Mc 10,17), che ha parlato e ha agito, mostrando nella vita il suo insegnamento. Nel gesto della lavanda dei piedi dei suoi discepoli, nell’ora in cui li amò sino alla fine, egli si presenta ancora come colui che ci educa con la sua stessa vita (cfr Gv 13,14). Gesù è per noi non “un” maestro, ma “il” Maestro. La sua autorità, grazie alla presenza dinamica dello Spirito, raggiunge il cuore e ci forma interiormente, aiutandoci a gestire, nei modi e nelle forme più idonee, anche i problemi educativi.
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Martedì 1 febbraio 2011
Non temere, soltanto abbi fede!
In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male. E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male». Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.”
Mc 5,21-43
Ascolto assiduo della parola di Dio, celebrazione liturgica e comunione nella carità sono, dunque, le dimensioni costitutive della vita ecclesiale; esse hanno un’intrinseca forza educativa, poiché mediante il loro continuo esercizio il credente è progressivamente conformato a Cristo. Mentre testimonia la fede in letizia e semplicità, la comunità diviene capace di condividere i beni materiali e spirituali. Già così il compito educativo si mostra quale «esigenza costitutiva e permanente della vita della Chiesa».
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Mercoledì 2 febbraio 2011
Lo Spirito Santo era su di lui
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».
Lc 2,22-32
Egli rivela il mondo nuovo voluto da Dio e chiama a esserne parte, sollecitando ciascuno a cooperare alla sua edificazione nella pace. Il popolo che egli pasce è invitato ad ascoltare la sua parola, che conduce e fa riposare su pascoli erbosi (cfr Sal 23,2). Gesù non smetterà di insegnare, parlando al cuore, neppure di fronte
all’incomprensione della folla e dei suoi stessi discepoli.
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Giovedì 3 febbraio 2011
Prese a mandarli a due a due
In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.”
Mc 6,7-13
Gesù Cristo è la via, che conduce ciascuno alla piena realizzazione di sé secondo il disegno di Dio. È la verità, che rivela l’uomo a se stesso e ne guida il cammino di crescita nella libertà. È la vita, perché in lui ogni uomo trova il senso ultimo del suo esistere e del suo operare: la piena comunione di amore con Dio nell’eternità.
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Venerdì 4 febbraio 2011
Tuttavia lo ascoltava volentieri
In quel tempo, il re Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi». Altri invece dicevano: «È Elìa». Altri ancora dicevano: «È un profeta, come uno dei profeti». Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!». Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri. Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto. E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.”
Mc 6,14-29
Prima di ritornare al Padre, Gesù promette ai suoi discepoli il dono dello Spirito Santo, attraverso il quale continuerà la sua opera educativa. Lo Spirito di verità è mandato per aiutare coloro che lo riceveranno a comprendere e interiorizzare tutto quello che Gesù ha detto e insegnato e per parlare delle cose future (cfr Gv 16,13).
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Sabato 5 febbraio 2011
Ebbe compassione di loro
In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Mc 6,30-34
Gesù vede in loro «pecore che non hanno pastore»: è una metafora che rivela la situazione di un popolo che soffre per la mancanza di una guida autorevole o è disorientato da maestri inaffidabili. Lo smarrimento della folla suscita in Gesù una “compassione”, che non è un’emozione superficiale, ma è lo stesso sentire con cui Dio, nella vicenda dell’esodo, ha ascoltato il gemito del suo popolo e se ne è preso cura con vigore e tenerezza. Il bisogno delle persone interpella costantemente Gesù, che risponde ogni volta manifestando l’amore compassionevole del Padre.
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