Santena – 20 febbraio 2011 – Di seguito, alcune proposte di riflessione per i giorni dal 20 al 26 febbraio tratte dalla liturgia del giorno, con spigolature dal terzo capitolo degli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020 “Educare alla vita buona del vangelo” e dall’omelia domenicale della Comunità di Sant’Egidio.
Domenica 20 febbraio 2011
Amate i vostri nemici
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».”
Mt 5,38-48
Gesù vuole allargare il cuore degli uomini
Le antitesi del discorso del monte toccano anche il noto te¬ma della vendetta e dell’amore per i nemici. Una delle antitesi più note è quella conosciuta con lo slogan “porgere l’altra guan¬cia”. “Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra”. Gesù si collega all’antica legge del taglione. Questa norma biblica, al contrario di quel che normalmente si pensa, era una disposizione a suo modo benefica; tendeva infatti a mitigare e regolare la vendetta. In antico – e purtroppo talora accade anche oggi – la vendetta era illimitata, implacabile e feroce. Pur di essere soddisfatta poteva essere esercitata indifferentemente sia sul colpevole, vero o presunto, che su un familiare o una persona del suo gruppo. Si presentava senza dubbio come una delle forme più abiette di relazioni umane: come non paragonarla – volendo fare un salto nell’oggi – alle punizioni di mafia o di camorra? La legge veniva a porre un limite, introducendo il principio della proporzionalità per realizzare la giustizia come reintegrazione del diritto leso. A un danno si dà la riparazione proporzionata: un dente per un dente, un occhio per un occhio, un piede per un piede, e così via. Questa legge era, insomma, un freno all’istinto selvaggio dell’uomo. Ebbene, anche di fronte a questa legislazione, che pure aveva un suo senso, Gesù sconvolge tutto e presenta una visione totalmente diversa, nuova. Non solo non bisogna vendicarsi, ma neppure opporsi al malvagio. Cosa avviene tra noi? Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra (colpo particolarmente oltraggioso), tu istintivamente, di scatto cioè, reagisci per restituire l’offesa. Gesù ti ferma e ti dice: “No! porgigli anche l’altra guancia, vedrai che desisterà; e comunque non restituire un altro male; poiché in tal modo il male si allungherebbe all’infinito”. L’atteggiamento suggerito si ispira al modello del “servo sofferente” di Isaia che non sottrae la sua faccia agli insulti e agli sputi (Is 50,6). Gesù vuole sconfiggere la mentalità che c’è dietro la norma del diritto alla vendetta. Tale “diritto” risponde in verità a una convinzione tenacemente radicata nel cuore di ognuno di noi: quello che tu fai a me io faccio a te. È una logica perversa che, nella sua fredda equanimità, non ha mai tolto né mai toglierà l’ingiustizia. Infatti, se ripaghi uno con la stessa moneta con cui ti ha pagato, non togli la radice dell’inimicizia. Al contrario, la radichi ancor più. Il male mantiene tutta la sua forza, anche se lo si distribuisce equamente. Il male – ed è qui la forza di questa pagina evangelica – si vince se viene sradicato sin dalla radice, posta nel cuore degli uomini.
Per questo Gesù propone una via di superamento attraverso un atteggiamento di amore sovrabbondante. Il male non lo si vince con altro male, ma con il bene. E Gesù lo mostra con alcuni esempi tolti dalla vita quotidiana. Se hai una lite con uno che vuole toglierti la tunica, cedigli tutto, anche il mantello; se sei costretto a fare un miglio, fanne spontaneamente due, per pura concessione; se ti chiedono un prestito, non rifiutare mai di farlo. A tutti noi questi consigli appaiono assolutamente impossibili. Sembra che farsi percuotere l’altra guancia sia una vocazione per masochisti, o per spiriti angelici, che guance non hanno. Chi si fa spogliare? Chi accetta di perdere ancora più tempo con chi ti chiede già di perderne un po’? Ancora una volta torna alla nostra mente la solita obiezione: la vita del Vangelo non fa per me. Semmai – e questo lo possiamo concedere perché non ci riguarda – è una cosa per persone speciali. No, non è così. Chi prova ad applicare questa pagina evangelica si accorgerà della ricchezza di umanità racchiusa in tali parole del Signore. Le affermazioni sulla nuova e sovrabbondante giustizia proposteci da Gesù appaiono ancor più confermate se continuiamo la lettura del capitolo quinto del Vangelo di Matteo. Gesù dice: “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici”. Con una frase, il profeta di Nazareth cancella dal suo vocabolario, e vorrebbe che fosse cancellata anche da quello dei suoi discepoli, la parola nemico, per far restare solo l’altra, il prossimo. Come dire che per il cristiano non esistono nemici, tutti sono il prossimo. Non c’è dubbio che un Vangelo che chiede di perdonare ogni offesa è un Vangelo strano, diverso dal normale sentire di tutti. Se poi pretende che si amino anche i propri nemici, allora sembra diventare davvero troppo strano e impraticabile. Non solo. Gesù aggiunge che bisogna anche pregare per quelli che ci perseguitano. Ce ne darà l’esempio nella crocifissione: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). Nell’Antico Testamento in verità non c’è scritto che bisogna odiare il proprio nemico, anche se il fondamentale dovere dell’amore per il prossimo era ristretto soltanto a chi apparteneva al popolo d’Israele e a coloro che abitavano in Palestina, anche se stranieri. C’è da prendere esempio anche da questa norma veterotestamentaria, vista la durezza e l’inaccoglienza di casa nostra verso gli stranieri. Se bisogna amare persino il nemico, quanto più si deve voler bene a chi è costretto dalla fame o dalla guerra a lasciare la propria casa, la propria famiglia, la propria terra. Gesù vuole allargare il cuore degli uomini sino agli estremi confini e superare anche quelli che ci rendono nemici l’uno dell’altro. Questo tipo di amore diviene in certo modo il criterio per comprendere il nuovo insegnamento di Gesù. Esso tocca il mistero stesso di Dio, il modo di essere e di agire di Dio. E infatti Gesù parte proprio dall’agire di Dio per spiegare questo suo insegnamento. Iddio – dice Gesù – fa sorgere il sole sopra malvagi e buoni e manda la pioggia su giusti e ingiusti, indipendentemente dai meriti o dai demeriti dei singoli. A tutti egli distribuisce i suoi doni; non fa mancare nulla a nessuno, a qualsiasi razza, popolo e fede appartenga. Dio, sta scritto, “non fa distinzione di persona” (Rm 2,11). Le distinzioni le facciamo noi. Il Signore non ripaga con il bene i buoni e con il male i malvagi. Su tutti fa sorgere il suo sole. In tal modo rompe la logica dell’amore corporativo e interessato, in favore di un amore gratuito e universale che sa aprirsi agli estranei e ai diversi. Continua Gesù: “Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?”. L’invito di Gesù si fa alto: “Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste”. La perfezione è legata da Gesù alla carità, all’amore senza confini. Lui ce ne ha dato l’esempio. Per questo l’imitazione di Cristo, uomo nuovo, modello di vera umanità, diviene la via semplice che il Vangelo mette alla portata di ognuno di noi.
Comunità di Sant’Egidio
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Lunedì 21 febbraio 2011
Credo; aiuta la mia incredulità!
In quel tempo, [Gesù, Pietro, Giacomo e Giovanni, scesero dal monte] e arrivando presso i discepoli, videro attorno a loro molta folla e alcuni scribi che discutevano con loro. E subito tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo. Ed egli li interrogò: «Di che cosa discutete con loro?». E dalla folla uno gli rispose: «Maestro, ho portato da te mio figlio, che ha uno spirito muto. Dovunque lo afferri, lo getta a terra ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti». Egli allora disse loro: «O generazione incredula! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me». E glielo portarono. Alla vista di Gesù, subito lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava schiumando. Gesù interrogò il padre: «Da quanto tempo gli accade questo?». Ed egli rispose: «Dall’infanzia; anzi, spesso lo ha buttato anche nel fuoco e nell’acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». Gesù gli disse: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede». Il padre del fanciullo rispose subito ad alta voce: «Credo; aiuta la mia incredulità!». Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito impuro dicendogli: «Spirito muto e sordo, io ti ordino, esci da lui e non vi rientrare più». Gridando, e scuotendolo fortemente, uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: «È morto». Ma Gesù lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi. Entrato in casa, i suoi discepoli gli domandavano in privato: «Perché noi non siamo riusciti a scacciarlo?». Ed egli disse loro: «Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera». “
Mc 9,14-29
In Gesù, maestro di verità e di vita che ci raggiunge nella forza dello Spirito, noi siamo coinvolti nell’opera educatrice del Padre e siamo generati come uomini nuovi, capaci di stabilire relazioni vere con ogni persona. È questo il punto di partenza e il cuore di ogni azione educativa.
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Martedì 22 febbraio 2011
Maestro, dove abiti?
Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”. E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: “Che cercate?”. Gli risposero: “Rabbì (che significa maestro), dove abiti?”. Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Gv 1,35-39
Una delle prime pagine del Vangelo secondo Giovanni ci aiuta a ritrovare alcuni tratti essenziali della relazione educativa tra Gesù e i suoi discepoli, fondata sull’atteggiamento di amore di Gesù e vissuta nella fedeltà di chi accetta di stare con lui (cfr Mc 3,14) e di mettersi alla sua sequela.
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Mercoledì 23 febbraio 2011
Chi non è contro di noi è per noi
In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi».
Mc 9,38-40
«Che cosa cercate?» (1,38): suscitare e riconoscere un desiderio. La domanda di Gesù è una prima chiamata che incoraggia a interrogarsi sul significato autentico della propria ricerca. È la domanda che Gesù rivolge a chiunque desideri stabilire un rapporto con lui: è una “pro-vocazione” a chiarire a se stessi cosa si stia cercando davvero nella vita, a discernere ciò di cui si sente la mancanza, a scoprire cosa stia realmente a cuore. Dalla domanda traspare l’atteggiamento educativo di Gesù: egli è il Maestro che fa appello alla libertà e a ciò che di più autentico abita nel cuore, facendone emergere il desiderio inespresso.
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Giovedì 24 febbraio 2011
Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli …
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. Ognuno infatti sarà salato con il fuoco. Buona cosa è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri».”
Mc 9,41-50
«Venite e vedrete» (1,39): il coraggio della proposta. Dopo una successione di domande, giunge la proposta. Gesù rivolge un invito esplicito («venite»), a cui associa una promessa («vedrete»). Ci mostra, così, che per stabilire un rapporto educativo occorre un incontro che susciti una relazione personale: non si tratta di trasmettere nozioni astratte, ma di offrire un’esperienza da condividere. I due discepoli si rivolgono a Gesù chiamandolo Rabbì, cioè maestro: è un chiaro segnale della loro intenzione di entrare in relazione con qualcuno che possa guidarli e faccia fiorire la vita.
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Venerdì 25 febbraio 2011
Egli insegnava loro, come era solito fare
In quel tempo, Gesù, partito da Cafàrnao, venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare. Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».”
Mc 10,1-12
«Rimasero con lui» (1,39): accettare la sfida. Accettando l’invito di Gesù, i discepoli si mettono in gioco decidendo d’investire tutto se stessi nella sua proposta. Dall’esempio di Gesù apprendiamo che la relazione educativa esige pazienza, gradualità, reciprocità distesa nel tempo. Non è fatta di esperienze occasionali e di gratificazioni istantanee. Ha bisogno di stabilità, progettualità coraggiosa, impegno duraturo.
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Sabato 26 febbraio 2011
Lasciate che i bambini vengano a me
In quel tempo, presentavano a Gesù dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, ponendo le mani su di loro.
Mc 10,13-16
«Cristiani si diventa, non si nasce». Questo notissimo detto di Tertulliano sottolinea la necessità della dimensione propriamente educativa nella vita cristiana. Si tratta di un itinerario condiviso, in cui educatori ed educandi intrecciano un’esperienza umana e spirituale profonda e coinvolgente.
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