Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 24 al 30 luglio 2011

Santena – 24 luglio 2011 – Proposte di riflessione per i giorni dal 24 al 30 luglio 2011 tratte dalla liturgia del giorno, con omelia domenicale della Comunità di Sant’Egidio.

Domenica 24 luglio 2011

Il regno dei cieli è simile a un tesoro

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

Mt 13,44-52

Persuasi che questo è un affare, non una perdita

Con il Vangelo di questa domenica si chiude la raccolta delle parabole riportate da Matteo nel capitolo 13. L’evangelista, si potrebbe dire, vuol fare il punto della situazione dopo il durissimo confronto di Gesù con il giudaismo (cap.11 e 12) e prima che venga consumata la rottura con il rifiuto nella “sua patria”, che chiude appunto il capitolo 13. Le tre parabole del brano odierno (13,44-52) si pongono come un pressante invito agli ascoltatori perché scelgano di aderire al mistero del Regno dei cieli, realtà molto preziosa. Gesù lo paragona ad un vero e proprio tesoro, a una perla rarissima. Le immagini delle parabole sono prese dalla tradizione veterotestamentaria. Il libro della Sapienza scrive: la sapienza “è infatti un tesoro inesauribile per gli uomini; chi lo possiede ottiene l’amicizia con Dio”(7,14). E nel libro dei Proverbi si legge: “Se appunto invocherai l’intelligenza e rivolgerai la tua voce alla prudenza, se la ricercherai come l’argento e per averla scaverai come per i tesori, allora comprenderai il timore del Signore”(2,3-5). Le prime due parabole, pur richiamando la tradizione sapienziale, sottolineano non la scoperta del tesoro e la ricerca delle perle preziose quanto la decisione del contadino e del mercante di vendere ogni cosa per puntare tutto su quello che hanno scoperto. Nel primo caso si tratta di un contadino che casualmente si imbatte in un tesoro nascosto nel campo dov’egli sta lavorando. Non essendo il campo di sua proprietà deve acquistarlo, se vuole entrare in possesso del tesoro. Di qui la decisione di rischiare tutti i suoi averi per non perdere quell’occasione davvero eccezionale. Il protagonista della seconda parabola è un ricco trafficante di preziosi che, da esperto conoscitore, ha individuato nel bazar una perla di raro valore. Anche lui decide di puntare tutto su quella perla, al punto da vendere tutte le altre. Di fronte a queste scoperte, per ambedue inaspettate, la scelta è chiara e decisa. Certamente si tratta di vendere tutto quello che si possiede, ma l’acquisto è impareggiabile. Si chiede un “sacrificio”, come ad esempio suggerisce il Vangelo nell’episodio del giovane ricco, ma il guadagno è enormemente superiore. Il “Regno dei cieli” vale questo sacrificio. Del resto quante altre volte siamo pronti a vendere tutto, anche l’anima, pur di possedere quello che ci interessa! Il problema è se davvero ci interessano il Signore e la sua amicizia, e se riusciamo a comprendere la gioia e la pienezza di vita che ci viene “inaspettatamente” presentata, come inaspettatamente si presentarono il tesoro a quel contadino e la perla a quel mercante. È splendido il commento di Giovanni Crisostomo a questo brano evangelico: “Con queste due parabole noi apprendiamo non solo che è necessario spogliarci di tutte le altre cose per abbracciare il Vangelo, ma che dobbiamo fare questo con gioia. Chi rinunzia a quanto possiede, deve essere persuaso che questo è un affare, non una perdita… Coloro infatti che possiedono il Vangelo sanno di essere ricchi”. La ricchezza, per il discepolo, non consiste nel possesso delle cose ma nell’essere amico di Dio. È quanto ci suggerisce la scelta del giovane Salomone, riportata nella prima lettura (1 Re 3,5.7-12). Al momento di assumere la massima responsabilità di fronte al popolo, egli chiede a Dio non una lunga vita‚ o le ricchezze di questo mondo, ma un cuore docile alla sua volontà “perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male”. L’ultima parabola prende lo spunto dalla pesca: la cattura dei pesci e la loro cernita sulle rive del lago. Risuona qui la parabola della zizzania: il bene e il male sono mescolati finché dura il corso di questo mondo; solo alla fine Dio separerà il male dal bene. Sarà una divisione che riguarderà ciascuno di noi, perché nessuno può dirsi esente dal peccato. Quel che conta non è vantarsi della propria giustizia, ma dell’amicizia di Dio che si avvicina non ai sani ma ai malati, che va in cerca non dei giusti ma dei peccatori. Far crescere dentro e attorno a noi l’amicizia di Dio è la grande scelta che ci chiede la pagina evangelica: è il tesoro per cui vale la pena vendere tutto.

Comunità di Sant’Egidio

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Lunedì 25 luglio 2011

Come il Figlio dell’uomo dare la propria vita

In quel tempo, si avvicinò a Gesù la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Mt 20,20-28

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Martedì 26 luglio 2011

Il Signore parlava con Mosè come uno parla con il proprio amico

In quei giorni, Mosè prendeva la tenda e la piantava fuori dell’accampamento, a una certa distanza dall’accampamento, e l’aveva chiamata tenda del convegno; appunto a questa tenda del convegno, posta fuori dell’accampamento, si recava chiunque volesse consultare il Signore. Quando Mosè usciva per recarsi alla tenda, tutto il popolo si alzava in piedi, stando ciascuno all’ingresso della sua tenda: seguivano con lo sguardo Mosè, finché non fosse entrato nella tenda. Quando Mosè entrava nella tenda, scendeva la colonna di nube e restava all’ingresso della tenda, e parlava con Mosè. Tutto il popolo vedeva la colonna di nube, che stava all’ingresso della tenda, e tutti si alzavano e si prostravano ciascuno all’ingresso della propria tenda. Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico. Poi questi tornava nell’accampamento, mentre il suo inserviente, il giovane Giosuè figlio di Nun, non si allontanava dall’interno della tenda. Il Signore scese nella nube [sul monte Sinai], si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione». Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervìce, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità». Mosè rimase con il Signore quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiar pane e senza bere acqua. Egli scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole.

Es 33,7-11; 34,5-9.28

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Mercoledì 27 luglio 2011

La pelle del suo viso era raggiante, aveva conversato con il Signore

Quando Mosè scese dal monte Sinai – le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte – non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con il Signore. Ma Aronne e tutti gli Israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui. Mosè allora li chiamò, e Aronne, con tutti i capi della comunità, tornò da lui. Mosè parlò a loro. Si avvicinarono dopo di loro tutti gli Israeliti ed egli ingiunse loro ciò che il Signore gli aveva ordinato sul monte Sinai. Quando Mosè ebbe finito di parlare a loro, si pose un velo sul viso. Quando entrava davanti al Signore per parlare con lui, Mosè si toglieva il velo, fin quando non fosse uscito. Una volta uscito, riferiva agli Israeliti ciò che gli era stato ordinato. Gli Israeliti, guardando in faccia Mosè, vedevano che la pelle del suo viso era raggiante. Poi egli si rimetteva il velo sul viso, fin quando non fosse di nuovo entrato a parlare con il Signore.

Es 34,29-35

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Giovedì 28 luglio 2011

La gloria del Signore riempiva la Dimora

In quei giorni, Mosè eseguì ogni cosa come il Signore gli aveva ordinato: così fece. Nel secondo anno, nel primo giorno del primo mese fu eretta la Dimora. Mosè eresse la Dimora: pose le sue basi, dispose le assi, vi fissò le traverse e rizzò le colonne; poi stese la tenda sopra la Dimora e dispose al di sopra la copertura della tenda, come il Signore gli aveva ordinato. Prese la Testimonianza, la pose dentro l’arca, mise le stanghe all’arca e pose il propiziatorio sull’arca; poi introdusse l’arca nella Dimora, collocò il velo che doveva far da cortina e lo tese davanti all’arca della Testimonianza, come il Signore aveva ordinato a Mosè. Allora la nube coprì la tenda del convegno e la gloria del Signore riempì la Dimora. Mosè non poté entrare nella tenda del convegno, perché la nube sostava su di essa e la gloria del Signore riempiva la Dimora. Per tutto il tempo del loro viaggio, quando la nube s’innalzava e lasciava la Dimora, gli Israeliti levavano le tende. Se la nube non si innalzava, essi non partivano, finché non si fosse innalzata. Perché la nube del Signore, durante il giorno, rimaneva sulla Dimora e, durante la notte, vi era in essa un fuoco, visibile a tutta la casa d’Israele, per tutto il tempo del loro viaggio.

Es 40,16-21.34-38

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Venerdì 29 luglio 2011

Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi

Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi. In questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha donato il suo Spirito. E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo. Chiunque confessa che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in lui ed egli in Dio. E noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi. Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui.

1Gv 4,7-16

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Sabato 30 luglio 2011

Nessuno di voi opprima il suo prossimo; temi il tuo Dio

Il Signore parlò a Mosè sul monte Sinai e disse: «Conterai sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. Al decimo giorno del settimo mese, farai echeggiare il suono del corno; nel giorno dell’espiazione farete echeggiare il corno per tutta la terra. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia.
Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate. Poiché è un giubileo: esso sarà per voi santo; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi. In quest’anno del giubileo ciascuno tornerà nella sua proprietà. Quando vendete qualcosa al vostro prossimo o quando acquistate qualcosa dal vostro prossimo, nessuno faccia torto al fratello. Regolerai l’acquisto che farai dal tuo prossimo in base al numero degli anni trascorsi dopo l’ultimo giubileo: egli venderà a te in base agli anni di raccolto. Quanti più anni resteranno, tanto più aumenterai il prezzo; quanto minore sarà il tempo, tanto più ribasserai il prezzo, perché egli ti vende la somma dei raccolti. Nessuno di voi opprima il suo prossimo; temi il tuo Dio, poiché io sono il Signore, vostro Dio».

Lv 25,1.8-17

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