Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 27 marzo al 2 aprile 2011

Santena – 27 marzo 2011 – Di seguito, alcune proposte di riflessione per i giorni dal 27 marzo al 2 aprile tratte dalla liturgia del giorno, con spigolature dal terzo e quarto capitolo degli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020 “Educare alla vita buona del vangelo” e omelia domenicale della Comunità di Sant’Egidio.

Domenica 27 marzo 2011

Chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete

In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».
Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo»

Gv 4,5-42

L’amore del Signore è un amore esigente

Il Vangelo ci presenta Gesù stanco. Non lo è tanto per il cammino fatto. La sua stanchezza nasceva dal continuo correre dietro di noi per trarci fuori dai guai in cui ci cacciamo, per difenderci dai pericoli ai quali andiamo incontro, per liberarci dai peccati nei quali cadiamo. Aveva anche fame, ma non di pane. I discepoli, dopo aver portato il cibo, gli dicono: “Rabbì, mangia”, ma egli risponde: “Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete… Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera”. I discepoli, come al solito, non capiscono. La fame di Gesù era portare a compimento l’opera del Padre. Gesù aveva sete, ma non di acqua. Quando chiede a quella donna: “Dammi da bere”, Gesù ha sete di salvare quella donna. Potremmo dire che aveva sete del suo affetto come ha sete del nostro. In genere fuggiamo da questa richiesta di amore e di compagnia così forte e radicale, perché senza dubbio l’amore del Signore è un amore esigente, e scegliamo i nostri piccoli amori, le nostre piccole rivincite. Gli opponiamo quindi la stessa resistenza che gli oppose quella donna samaritana: “Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”. In realtà quella richiesta di Gesù superava già un muro. Egli parlava con una donna, per di più samaritana. Un proverbio rabbinico insegnava: “Chi mangia il pane dei samaritani è come uno che mangia carne di cane”.
La donna è scossa dalla richiesta di Gesù, ma non comprende l’energia di amore che è nascosta dietro quelle parole: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: ‘Dammi da bere!’, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. Dio amava quella donna quando era ancora lontana, ma lei non se n’è accorta. La sua vita, segnata dalle delusioni e dai tradimenti, forse non le dava più speranza. È la storia dei cinque mariti. Ormai non crede molto negli altri e non ha neppure tanta fiducia in sé. Come poteva aver fiducia di uno straniero? Come poteva capire che era Dio a parlarle in quel giudeo stanco e assetato e senza neppure uno strumento per prendere l’acqua? “Da dove prendi dunque quest’acqua viva?” gli chiede rassegnata e scettica. Per lei abituata alla durezza della vita, la parola non conta più, non cambia, non dà vita. Quella donna è molto simile a noi. La sua vita è piena di tradimenti e problemi. È diventata una donna dura, costretta a difendersi e a rispondere in maniera aggressiva (“Come mai tu chiedi da bere a me?”). È aggressiva pur di non ammettere le delusioni ed il fallimento. Lo fa con tutti, anche con quell’estraneo che gli parla con semplicità ed in maniera diretta. È una poveretta, con una vita complicata, che deve percorrere un lungo itinerario per andare a prendere l’acqua. È una donna forte della sua esperienza, che pensa di conoscere già la vita. I suoi giudizi sono rapidi.
Che può fare quell’uomo senza mezzi, debole e che non ha come prendere l’acqua? Lei non crede più a niente, solo alla sua brocca, alla sua fatica, a quello che vede e tocca con mano. Il Vangelo è un sogno fuori dalla realtà! Per lei scettica, materialista, abituata alla durezza della vita, le parole non contano più. Ma è anche una donna furba. Quando Gesù parla di un’acqua diversa, per cui non avrebbe più avuto sete e non sarebbe stato più necessario camminare fino al pozzo, cerca subito la sua convenienza. Vuole prendersi qualcosa del Vangelo senza cambiare nulla. Desidera assicurarsi un vantaggio, ma restare quella di sempre. L’incontro con Gesù è personale. Tocca il cuore. Gesù l’aiuta ad essere se stessa. “Io non ho marito”, dice. Non racconta tutto di sé. Gesù non la aggredisce, non la umilia in una descrizione imbarazzante del suo peccato, della sua storia di tanti amori cercati e traditi. È lui che le spiega, con sensibilità, tutta la sua vita. La verità è Gesù. Proprio questo colpisce la donna: essere capita, conosciuta così com’è ed essere amata! Non è una legge o un giudizio che cambia i cuori, ma il lungo e insistente incontro con quell’uomo che parla con libertà e amore. Lasciamoci dire da lui tutto quello che abbiamo fatto! Diventeremo una fonte, nell’aridità della vita. Parliamo a tanti con la meraviglia della donna samaritana di qualcuno che ci ha parlato con amore!
La Chiesa, diceva Papa Giovanni XXIII, è come la fontana del villaggio: è per tutti e tutti possono avvicinarsi per attingere l’acqua dell’amore e della consolazione. Sia così anche per i nostri cuori, possessivi e peccatori, ma conosciuti, amati e perdonati dal Signore, uomo assetato che cammina e chiede amore. Il Signore c’insegni ad essere fonte d’amore, servendo chi ha sete. Così troveremo l’amore che non finisce e che estingue la nostra sete.

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Lunedì 28 marzo 2011

Nessun profeta è bene accetto nella sua patria

In quel tempo, Gesù [cominciò a dire nella sinagoga a Nàzaret:] «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidóne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.”

Lc 4,24-30

Nell’opera dei grandi testimoni dell’educazione cristiana, secondo la genialità e la creatività di ciascuno, troviamo i tratti fondamentali della azione educativa: l’autorevolezza dell’educatore, la centralità della relazione personale, l’educazione come atto di amore, una visione di fede che dà fondamento e orizzonte alla ricerca di senso dei giovani, la formazione integrale della persona, la corresponsabilità per la costruzione del bene comune.

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Martedì 29 marzo 2011

Perdonare fino a settanta volte sette

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Mt 18,21-35

Insieme a tali figure, dobbiamo ricordare il segno lasciato da tanti educatori che, in ogni stato di vita, con la loro testimonianza umile e quotidiana, hanno inciso in modo profondo sulla nostra maturazione. Mentre va riconosciuto e apprezzato il lavoro straordinario di numerosi insegnanti, animatori e catechisti, si avverte il bisogno di suscitare e sostenere una nuova generazione di cristiani che si dedichi all’opera educativa, capace di assumere come scelta di vita la passione per i ragazzi e per i giovani, disposta ad ascoltarli, accoglierli e accompagnarli, a far loro proposte esigenti anche in contrasto con la mentalità corrente.

 

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Mercoledì 30 marzo 2011

Non sono venuto ad abolire la Legge, ma a dare pieno compimento

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto.
Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».”

Mt 5,17-19

La complessità dell’azione educativa sollecita i cristiani ad adoperarsi in ogni modo affinché si realizzi «un’alleanza educativa tra tutti coloro che hanno responsabilità in questo delicato ambito della vita sociale ed ecclesiale». Fede, cultura ed educazione interagiscono, ponendo in rapporto dinamico e costruttivo le varie dimensioni della vita. La separazione e la reciproca estraneità dei cammini formativi, sia all’interno della comunità cristiana sia in rapporto alle istituzioni civili, indebolisce l’efficacia dell’azione educativa fino a renderla sterile. Se si vuole che essa ottenga il suo scopo, è necessario che tutti i soggetti coinvolti operino armonicamente verso lo stesso fine. Per questo occorre elaborare e condividere un progetto educativo che definisca obiettivi, contenuti e

metodi su cui lavorare.

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Giovedì  31 marzo 2011

Chi non è con me è contro di me

In quel tempo, Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle furono prese da stupore. Ma alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo. Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. Ora, se anche satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. Ma se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio.
Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino. Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde».

Lc 11,14-23

Nell’orizzonte della comunità cristiana, la famiglia resta la prima e indispensabile comunità educante. Per i genitori, l’educazione è un dovere essenziale, perché connesso alla trasmissione della vita; originale e primario rispetto al compito educativo di altri soggetti; insostituibile e inalienabile, nel senso che non può essere delegato né surrogato.

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Venerdì 1 aprile 2011

Qual è il primo di tutti i comandamenti?

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi». Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocàusti e i sacrifici». Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.”

Mc 12,28-34

Educare in famiglia è oggi un’arte davvero difficile. Molti genitori soffrono, infatti, un senso di solitudine, di inadeguatezza e, addirittura, d’impotenza. Si tratta di un isolamento anzitutto sociale, perché la società privilegia gli individui e non considera la famiglia come sua cellula fondamentale.

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Sabato 2 aprile 2011

Chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Lc 18,9-14

Padri e madri faticano a proporre con passione ragioni profonde per vivere e, soprattutto, a dire dei “no” con l’autorevolezza necessaria. Il legame con i figli rischia di oscillare tra la scarsa cura e atteggiamenti possessivi che tendono a soffocarne la creatività e a perpetuarne la dipendenza. Occorre ritrovare la virtù della fortezza nell’assumere e sostenere decisioni fondamentali, pur nella consapevolezza che altri soggetti dispongono di mezzi potenti, in grado di esercitare un’influenza penetrante.