Torino – 3 gennaio 2012 – Stamattina, in Arcivescovado, l’arcivescovo di Torino ha presentato ai giornalisti e agli operatori dei media la «Lettera alla Città». Di seguito, il testo integrale della lettera e l’audio dell’intervista rilasciata durante la conferenza stampa.
Il futuro di Torino nelle nostre mani
Lettera dell’Arcivescovo per il nuovo anno 2012
Cari Amici,
è trascorso un anno dal mio arrivo a Torino come arcivescovo. Un tempo breve ma ricco di forti e positive esperienze, di conoscenza e di ascolto che mi spinge a scrivere una lettera per riflettere con voi e offrivi qualche spunto sul nostro comune futuro. Credo, infatti, che l’avvenire di Torino, il modo con cui lo costruiremo insieme, sia il tema più urgente e importante da affrontare in questo momento di molteplice crisi economica, finanziaria, culturale, sociale e politica. Confrontarsi insieme significa mettersi nobilmente a servizio del bene comune.
Il progetto “Torino-futuro”
Per i cristiani la dimensione del futuro è fonte di quella speranza che proviene dalla sicura promessa del Signore Gesù: una speranza che non ci allontana dall’impegno nella città terrena, ma piuttosto ci spinge a pensare e agire con un “respiro lungo” per costruire, attraverso la collaborazione di tutti i cittadini, un mondo realisticamente migliore. Guardare al futuro con speranza significa superare l’effimero e saper vedere oltre le emergenze, per puntare sulle indispensabili risorse umane ed etiche che non sostituiscono le risorse economiche e materiali ma ne costituiscono il fine. Proprio per questo la nostra Chiesa diocesana, in sintonia con il programma pastorale dei vescovi italiani e con-sapevole dell’importanza di un tale “investimento” si impegna in questi anni sull’educazione e sulla formazione integrale delle persone. Vogliamo essere sempre più, come ho ricordato nella mia Lettera pastorale, «buoni cristiani ed onesti cittadini» (Sulla tua Parola, n. 14).
Oggi soprattutto i giovani sembrano rassegnati, non vedono di fronte a sé “spazi di speranza”. A loro e a tutti dico che la fede in Cristo può rivelarsi forza trainante quando si vive con coerenza e generosità non solo nella propria vita personale, familiare ed ecclesiale, ma anche nel mondo sociale, culturale e professionale in cui c’è davvero bisogno di una rinnovata fiducia in se stessi e negli altri.
Il mio invito si rivolge non solo ai cristiani, ma a tutti gli uomini di buona volontà. Si tratta di rinvigorire le forze dell’intelligenza, della libertà e della collaborazione creati-va e di trovare nuove proposte concrete di crescita e di rilancio della nostra società. Solo camminando insieme, concordi nell’impegno del bene comune, potremo sperare in un rinnovamento positivo per tutti che superi la frammentazione e l’estraneità delle culture e degli ideali.
Le principali preoccupazioni e risorse
L’elenco dei problemi e delle urgenze della nostra società piemontese è lungo e complesso, ma altrettanto lo è quello delle eccellenze e delle positività su cui è possibile fare leva. Non è compito del vescovo affrontare nel merito tutte gli argomenti, ma è suo dovere e impegno, come pastore del popolo dei credenti in Gesù Cristo e stimolato dal Vangelo e dal discernimento sui segni dei tempi, invitare a non rassegnarsi e a ritrovare motivazioni ideali e vie operative concrete per affrontarli a partire da alcuni ambiti strategici su cui lavorare insieme con maggiore impegno e decisione. Ne indicherò tre che risultano particolarmente interconnessi: il lavoro, i giovani e l’immigrazione.
Anzitutto il lavoro. La crisi sta mettendo duramente alla prova il “sistema-Torino”. Si riduce il peso del settore manifatturiero, mentre è ancora lontano lo sviluppo del terziario avanzato nonostante l’importante polo torinese di innovazione tecnologica. Il mutamento, poi, impone pesanti prezzi sociali, soprattutto ai cittadini più deboli, con implicazioni anche etiche che non possiamo sottovalutare.
Non esistono ricette magiche per lo sviluppo, si dice. È vero, però lo “sviluppo” non è solo una questione economica; anzi, l’economia stessa non può porsi al di sopra delle regole che tutelano quel bene che è la persona e quei beni comuni che stanno alla base di una società viva e sana! E ancora: al di sopra delle regole, c’è la volontà politica, quella che sceglie il dialogo, il confronto, il lavoro comune e non lo scontro. E al di sopra della politica c’è la consapevolezza che la solidarietà non è solo un metodo necessario, ma una via obbligata, se si vuole “rinascere” insieme. È una riflessione che propongo a tutti, ma che voglio sottolineare in particolare per quanto riguarda la Fiat. Sono certo che lo speciale rapporto che il gruppo ha sempre avuto con Torino, e che si è mantenuto saldo anche nei momenti più complessi e difficili della sua storia, rappresenta un patrimonio di qualità che va oltre gli aspetti finanziari ed economici e investe altri valori altrettanto importanti sul piano umano, etico e comunitario, valori da non disperdere, anche a fronte del nuovo e articolato assetto internazionale che l’azienda ha assunto nel mondo.
Invito le imprese del commercio, del credito, dei servizi, della ricerca, a “fare squadra” per sostenere l’innovazione, e aprire così nuovi sbocchi sul mercato internazionale che diano respiro alla realtà locale, perché il “marchio Torino” mantenga e accresca quella nota di qualità, eccellenza, rigore e serietà che si è conquistato nel tempo sul mercato mondiale.
Il problema della crisi non riguarda solo le forze sociali e le imprese, ma ogni cittadino. Una buona virtù civile è anche un’educazione al consumo responsabile. Forse si è vissuto per troppi anni al di sopra delle nostre possibilità, con stili di vita molto elevati, con attese e pretese eccessive rispetto alle risorse che abbiamo contribuito a creare. A questo si aggiungano egoismi individuali, vantaggio di pochi sui molti, scarsa attenzione alla natura e all’ambiente, radicalizzazione di interessi localistici, una flessibilità occupazionale che ha scompaginato la vita delle persone e soprattutto delle famiglie. La crisi diventi una “buona occasione”, un tempo propizio per ripensare lo stile di vita, per accorgerci che accanto a noi e con noi nella stessa città c’è chi ha bisogno del nostro aiuto: in questo occorre abbassare le pretese e le attese, distribuire i sacrifici partendo da chi ha di più. I poveri e senza fissa dimora, gli ammalati e i disabili, i rom… fino agli anziani e ai bambini, il popolo degli ultimi, sono i nostri “maestri”. Costruire una città a misura loro è il nostro comune obiettivo. L’educazione e la cura della salute, il rinnovamento e la qualità della sanità pubblica e privata convenzionata e i servizi nel “sociale” che sono oggi numerosi sul territorio, rappresentano una della più diffuse preoccupazioni delle famiglie. Occorre pertanto farli camminare insieme su vie strettamente complementari, anche sul piano delle risorse e del sostegno al volontariato e alle realtà associative e cooperative che se ne occupano.
I giovani. Essi hanno attualmente poche opportunità lavorative rispetto a un tempo, le carriere nel pubblico impiego sono bloccate, le imprese private assumono con il contagocce. Si sente il bisogno di riforme radicali che tolgano qualcosa ai troppo garantiti per darlo ai giovani precari. È anche importante lavorare a livello formativo per l’orientamento sia dei giovani che delle loro famiglie, sostenere le concrete possibilità di avviarsi, anche attraverso il credito agevolato, sulla via di “costruire impresa” e non solo a gestirla, ridare dignità e valore al lavoro manuale con oculate scelte politiche e culturali che favoriscano, ad esempio, l’imprenditorialità associata dei giovani. Occorre che i giovani siano disponibili a stare comunque dentro al mercato del lavoro usando al meglio le opportunità che offre, adattandosi senza remora alcuna a qualsiasi prospettiva venga lo-ro offerta o si trovi. Non vorrei tuttavia che il tema dei giovani si riducesse al “trovare lavoro”. La loro fragilità ha svariate cause: ruoli familiari materni e paterni indeboliti, merito disconosciuto, cultura nichilista e consumista che elimina il senso del limite, assenza di una dimensione religiosa. Credo che sia necessario riannodare i fili del dialogo fra le generazioni, a cominciare dalla famiglia, con il contributo determinante della scuola pubblica, statale e paritaria. È un impegno anche per la nostra Chiesa diocesana, che ha bisogno di lasciarsi interpellare dalla loro “estraneità” al nostro mondo culturale, sociale e pastorale. Forse dovremmo davvero aprire i nostri oratori anche nei centri commerciali e nei luoghi di divertimento, o proporre servizi educativi realizzabili in forma cooperativa anche presso locali di oratori o di congregazioni religiose. Occorre dimostrare in forme efficaci ai giovani che si crede nelle loro capacità e creatività, che il mondo degli adulti ha fiducia in loro non solo a parole ma con mirate scelte politiche, economiche e culturali. Questa è anche l’unica via per richiamarli alla loro responsabilità sul futuro, perché vivano da protagonisti e non assumano il disagio generazionale o la precarietà di vita e occupazionale come alibi per il disimpegno.
Gli immigrati. C’è infine un’ulteriore questione che interpella il futuro: il pluralismo culturale e l’immigrazione. Nel volgere di pochi anni il tessuto sociale subirà mutamenti ancora più veloci e significativi: ci stiamo attrezzando ad affrontare questi cambiamenti a livello di Chiesa e di società? Torino da sempre è stata incontro di culture e di genti, e in qualche modo ha saputo anticipare, in qualità di laboratorio, esperienze e idee che sono state all’avanguardia per l’Italia. Oggi dobbiamo evitare il rischio di parlar-ci addosso; e riscoprire invece il coraggio di “pensare in grande”, allargando i nostri con-fini sia etnici che culturali. È necessario pensare insieme i temi dello sviluppo di Torino e dell’immigrazione; la crescita che andiamo cercando si fonda prima di tutto sulle risorse costituite dalle persone stesse. Non si può pensare a due città diverse, una turistica e borghese, l’altra immigrata e povera. Gli immigrati sono ormai il 13% della popolazione torinese e non si può guardare a loro solo in termini di “assistenza”, ma di “integrazione” responsabile, cioè di una base comune di rispetto dei diritti e dei doveri. Pensando alle nuove generazioni, ai molti bambini, ragazzi e giovani nati in Italia, dobbiamo chiederci in che modo lavoriamo per offrire loro prospettive di “cittadinanza” nella nostra società, aiutando altresì i nostri giovani a considerare i loro coetanei immigrati non dei concorrenti, ma dei compagni di viaggio con cui costruire insieme il comune futuro.
Cari amici, è importante che ognuno di noi faccia la sua parte perché l’avvenire di Torino sia una possibilità reale e già fin d’ora in costruzione. Spetta ai politici trovare le vie per ottimizzare le risorse disponibili, individuando le priorità su cui puntare con leggi giuste per un cammino di collaborazione tra tutti. Spetta alle donne e agli uomini di cultura sostenere una mentalità nuova sul piano dell’integrazione fra le molteplici culture e civiltà, aiutando a leggere le diversità come occasione di arricchimento e di sviluppo e non come pericolo e minaccia da combattere. Spetta agli educatori, e in particolare ai genitori, il compito di indicare alle nuove generazioni il cammino che può condurre al futuro, anzitutto con la testimonianza della bellezza del vivere guidati da ideali alti e possibili e nel coinvolgimento personale con i giovani. Spetta alle famiglie, finalmente sostenute da adeguate politiche sociali ed economiche, esercitare il loro ruolo insostituibile a favore di una società e di una Chiesa sempre più a misura umana.
Spetta, infine, alla Chiesa di Torino essere degna di quella fiducia che le è riconosciuta sul terreno educativo, sociale e dell’integrazione, perché il Vangelo è forza propulsiva per una vita nuova che si investe di connotazioni socio-culturali; è offerta di salvezza a tutti che passa attraverso l’assunzione del vero, del buono e del bello che ogni cultura e civiltà umana contiene. Diventa decisivo per questo la formazione di cristiani laici, adulti nella fede e testimoni di speranza nel tessuto della vita delle persone e delle fami-glie, negli ambienti di lavoro e di cultura e nella città. Dobbiamo lavorare e camminare insieme, sacerdoti e diaconi, religiosi e religiose e laici, per una Chiesa sempre meno autoreferenziale e più capace di scelte coraggiose di vita cristiana, per una Chiesa che man-tenga il suo carattere popolare e accogliente verso tutti e che voglia stare “accanto” e non in cattedra, per una Chiesa che metta la fede in Gesù Cristo al centro, richiami il primato di Dio e sia al servizio della piena promozione di ogni uomo, della sua vita, dall’inizio alla fine naturale, della famiglia fondata sul matrimonio, favorendone la crescita spirituale ed etica, fonte prima del suo impegno sociale.
I nostri santi e beati ci hanno tracciato una strada luminosa; su di essa siamo chiamati a camminare con grande amore e speranza per l’avvenire di Torino. A Maria santissima, Consolata e Ausiliatrice, rivolgo il mio e vostro sguardo di abbandono fiducioso come di figli sereni tra le sue braccia, sicuri che nulla potrà mai scoraggiarci, perché Ella ci sostiene e ci guida sulla via di un domani che potrà essere ricco di bene per tutti. E questo è il mio augurio vivo, affettuoso e cordiale per l’anno che comincia.
Torino, 2 gennaio 2012
Cesare Nosiglia
Vescovo, padre e amico
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Di seguito, l’audio dell’intervista rilasciata dall’arcivescovo di Torino al termine della presentazione della lettera.
Mons Cesare Nosiglia 2012gen03
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